Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 14 dicembre 2015, n. 25161

Assunzione a tempo indeterminato - Compenso incentivante - Verifica amministrativo-contabile - Recupero delle somme versate in eccesso ai dipendenti

 

Fatto

 

Con sentenza 14 aprile 2012, la Corte d’appello di Roma respingeva l'appello di Croce Rossa Italiana avverso la sentenza di primo grado, che l'aveva condannata, in parziale accoglimento delle domande (con distinti ricorsi riuniti) dei dipendenti a tempo indeterminato M. C., F. D'O. e D. C., al pagamento del compenso incentivante ancora dovuto per l'anno 2005 e alla restituzione delle somme trattenute sugli stipendi negli anni 2006 e 2007, per effetto dell’unilaterale rideterminazione, con provvedimento direttoriale 17 luglio 2007 n. 86, dell'ammontare del fondo di incentivazione per il periodo 2002/2005 e dell'approvazione di piano di rientro tramite recupero delle somme corrisposte in eccesso, detratte dal fondo per il miglioramento dell'efficienza per gli anni 2006/2010; dichiarate invece inammissibili, per difetto di interesse ad agire, quelle di accertamento e di condanna relative agli altri dipendenti.

A motivo della decisione, la Corte territoriale ribadiva la decadenza, per tardività (in violazione del termine prescritto dall'art. 416 c.p.c.), dell'ente datore dalla produzione di documenti (in particolare: relazione ispettiva di accertamento dello sforamento dei fondi stanziati per gli anni 2003 e 2004), non essendo poi esercitabili i poteri officiosi previsti dall'art. 421 c.p.c. (neppure sollecitati dalla difesa interessata), in difetto assoluto di prova, soltanto integrabile da tali poteri, ma non surrogabile nella colpevole inerzia della parte; né utilizzabile in tale prospettiva la personale consapevolezza della rilevanza del contenuto della relazione acquisita in altro giudizio dal giudice, siccome sua scienza privata.

Essa riteneva quindi, in base alla documentazione esaminabile, l'illegittimità dell'operato unilaterale dell'ente, in assenza di accordo sindacale, su diritti soggettivi già acquisiti dai dipendenti (negata pure dal parere dell'Avvocatura erariale del 14 giugno 2007 la conversione in indebiti dei pagamenti estintivi dei crediti retributivi maturati), dovendo il richiamato obbligo di considerazione degli esiti delle verifiche dell'ispettorato, ai sensi dell'art. 60 d.lg. 165/2001, essere riferito alle responsabilità ed alle eventuali sanzioni disciplinari previste dall'art. 55 d.lg. cit., così giustificando l'avvio di azioni di responsabilità nei confronti dei soggetti colpevoli della non corretta destinazione del fondo, non già di recupero in danno dei dipendenti.

Infine, ribadiva l’assoluta genericità di contestazione dall'ente del conteggio dei lavoratori ricorrenti, a fronte della specificità dell'onere a suo carico, pur nella radicale contestazione del credito.

Con atto notificato il 10 dicembre 2012, Croce Rossa Italiana ricorre per cassazione con quattro motivi, cui resistono i lavoratori con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 416 e 421 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per l'esplicito richiamo (e quindi la prova di esistenza) del verbale ispettivo all'origine della rideterminazione del fondo incentivante nella determinazione direttoriale 17 luglio 2007 n. 86 impugnata dai ricorrenti, pienamente edotti dei rilievi dell'ispettorato e delle vicende successive, ben acquisibile pertanto nell'esercizio dei poteri officiosi giudiziali.

