Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 10 dicembre 2015, n. 24957

Studi di settore - L’ufficio non può limitarsi a disattendere i rilievi del contribuente

 

Osserva

 

La CTR di Milano ha respinto l’appello dell’Agenzia -appello proposto contro la sentenza n. 133/08/2010 della CTP di Bergamo che aveva accolto il ricorso della "M.I. srl"- ed ha così confermato il parziale annullamento dell’avviso di accertamento per IVA-IRAP per l’anno 2004 (fondato sull’applicazione degli studi di settore) con conseguente determinazione di maggiori ricavi per € 700.000,00 in luogo di € 746.262,00 oggetto dell’accertamento.

La predetta CTR ha motivato la decisione dichiarando di condividere la decisione del giudice di primo grado, siccome sorretta da argomentazioni congrue, specifiche e conferenti. Le censure di parte appellante, secondo cui le menzionate argomentazioni sono "sfornite di supporto probatorio", erano contraddette dal fatto che la stessa parte appellante aveva asserito "di avere tenuto conto dei fattori che hanno inficiato le risultanze dello studio di settore". Il giudice di prime cure aveva, d’altronde, "operato una diversa quantificazione" della effettiva incidenza di tali fattori sui redditi presuntivamente calcolati.

L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

La parte contribuente non si è difesa.

Il ricorso - ai sensi dell’art. 380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore, componente della sezione di cui all’art.376 cpc - può essere definito ai sensi dell’art. 375 cpc. Infatti, con il primo motivo di impugnazione (improntato alla violazione dell’art. 36 del D.Lgs. 546/1992) la parte ricorrente si duole del totale difetto di motivazione della sentenza impugnata, siccome argomentata con il mero richiamo a quella di primo grado, senza che si possa inferire il percorso logico delle determinazioni del giudicante di appello, che avrebbero dovuto essere autonome rispetto a quelle del giudice di prime cure.

Il motivo appare manifestamente infondato, alla luce della pregressa giurisprudenza di questa Corte:"Il riferimento, da parte del giudice d'appello, alla motivazione adottata nella sentenza di primo grado devesi ritenere legittimo qualora il giudice medesimo, richiamando nella propria pronuncia gli elementi essenziali di quella esposizione, dimostri non solo di averla fatta propria, ma anche di aver esaminato le censure contro di essa sollevate e di averle ritenute infondate" (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 835 del 05/02/1980; più di recente Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2268 del 02/02/2006). Nella specie di causa, il riesame originale della materia di causa da parte del giudice di appello è fatto lampante dalla circostanza che quest’ultimo ha dato adeguato conto di quali erano stati gli specifici argomenti (la credibilità delle ragioni di marginalità economica protestate dalla parte contribuente, in relazione alla ubicazione dell’azienda, al ridotto numero dei dipendenti ed alla scarsa riconoscibilità sul mercato) in ragione dei quali il giudice di primo grado aveva raggiunto il suo convincimento -così palesando di averli esaminati e considerati analiticamente- senza necessità di dover fare specifico esame delle censure che sono state proposte dall’appellante società, siccome con queste si era inteso semplicemente riproporre lo stesso materiale di contestazioni formulato in primo grado.

D’altronde, la parte ricorrente non ha dato specifico ed analitico conto degli argomenti con i quali ha censurato la decisione di primo grado (in tal modo violando il canone di autosufficienza del ricorso per cassazione) così che non è possibile intendere se sia stata la semplice riproposizione delle questioni già esaminate e risolte in primo grado ad indurre il giudice di appello ad avvalersi (legittimamente) della modalità di motivazione per richiamo degli argomenti già sviluppati dal giudice di primo grado.

Con il secondo motivo (centrato sulla violazione dell’art.62 sexies del D.L. n.331/1993) la parte ricorrente si duole poi che la CTR abbia sostanzialmente ritenuto che l’Ufficio si fosse limitato a fare acritica ricezione delle risultanze degli studi di settore, senza tener conto delle giustificazioni di scostamento addotte dalla parte contribuente, mentre invece già dalla lettura dell’avviso di accertamento impugnato emergeva che l’Ufficio aveva dato ampio ingresso ai rilievi ed ai dati rappresentati dal contribuente in sede di contraddittorio procedimentale.

Il motivo appare inammissibilmente formulato, siccome si presenta del tutto in contrasto con l’onere di autosufficienza di ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 cpc.

Sul punto è sufficiente osservare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso (anche sotto il profilo della corrispondenza ai requisiti minimi di legge) in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento -il quale non è atto processuale, bensì amministrativo, la cui motivazione, comprensiva dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che lo giustificano, costituisce imprescindibile requisito di legittimità dell'atto stesso- è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto atto che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di cassazione di esprimere il suo giudizio in proposito esclusivamente in base al ricorso medesimo (per tutte, Cass. n. 15867 del 2004).

La parte ricorrente non si è attenuta a siffatto onere, limitandosi a ribadire in termini apodittici l’assunto di idoneità della motivazione del provvedimento impugnato (sotto il profilo dell’adeguamento alle risultanze del contraddittorio preprocessuale, e perciò rispetto alle giustificazioni di scostamento dalla determinazione presuntiva del "ricavo puntuale") sicché l’esame del merito della questione resta inevitabilmente assorbito dal rilievo dell’inammissibilità del ricorso.

Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per inammissibilità.

Roma, 10 gennaio 2015

ritenuto inoltre:

che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti;

che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie;

che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione a riguardo del primo motivo di impugnazione, mentre dissente per quanto concerne  secondo, a riguardo del quale la parte ricorrente non pare essere incorsa nel vizio di inammissibilità, avendo delucidato in maniera adeguata le premesse fattuali delle ragioni di doglianza, anche a mezzo della trascrizione in atto degli aspetti salienti della motivazione del provvedimento impositivo. Detto motivo appare tuttavia infondato e da disattendersi, non risultando che il provvedimento impositivo (per quanto trascritto in atto) sia rispettoso della previsione dell’art. 62 sexies dalla ricorrente invocata, sicché giustamente il giudice del merito ne ha accclarato l’illegittimità. Risultando invero incontroverso che la parte contribuente abbia -nella sede del contraddittorio amministrativo-addotto giustificazioni specifiche all’assunto di inapplicabilità dello studio di settore, la motivazione dell’avviso non può limitarsi (come è avvenuto nel caso di specie) alla semplice postulazione dell’inidoneità della documentazione prodotta, dovendo invece l’Ufficio (specie ove sia appunto incontroverso che il contribuente abbia formulato rilievi e prospettato dati in contrasto con i presupposti dell’accertamento) fornire "la dimostrazione dell'applicabilità dello ‘standard’ prescelto al caso concreto oggetto di accertamento" (in termini si veda, recentemente, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3415 del 20/02/2015). Nulla di tutto ciò rinvenendosi nel provvedimento impositivo (alla luce di quanto trascritto in atto) del tutto correttamente il giudicante ha concluso per la "contraddittorietà" della parte motiv del provvedimento e per la conseguente illegittimità di esso;

che le spese di lite non necessitano di regolazione, atteso che la parte vittoriosa non si è costituita.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.