Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 dicembre 2015, n. 25008

Tributi - Rimborso di un’imposta agli eredi - Omessa indicazione del credito nella dichiarazione di successione - Perdita del diritto alla restituzione - Esclusione

 

Svolgimento del processo

 

La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, confermando la decisione di primo grado, riteneva legittimo il silenzio-rifiuto dell'amministrazione finanziaria in relazione a un'istanza di rimborso del contributo straordinario per l'Europa presentata da (...) quale erede di (...) che aveva eseguito il versamento nell'anno d'imposta 1996.

Ad avviso della commissione ostava al rimborso il mancato adempimento della procedura prevista dall'art. 48, 3° comma, del d.lgs. n. 346 del 1990, atteso che il credito in questione non era stato indicato nella dichiarazione di successione o in una dichiarazione integrativa.

La (...) ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza d'appello, deducendo un unico motivo.

L'amministrazione ha resistito con controricorso.

La ricorrente ha depositato una memoria.

 

Motivi della decisione

 

I.- Con l'unico motivo di ricorso la contribuente denunzia la violazione e falsa applicazione dell'art. 1 della L. n. 488 del 1998 e dell'art. 48, 3° comma, del d.lgs. n. 346 del 1990, l'erogazione del rimborso parziale (per il 60 %) del contributo straordinario per l'Europa essendo stata dalla legge subordinata alla sola condizione dell'effettivo previo versamento del contributo stesso; donde non poteva la commissione tributaria, una volta accertato che una simile condizione si era verificata, negare il rimborso in ragione del mancato adempimento, di natura solo formale, previsto dall'art. 48 citato.

II.- Il motivo è fondato.

Emerge dall'impugnata sentenza e dal controricorso dell'amministrazione che l'esistenza (id est, l'an) del diritto al rimborso del contributo versato dal de cuius non era stata contestata.

Né risulta eccepito che l'erede testamentaria abbia in effetti mancato di presentare la dichiarazione di successione in morte del de cuius, una volta aperta - il 15-7-1997 - la successione di questi.

Il cuore della controversia attiene invece alle presunte irregolarità in cui la ricorrente sarebbe incorsa in base al disposto ex art. 48, 3° comma, del d.lgs. n. 346 del 1990, avendo omesso di presentare una dichiarazione integrativa della successione, tesa a indicare giustappunto l'esistenza del credito di cui si discute. Tale circostanza la commissione tributaria ha ritenuto ostativa alla materiale erogazione del rimborso.

III. - Una simile tesi non è però giuridicamente condivisibile, e questo per due concorrenti ragioni.

Innanzi tutto va rammentato che in tema di successione non può prescindersi dall'ormai acquisito principio di emendabilità della dichiarazione fiscale, talché la dichiarazione di successione è sempre emendabile in quanto non ha valore confessorio e non è fonte dell'obbligazione tributaria.

Questa possibilità di emendare la dichiarazione è il portato dei principi costituzionali di capacità contributiva e buona amministrazione, nonché dell'essenziale ulteriore principio di collaborazione e buona fede che deve improntare i rapporti tra l’amministrazione finanziaria e il contribuente, donde, secondo il prevalente orientamento di questa corte, può essere esercitata anche oltre il termine annuale di presentazione, previsto dall'art. 31 del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, salva l'applicazione delle sanzioni di cui ai successivi artt. 50 e ss., e senza che neppure l'ulteriore termine triennale, contemplato dall'art. 23 del predetto d.lgs., possa avere efficacia preclusiva (v. Sez. 5A n. 2229-15, cui adde Sez. 5A n. 4755-08).

Vero è che su questo tema l'orientamento citato convive con altro indirizzo che afferma la natura perentoria e decadenziale del termine triennale concesso dall'art. 23 d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, per dedurre e dimostrare l'esistenza di passività non indicate nella dichiarazione; termine che assurgerebbe, in tal guisa, a limite inderogabile al potere di deduzione e dimostrazione delle passività (v. Sez. 5A n. 11216-07; n. 4810-11) .

Ma anche a voler prescindere dal non essere qui in discussione le passività ma il credito da rimborso, vi è che neppure il termine triennale potevasi nella specie considerare decorso al momento della presentazione della domanda di rimborso, posto che dal ricorso risulta - e in proposito nessuna contestazione è stata mossa dall'amministrazione nel proprio controricorso - che la domanda in esame era stata presentata da (...) nella propria qualità di erede universale, il 28-2-2000, a fronte della successione apertasi - come detto - il 15- 7-1997.

Consegue che la commissione tributaria ha mancato di considerare che era proprio quella domanda che, nelle condizioni date, avendo come destinatario la stessa amministrazione finanziaria, poteva (e doveva) valere come dichiarazione volta a indicare il credito e a integrare, nel senso appena detto, la dichiarazione di successione.

IV. - La seconda ragione che osta a condividere l'assunto della commissione tributaria è che l'art. 48 del d.lgs. n. 346 del 1990 non ha il significato che essa ha inteso attribuirgli.

Come la rubrica evidenzia, la norma considera i divieti e gli obblighi di soggetti terzi, e palesa la sua ratio nel costringere indirettamente l'erede a dichiarare la successione.

Una volta che la dichiarazione di successione sia stata presentata - cosa nella specie incontroversa - l'art. 48, 3° comma, non può avere alcun effetto bloccante quanto al diritto dell'erede a ottenere il rimborso di imposte indebitamente versate dal defunto.

Non lo può avere perché la norma citata non si riferisce al credito derivante da rapporti d'imposta, così come è dato desumere dall'ultimo alinea della disposizione, secondo cui il debitore del defunto, una volta effettuato il pagamento, deve darne comunicazione formale (con lettera raccomandata) all'ufficio del registro competente per la successione.

La norma invero non avrebbe alcun senso se riferita alla controparte dell'obbligazione d'imposta, la quale è direttamente in grado di stabilire, in base alla documentazione dall'erede offerta, se l'avverso credito esista o meno. Ed è illogico pretendere di subordinare l'adempimento dell'obbligazione restitutoria, da parte dell'erario, a un dato dichiarativo circa l'esistenza del credito nei casi in cui il credito sia riconosciuto in sé esistente.

La diversa interpretazione finirebbe con l'introdurre surrettiziamente, in pregiudizio del creditore, una causa di decadenza non prevista dalla legge.

Può quindi essere affermato il principio secondo cui la norma ex art. 48, 3° comma, del d.lgs. n. 346 del 1990 non interferisce col diritto alla restituzione dei tributi indebitamente versati dal de cuius nei casi in cui - come nella specie - il credito restitutorio sia dall'amministrazione riconosciuto esistente. Se dall'erede è dedotto un credito restitutorio non prescritto, e dal cui vanto egli non sia decaduto in base alle ordinarie previsioni normative, l'ufficio, che riconosca l'esistenza del credito, è tenuto ad adempiere.

V. - L'impugnata sentenza va dunque cassata con rinvio alle medesima commissione tributaria regionale, diversa sezione, la quale, uniformandosi ai principi esposti, provvederà a quantificare il credito oggetto dell'azione di rimborso.

La commissione provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa l'impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla commissione tributaria regionale della Lombardia.