Con il secondo, la ricorrente deduce violazione degli artt. 28, 31, 32 CCNL 1998/2001, 40, terzo comma e 60, sesto comma d.lg. 165/2001, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per il corretto adempimento del proprio obbligo di valutazione dell'esito della verifica amministrativo-contabile, trasmessale con la nota 23 ottobre 2006 n. 137691, di accertamento della corresponsione in eccesso ai dipendenti, a titolo di compenso incentivante, per gli anni 2003, 2004 e 2005 (per quest'ultimo con sospensione del saldo degli acconti versati) della complessiva somma di € 5.154.216,87, comportante la necessità di un suo recupero, attuato con la riduzione, conseguente a rideterminazione, del fondo a ciò destinato per gli anni 2006/2009, con stipulazione di relativi accordi con le rappresentanze sindacali e sul quale non ancora maturato un diritto dei dipendenti alla ripartizione (sorto solo dopo l'accordo sindacale del 12 settembre 2007): senza pertanto alcun recupero diretto di somme nei confronti di singoli dipendenti, ma con erogazione di minori somme per il futuro (a partire dall’anno 2006, relative al fondo incentivante, parte accessoria e variabile della retribuzione), anche sulla scorta di parere favorevole del Consiglio di Stato, I sez. nell'adunanza del 19 novembre 2008, ravvisata come soluzione più percorribile (nel bilanciamento della necessità di recupero di somme irregolarmente versate con la criticità di un'iniziativa diretta nei confronti del personale) per l'effetto compensativo attinto.

Con il terzo, la ricorrente deduce vizio di insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., sotto i profili di apodittica affermazione della maturazione di crediti dei dipendenti anche in relazione ai futuri compensi incentivanti (dal 2006 in poi), contrariamente alla loro natura di voce retributiva variabile (non certa né predefinita in quanto correlata alla produttività ed al raggiungimento di obiettivi), nonché di erronea assunzione di un recupero di somme, in luogo di una rideterminazione obbligata dell'ammontare complessivo del fondo incentivante in funzione riequilibratrice dello sforamento di quello degli anni pregressi.

Con il quarto, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 2033 c.c. e difetto di motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 c.p.c., per erronea interpretazione della delibera direttoriale n. 86/2007 e con incongrua motivazione, attesa la doverosa ripetizione delle somme indebitamente percepite da un dipendente pubblico, purché con modalità tali non aggravarne la situazione economica, insussistenti nel caso di specie in assenza di effettiva erogazione di somme per l'operatività della rideterminazione per il futuro. Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 416 e 421 c.p.c., per l'acquisibilità in via officiosa dal giudice del verbale ispettivo esplicitamente richiamato nella determinazione direttoriale 17 luglio 2007 n. 86 impugnata dai ricorrenti e ad essi noto, è assorbito per l'irrilevanza della sua trattazione, avendo la Corte capitolina comunque deciso nel merito la controversia, con devoluzione a questa Corte dei vizi denunciati con i successivi mezzi. E ciò in applicazione del principio della "ragione più liquida", che, imponendo un approccio interpretativo con la verifica delle soluzioni sul piano dell'impatto operativo, piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica, consente di sostituire il profilo di evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare, stabilito dall'art. 276 c.p.c., in una prospettiva aderente alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, costituzionalizzata dall'art. 111 Cost. (Cass. 28 maggio 2014, n. 12002; Cass. s.u. 8 maggio 2014, n. 9936).

Tutti gli altri motivi (violazione degli artt. 28, 31, 32 CCNL 1998/2001, 40, terzo comma e 60, sesto comma d.lg. 165/2001, per l'adempimento dell'obbligo della Croce Rossa di valutazione dell'esito della verifica amministrativo-contabile, comportante la necessità di recupero delle somme versate in eccesso ai dipendenti per compenso incentivante, per gli anni 2003, 2004 e 2005, attuato con la riduzione del fondo a ciò destinato per gli anni 2006/2009, senza alcun recupero diretto di somme nei confronti di singoli dipendenti: secondo; insufficiente motivazione per apodittica affermazione della maturazione di crediti dei dipendenti anche in relazione ai futuri compensi incentivanti e per erronea assunzione di un recupero di somme, anziché di rideterminazione obbligata dell'ammontare complessivo del fondo incentivante: terzo; violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 c.c., per erronea interpretazione della delibera direttoriale n. 86/2007, attesa la doverosa ripetizione delle somme indebitamente percepite da un dipendente pubblico e incongrua motivazione: quarto) possono essere congiuntamente esaminati, per la loro stretta connessione.

Essi sono fondati per quanto di ragione.

L'assunto secondo cui l’Ente ricorrente avrebbe operato una ripetizione di indebito regolata dall'art. 2033 c.c., come prospettato dai dipendenti a fondamento della domanda, non corrisponde all'esatta qualificazione giuridica dei fatti, i quali non sono sussumibili nell'alveo di tale fattispecie legale, risultando conseguentemente errata anche la soluzione data dalla Corte di appello, che tale prospettazione ha sostanzialmente condiviso.

Giova premettere che, in caso di pubblico impiego privatizzato nel caso di domanda proposta da una amministrazione nei confronti di un proprio dipendente in relazione alle somme corrisposte a titolo di retribuzione, qualora risulti accertato che l'erogazione sia avvenuta sine titulo, è consentita la ripetibilità delle somme ai sensi dell'art. 2033 c.c. e tale ripetibilità non è esclusa per la buona fede dell’accipiens, in quanto questa norma riguarda, sotto il profilo soggettivo, soltanto la restituzione dei frutti e degli interessi (Cass. 8 aprile 2010, n. 8338; Cass 22 dicembre 2008, n. 29926).

Ma nella vicenda che interessa nulla è stato recuperato nei confronti dei singoli lavoratori, i quali nessuna trattenuta hanno subito sulle competenze mensili per ricalcolo del compenso incentivante a ciascuno erogato negli anni interessati dalla verifica ispettiva, pur avendo costoro percepito l'incentivo - come è pacifico in giudizio - in misura superiore a quanto sarebbe spettato ove la parte datoriale avesse correttamente operato, in esatta applicazione delle regole della contrattazione nazionale e in osservanza dei vincoli di bilancio, le cui omissioni restano suscettibili di integrare responsabilità amministrative e contabili (profili tuttavia estranei al presente giudizio).

Invero, la C.R.I., proprio ritenendo (sulla scorta di un parere espresso dall'Avvocatura dello Stato) che non potesse ricorrere un'ipotesi di erogazione sine titulo, a fronte di una prestazione lavorativa già resa, dell'operata verifica del raggiungimento dei risultati e della avvenuta ripartizione del Fondo degli anni 2003 e 2004 concordata con le organizzazioni sindacali - e dunque muovendo da premesse opposte a quelle poste a base della domanda e condivise dalla Corte di appello nella sentenza impugnata - ha posto in essere un'operazione non riconducibile nella ripetizione di indebito prevista dall'art. 2033 c.c..

Deve pure precisarsi che la domanda dei lavoratori non aveva ad oggetto la rivendicazione di differenze retributive (in ipotesi) spettanti per errata ripartizione del fondo in relazione agli anni interessati dal piano di rientro (2006/2010). Non si deduce, in tale domanda, l'erroneità del calcolo del dovuto in relazione agli stanziamenti del fondo per gli anni 2006/2010, ma si contesta "a monte" la composizione del fondo assumendosi l'illegittimità della trattenuta annua deliberata a titolo di rientro contabile.

La domanda proposta dai lavoratori investe, principalmente, la Determinazione Direttoriale n. 86 del 17 luglio 2007 con la quale la C.R.I. dispose il recupero, a carico di tutti i dipendenti del comparto, della somma complessiva di € 5.154.216,87 (distribuita in cinque annualità di € 1.030.843,37), mediante prelievo di tale somma dai Fondi per il trattamento accessorio di ente relativi agli anni 2006/2010.

Al riguardo, il Collegio osserva quanto segue.

La disciplina contrattuale di riferimento è contenuta negli artt. 31 e 32 del CCNL comparto Enti Pubblici non Economici 1998/2001 del 16 febbraio 1999 (come sopra denunciati di violazione). L'art. 31 detta le regole di costituzione del Fondo di Ente per i trattamenti accessori del personale ricompreso nelle Aree A, B e C, stabilendo che "è costituito presso ciascun ente del comparto un Fondo per i trattamenti accessori... " e indica le fonti di finanziamento, elencando con quali risorse economiche il Fondo deve essere alimentato, confermando il principio di precostituzione e tassatività nella contrattazione collettiva nazionale delle fonti di finanziamento di trattamenti accessori. L'art. 32 del CCNL detta le regole per l'utilizzazione del Fondo, che è "prioritariamente finalizzato a promuovere reali e significativi miglioramenti dei livelli di efficienza/efficacia dell’amministrazione e di qualità dei servizi istituzionali, mediante realizzazione, attraverso la contrattazione integrativa, di piani produttivi annuali e pluriennali e di progetti strumentali e di risultato, basati su sistemi di programmazione e di controllo quali - quantitativo dei risultati".

La composizione del Fondo è dunque atto unilaterale dell'Amministrazione, che tuttavia non è libera di decidere tipologia ed entità delle risorse da destinare al finanziamento dei trattamenti accessori, ma deve disporre in conformità al CCNL e alle previsioni legislative di finanza pubblica, mentre è oggetto di accordo sindacale l'utilizzazione delle risorse che vengono a comporre il Fondo. Il compenso incentivante viene dunque attribuito mediante ripartizione tra i dipendenti dell'importo del Fondo per il trattamento accessorio stabilito dall'art. 31 citato, al netto delle somme erogate ai dipendenti per altri titoli cui lo stesso è destinato.

È principio generale del rapporto di impiego pubblico contrattualizzato, affermato dall'art. 8 testo unico d.lg. 30 marzo 2001, n. 165, che la spesa sostenuta dall'Amministrazione per il proprio personale debba essere "evidente, certa e prevedibile nella evoluzione" e che le risorse finanziarie destinate a tale spesa siano "determinate in base alle compatibilità economico-finanziarie definite nei documenti di programmazione e di bilancio". Tale disposizione, di tenore programmatico, ha come destinatarie (anche) direttamente le amministrazioni, che hanno il compito di adottare tutte le misure necessarie a far conoscere l'entità e l'evoluzione delle spese per il personale in rapporto alle prestazioni erogate e ai risultati conseguiti, nonché i controllori, interni ed esterni, che hanno il dovere di segnalare anomalie riscontrate; la norma rinvia dunque anche al titolo V del medesimo d.lg. 165/01 (artt. 58 - 62) relativo al "controllo di spesa". Per le amministrazioni di tutti i comparti sono previste verifiche degli organi interni di controllo sul rispetto dei limiti imposti dalla contrattazione collettiva integrativa e sulle sue implicazioni finanziarie. Inoltre, l'art. 40, terzo comma d.lg. 165/2001 (nel testo originale precedente la riforma introdotta con il d.lg. 150/2009) è volto a sanzionare espressamente con la nullità le clausole del contratto di secondo livello difformi dalle prescrizioni del primo livello e che comportino la violazione di vincoli derivanti dagli strumenti di programmazione economica - finanziaria. Prescrizione quest'ultima che risulta successivamente ribadita dal disposto dell'art. 40 bis del suddetto decreto (introdotto dall'art. 17 L. 448/2001), in forza del quale l'accertamento in sede di verifica e monitoraggio della contrattazione collettiva di costi non compatibili con i vincoli di bilancio delle amministrazioni determina la conseguente applicazione della sanzione della nullità della clausola difforme.

Alla luce di tali principi, deve ritenersi legittima la riduzione operata dalla C.R.I., in conformità alla cogente previsione dell'art. 40, terzo comma d.lg. 165/2001 (nel testo applicabile ratione temporis alla fattispecie), per il vincolo di bilancio posto dalla relazione ispettiva trasmessa con nota 23 ottobre 2006, n. 137691, cui la C.R.I. era tenuta a conformarsi.

Né di converso tale riduzione integrava alcuna violazione di diritti quesiti dei lavoratori. Invero, l'operazione di recupero di cui alla D.D. n. 86/07 veniva a gravare su fondi non ancora costituiti, tali dovendo ritenersi anche quelli relativi agli anni 2006 e 2007, la cui costituzione venne sospesa in corso di verifica ispettiva. Occorre pure tenere conto della natura retributiva del compenso incentivante ai sensi dell'art. 28, primo comma, lett. e) CCNL 1998/01, da corrispondere tuttavia non già con cadenza periodica mensile come gli altri istituti ordinari secondo lo svolgimento cronologico della prestazione lavorativa, ma dopo la necessaria verifica del raggiungimento dei risultati secondo le disposizioni contenute nell'art. 31, secondo comma CCNL cit.. Pertanto, al momento della d.d. n. 86/07 non era ancora maturato, per gli anni 2006/2007 (e a maggior ragione per gli anni successivi), il diritto al compenso incentivante non essendosi perfezionati tutti gli elementi costitutivi della fattispecie, integrati dalla prestazione lavorativa e dalla compiuta verifica del raggiungimento dei risultati relativi agli obiettivi e programmi di incremento della produttività dell’anno (in relazione all'a/i debeatur) e dalla ripartizione del fondo a seguito di accordo sindacale (in relazione al quantum debeatur). Il recupero oggetto del piano quinquennale di rientro ha riguardato, dunque, somme non ancora entrate nel patrimonio individuale dei singoli dipendenti.

Quanto al Fondo per l'anno 2005, relativamente al quale furono erogati al personale solo acconti, con sospensione del pagamento del saldo (che sarebbe dovuto avvenire nel maggio 2006), deve ritenersi che tutti gli elementi della fattispecie costitutiva del diritto - ed ai quali dianzi si è fatto richiamo - si fossero già perfezionati anteriormente alla D.D. n. 86/07 e che, dunque, non vi fossero i presupposti per negare agli odierni resistenti il pagamento del residuo dovuto.

Può quindi concludersi che l'Ente ben poteva (ed anzi doveva) procedere al recupero delle somme corrisposte in mancanza di valida copertura finanziaria e con irregolarità contabili in forme quali la rimodulazione di retribuzioni accessorie e comunque aggiuntive per il futuro, compatibili con la necessità di predisporre un piano di rientro indicato nella nota del Ministero dell'Economia, mediante rideterminazione del Fondo a ciò destinato per gli anni 2006/2010, con stipulazione di relativi accordi con le rappresentanze sindacali, mentre non poteva incidere su diritti già acquisiti, anche nel quantum, quale doveva ritenersi il compenso incentivante maturato per l'anno 2005 secondo il piano di utilizzo definito nel relativo accordo negoziale con le OO.SS. intervenuto prima dell'accertamento ispettivo.

Vale pure osservare incidentalmente che, con la riforma attuata dal d.lg. n.150 del 2009, con l'introduzione (art. 54), all'art. 40, del comma 3 quinquies, l'apparato sanzionatorio sopra accennato è stato ulteriormente rafforzato, con previsione della sostituzione automatica delle disposizioni illegittime con quelle legali derogate e la conservazione del contratto in caso di nullità parziale (artt. 1339 e 1419 c.c.) e contemplandosi espressamente l'obbligo, per le pubbliche amministrazioni, in caso di "accertato superamento dei vincoli finanziari", di "recupero nell'ambito della sessione negoziale successiva".

In definitiva, non si è in presenza di una ripetizione di indebito operata ai sensi dell'art. 2033 c.c., ma di una rimodulazione dei compensi accessori per il futuro, imposta dalla necessità di compensare con minori erogazioni de futuro le eccedenze indebite del passato, pertanto incidendo su compensi sui quali, relativamente agli anni dal 2006 al 2010, nessun diritto ad una diversa e maggiore erogazione si era perfezionato. Il personale odierno resistente non ha quindi subito alcuna decurtazione dello stipendio, bensì una attribuzione di trattamenti economici aggiuntivi rimodulati alla stregua della rideterminazione al ribasso del Fondo di ente per gli anni successivi al 2005.

In sede di memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c. la difesa dei controricorrenti ha prodotto il decreto 26 febbraio 2015 del Presidente della Repubblica che, su parere del Consiglio di Stato, si è pronunciato, accogliendoli, sui ricorsi straordinari proposti da altri lavoratori nei confronti della C.R.I. aventi il medesimo petitum, ossia aventi ad oggetto l'illegittimità del "recupero del compenso incentivante relativo agli anni dal 2003 al 2005". Il decreto, a seguito di una ricostruzione fattuale del tutto sovrapponibile a quella della presente causa, ha pronunciato sul rapporto controverso, ravvisando l'insussistenza di un pagamento indebito ai dipendenti, i quali, "alla luce degli artt. 1429, 1431 e 2126 c.c. e nel rispetto dei principi di proporzionalità e adeguatezza della retribuzione di cui all'art. 36 Cost., avevano indubbiamente titolo a percepire o, a seconda dei casi, trattenere tali compensi che, oltre tutto erano stati loro corrisposti per prestazioni effettivamente rese, ed in base ad ordinanze commissariali della C.R.I. e ad accordi tra l'ente e le organizzazioni sindacali". Avverso tale pronuncia non risulta che sia stato proposto ricorso ai sensi degli artt. 111, ottavo comma Cost. e 362 c.p.c. Come affermato da S.U. n. 23464 del 2012 (v. pure S.U. 10414/2014), in tema di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, la decisione presidenziale conforme al parere del Consiglio di Stato ripete dal parere stesso la natura di atto giurisdizionale in senso sostanziale, come tale impugnabile in cassazione per motivi di giurisdizione (S.U. 10414/2014, v. pure S.U. 20569 del 2013).

Sebbene l'art. 7 c.p.a. abbia definito il perimetro delle controversie devolute alla giurisdizione amministrativa e, all'ultimo comma, abbia precisato che il ricorso straordinario è ammesso unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa, cosi riducendo l'ambito di applicazione dell'istituto ed escludendo ogni possibilità di intervento in sfere di competenza della giurisdizione ordinaria, osserva il Collegio che la pronuncia anzidetta, sollecitata ad individuare patologie della contestata delibera, le ha ravvisate anche all’esito di disamina del rapporto controverso.

E' stato di recente osservato dalle S.U. di questa Corte (S.U. n. 19786/15) che, come ha ricordato la Corte costituzionale, l'estensione del ricorso straordinario anche a materie di competenza dell'autorità giudiziaria ordinaria era il frutto di una risalente tradizione interpretativa, consolidatasi praeter legem nel presupposto della natura amministrativa del rimedio, in virtù della quale era consentito al giudice ordinario disapplicare la decisione sul ricorso straordinario al Capo dello Stato. La netta esclusione di tale estensione da parte del codice del processo amministrativo risponde ad una finalità di "ricomposizione sistematica", perché è consequenziale alla scelta del legislatore del 2009 nel senso della traslazione del ricorso straordinario dall'area dei ricorsi amministrativi a quella dei rimedi giustiziali, che aveva fatto venire meno il presupposto su cui si fondava la tradizione interpretativa su ricordata (Corte cost. 2 aprile 2014, n. 73).

Ma al di là dei rilievi appena formulati sulla estensione e sui limiti della potestas judicandi, appare al Collegio assorbente che nella fattispecie in esame non sia configurabile giudicato formatosi in sede di decisione del ricorso straordinario, perché manca l'identità soggettiva. Questa Corte ha difatti affermato che, affinché la decisione su un ricorso straordinario al Capo dello Stato possa essere invocata con autorità di giudicato (ove emessa, come quella di cui si discute, su ricorsi proposti successivamente al 16 settembre 2010, data di entrata in vigore del d.lg. 2 luglio 2010, n. 104) sia necessaria l'identità delle parti dei due giudizi (Cass. 2 settembre 2013, n. 20054): presupposto nella specie insussistente.

Neppure è ipotizzabile un'efficacia riflessa del giudicato, poiché nei confronti di soggetti rimasti estranei al processo tale efficacia è ravvisabile solo allorquando questi siano titolari di un diritto dipendente o comunque di un diritto subordinato a tale situazione, con la conseguenza che l'efficacia del giudicato non si estende a quanti siano titolari di un diritto autonomo rispetto al rapporto giuridico definito con il giudicato (Cass. 19 marzo 2013, n. 6788; Cass. 31 gennaio 2014, n. 2137).

Conclusivamente, il ricorso va accolto per quanto di ragione e la sentenza va cassata con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione.