Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 09 dicembre 2015, n. 24829

Previdenza - Prestazioni pensionistiche integrative aziendali - Perequazione automatica - Domanda

 

Svolgimento del processo

 

1 - La sentenza attualmente impugnata, pronunciandosi sull’appello principale e sull’appello incidentale avverso la sentenza del Tribunale di Torino del 10 aprile 2009 — proposti rispettivamente da S. A. e altri sessanta ex dipendenti della Banca di Roma tutti titolari di pensione integrativa a carico del Fondo Pensione per il Personale della Banca di Roma (d’ora in poi: Fondo) con decorrenza anteriore al 28 aprile 1993 — per quel che qui interessa, accoglie parzialmente l’appello principale e respinge quello incidentale, condannando il Fondo al pagamento in favore dei pensionati delle somme di denaro ivi determinate, corrispondenti alla perequazione automatica delle prestazioni pensionistiche integrative aziendali per il biennio 1999-2000, oltre al conseguente incremento mensile sui ratei maturati a decorrere dall’1 gennaio 2007, con gli accessori di legge.

La Corte d’appello di Torino, per quel che qui interessa, precisa che:

a) la sentenza appellata ha respinto la domanda dei pensionati volta ad ottenere il pagamento di somme dovute a titolo di perequazione automatica delle prestazioni pensionistiche integrative aziendali per il quinquennio 1999-2003 o in subordine per il periodo 2001-2003, previa declaratoria di illegittimità o comunque di inopponibilità nei suoi confronti dell’accordo aziendale 12 febbraio 1999, della delibera assembleare 3 maggio 2000 e della conseguente approvazione della COVIP (Commissione di vigilanza sui fondi pensione) del 20 dicembre 2000, a seguito delle quali era stato modificato lo statuto del Fondo medesimo e congelata per cinque anni, cioè fino al 2003, la perequazione;

b) come affermato anche dal primo giudice è da escludere che l’accordo aziendale 12 febbraio 1999 potesse modificare in pejus la prestazione pensionistica in oggetto, mentre sicuramente era abilitata a farlo la delibera assembleare 3 maggio 2000 regolarmente approvata dall’organo di vigilanza, in quanto nella previdenza integrativa la perequazione si configura come un diritto disponibile del Fondo;

c) la procedura seguita per la relativa modifica statutaria (assemblea straordinaria per referendum finalizzato all’approvazione del nuovo statuto, votazione referendaria, delibera assembleare e successiva approvazione COVIP) — che è da configurare come "atto a formazione progressiva a doppia componente privatistica e pubblicistica", visto che l’ultimo atto è l’approvazione dell5organo di vigilanza - è stata formalmente corretta;

d) tuttavia, la suindicata configurazione della procedura stessa rende evidente la non condivisibilità della tesi del Fondo - fatta propria dal primo giudice - secondo cui la suddetta delibera assembleare avrebbe dovuto impugnarsi con l’azione di annullamento in base agli artt. 23 e 1442 cod. civ. e con le conseguenti limitazioni dei motivi di impugnazione;

e) infatti, la presenza dell’approvazione dell’organo di vigilanza comporta che tale atto, se illegittimo, possa essere disapplicato dal giudice ordinario, senza alcuna necessità di azione di annullamento con conseguente decorso dei termini prescrizionali;

f) in presenza di squilibri finanziari è certo che la suindicate modifiche potessero influire in peius sulle prestazioni pensionistiche anche di chi era già in quiescenza e questo comporta il rigetto della domanda principale del pensionato, volta ad ottenere la disapplicazione nei propri confronti del blocco della perequazione automatica per l’intero quinquennio di riferimento;

g) tuttavia, tali modifiche peggiorative non potevano avere effetti retroattivi rispetto alla data della relativa deliberazione e, quindi, non potevano incidere sui trattamenti già entrati nel patrimonio del pensionato - nella specie: su quelli del 1999 e del 2000, nel cui ammontare era già entrata a far parte la corrispondente perequazione automatica (vedi Cass. 21 gennaio 2000, n. 689) - in quanto diversamente la disposizione dell’art. 18, comma 7, del d.lgs. n. 124 del 1993 sarebbe del tutto elusa;

h) ne consegue che l’atto di approvazione della COVIP del 20 dicembre 2000 - nel quale la Commissione di Vigilanza, dopo essersi manifestata consapevole della necessità di non applicare il contenimento della misura delle pensioni a coloro che avevano conseguito il trattamento prima dell’entrata in vigore del nuovo regime, ha poi contraddittoriamente approvato tutte le modifiche statutarie senza alcuna limitazione - va disapplicato limitatamente alla disposta approvazione dell’art. 58 dello statuto effettuata, nei confronti degli attuali appellanti principali, senza eccettuare dal blocco della perequazione automatica gli anni 1999 e 2000 per i quali il trattamento pensionistico, comprendente anche la perequazione automatica, era già entrato nel patrimonio dei destinatari.

2. - Il ricorso del Fondo Pensione per il Personale della Banca di Roma domanda la cassazione della sentenza per quattro motivi; resistono, con controricorso, S. A. e gli altri indicati in epigrafe, che propongono, a loro volta, ricorso incidentale per un motivo, cui replica il Fondo con controricorso.

Le parti depositano anche memorie ex art. 378 cod. proc. civ.

 

Motivi della decisione

 

Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi perché proposti avverso la medesima sentenza.

Sempre in via preliminare va precisato che i presenti ricorsi sono assoggettati ratione temporis alle prescrizioni di cui all’art. 366-bis cod. proc. civ., che risultano essere state correttamente applicate.

I - Sintesi dei motivi del ricorso principale

1. Il ricorso principale è articolato in quattro motivi.

1.1- Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 70 cod. proc. civ. e dell’art. 23 cod. civ., deducendosi che poiché il Fondo Pensione per il Personale della Banca di Roma (d’ora in poi: Fondo) è persona giuridica di diritto privato, riconosciuta ai sensi dell’art. 12 cod. civ. e successive modificazioni, nella presente controversia, avente ad oggetto l’annullamento della delibera assembleare del Fondo stesso, il contraddittorio avrebbe dovuto essere integrato con la partecipazione del Pubblico Ministero nei gradi di merito. Siccome ciò non è avvenuto la sentenza impugnata sarebbe nulla.

1.2 - Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 59, comma 3, settimo periodo, della legge n. 449 del 1997.

Si sostiene che - diversamente da quanto ritenuto dalla Corte torinese - la suindicata disposizione ha attribuito all’autonomia contrattuale collettiva (per il periodo 1 gennaio 1988-30 giugno 1999) ima piena capacità dispositiva dell’assetto regolativo delle forme pensionistiche in essere nel settore del credito, proprio per agevolare la trasformazione dal regime della prestazione definita a quello della contribuzione definita. Pertanto anche gli accordi di blocco temporaneo della perequazione stipulati nel suddetto periodo devono considerarsi validi ed operanti senza necessità del concorso costitutivo delle fonti interne del Fondo. Ne consegue che la delibera assembleare 3 maggio 2000 assume rispetto all’accordo aziendale 12 febbraio 1999 il valore di una semplice presa d’atto e non di una ratifica e, a sua volta, alla determinazione della COVIP (Commissione di vigilanza sui fondi pensione) del 20 dicembre 2000 va attribuito valore meramente accertativo e non costitutivo.

1.3 - Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 18, comma 7, del d.lgs. n. 124 del 1993.

Si rileva che la norma suindicata legittima un intervento eccezionale di deroga in pejus rispetto ad un precedente atto di autonomia collettiva ma: 1) da un lato, si riferisce soltanto alle fonti istitutive di cui al precedente art. 3 e non agli atti di autonomia statutaria, come la delibera assembleare del 3 maggio 2000; 2) comunque, laddove prevede la salvaguardia dei diritti quesiti va riferita esclusivamente alle prestazioni pensionistiche maturate e non alla perequazione, che per sua natura costituisce un incremento futuro.

Pertanto la suindicata delibera è valida anche nella parte in cui dispone il blocco della perequazione per gli anni 1999 e 2000, diversamente da quanto affermato dalla Corte d’appello.

1.4- Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 12, 13, 1322 e 1442 cod. civ., dell’art. 12, secondo comma, delle Preleggi nonché dell’art. 17, comma 2, del d.lgs. n. 124 del 1993.

Si sostiene che la delibera assembleare del Fondo in oggetto avrebbe dovuto essere impugnata dal partecipante al Fondo con azione di annullamento ex art. 23 cod. civ. entro il termine quinquennale di prescrizione previsto dall’art. 1442 cod. civ.

In particolare, si rileva che il Fondo è persona giuridica di diritto privato riconducibile alla categoria delle "altre istituzioni di carattere privato" (ex art. 12 cod. civ., abrogato ma sostanzialmente riprodotto sul punto dall’art. 1 del d.P.R. n. 361 del 2000) e che, pertanto, non è condivisibile la configurazione - sostenuta nella sentenza impugnata - del procedimento di modifica statutaria del Fondo come atto a formazione progressiva a doppia componente privatistica e pubblicistica, il cui ultimo atto sarebbe l’approvazione dell’organo di vigilanza.

Infatti, quanto agli effetti dell’approvazione della COVIP - che va distinta dalla autorizzazione - si deve ritenere che l’atto anche prima dell’approvazione fosse perfetto, cioè completo di tutti gli elementi necessari alla sua esistenza giuridica, benché sia divenuto efficace solo dopo il controllo positivo, con retroazione dell’efficacia alla data della sua adozione (arg. ex Consiglio di Stato, Sez. IV, 12 agosto 2005, n. 4364).

Ne deriva che la delibera assembleare in argomento non può che essere qualificata come un atto di autonomia privata idoneo di per sé a produrre effetti giuridici, anche se condizionati all’approvazione della COVIP (vedi Cass. SU 26 febbraio 2004, n. 3892).

Conseguentemente, in assenza di una specifica normativa in materia di impugnativa delle delibere assembleati dei Fondi pensione, la presente fattispecie, in base all’art. 12, secondo comma, delle Preleggi, deve essere configurata come annullabilità e non come nullità - visto che in tema dì invalidità delle delibere degli enti collettivi la categoria generale è quella dell’annullabilità ~ e deve considerarsi disciplinata dall’art. 1442 cod. civ., che per la generale azione di annullamento prevede la prescrizione quinquennale.

II - Sintesi del ricorso incidentale

2 - Con l’unico motivo di ricorso incidentale si denunciano: a) in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 18, comma 7, del d.lgs. n. 124 del 1993; b) in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., motivazione contraddittoria e insufficiente su un punto decisivo della controversia.

Si sostiene che, l’affermazione della Corte d’appello dell’insussistenza della distinzione, nell’art. 18, comma 7, cit., tra "fonti istitutive" e "fonti costitutive", con conseguente inserimento fra queste ultime fonti anche delle delibere assembleali dei Fondi Pensioni, avrebbe dovuto portare all’applicazione dei limiti previsti dalla norma suindicata anche alle anzidette delibere, con conseguente divieto per esse di introdurre modifiche in pelus nei confronti di coloro che alla data del 28 aprile 1993 avevano già maturato il diritto al conseguimento della prestazione, comprendente anche la perequazione automatica.

III - Esame delle censure

3. - Il primo motivo del ricorso principale è inammissibile.

3.1. - Infatti, per un consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte, nei procedimenti in cui sia prescritto l’intervento obbligatorio in causa del P.M., l’omessa partecipazione dello stesso al giudizio di primo grado dà luogo a nullità della sentenza che si converte, ai sensi degli artt. 158 e 161 cod. proc. civ., in motivo di impugnazione, che può essere proposto soltanto nei limiti e secondo le regole dell’appello, sicché ove manchi il motivo di gravame sul punto, la questione non può essere rilevata d’ufficio dal giudice di appello, né dare luogo a vizio denunciabile con ricorso per cassazione (vedi, fra le tante: Cass. 31 marzo 2011, n. 7423; Cass. 23 febbraio 2000, n. 2073).

3.2. - Nella specie il Fondo ricorrente non dimostra - nel rispetto degli oneri di specificazione e deposito indicati nell’art. 366, n. 6, cod. proc. civ. e nell’art. 369, n. 4, cod. proc. civ. (vedi, per tutte: Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726) - di avere proposto un motivo di appello in merito alla omessa partecipazione del P.M. nel giudizio di primo grado e anzi si duole del mancato rilievo d’ufficio, da parte della Corte d’appello, della suddetta mancanza, senza tenere conto del suindicato orientamento.

4. - Quanto agli altri motivi del ricorso principale, per esigenze di economia espositiva va - dapprima esaminato il quarto motivo del ricorso principale, la cui fondatezza assorbe ogni altra censura (sia del ricorso principale sia del ricorso incidentale).

5. - Come affermato anche dal ricorrente principale - e non contestato dal ricorrente incidentale - il Fondo Pensione per il Personale della Banca di Roma - così come analoghi Fondi di previdenza integrativa - ha natura di persona giuridica di diritto privato, ex art. 12 cod. civ., la cui abrogazione da parte del d.P.R. n. 361 del 2000, in vigore dal 22 dicembre 2000, è irrilevante ai presenti fini, cosi come è irrilevante a quale categoria tra quelle previste dalla normativa sulle persone giuridiche di diritto privato sia riconducibile il Fondo.

In quanto pacificamente tale - come risulta anche dall’art. 1 del relativo Statuto, secondo cui: «in riferimento al Decreto Legislativo n. 124 del 21 aprile 1993 ed in attuazione degli Accordi Aziendali del 30 luglio 1998, del 12 febbraio 1999, il Fondo di Previdenza per il Personale della Banca di Roma, persona giuridica risultante dall’unificazione del "Fondo di Previdenza per il Personale del Banco di Santo Spirit"" (DPR n. 537 del 23.4.1952) e del "Fondo Pensione per il Personale del Banco di Rom" (DPR n. 759 del 17.5,1951), assume la denominazione di""Fondo Pensione per il Personale della Banca di Roma"» - il Fondo è assoggettato alle disposizioni codicistiche che disciplinano le persone giuridiche di diritto privato.

Ne consegue che, diversamente da quanto affermato dalla Corte d’appello, l’azione per far valere l’eventuale contrarietà a norme imperative di delibere dell’assemblea dei Partecipanti al Fondo - e nella specie, della delibera assembleare 3 maggio 2000 - è disciplinata dall’art. 23 cod. civ., il cui primo comma, stabilisce che le deliberazioni dell’assemblea della persona giuridica di diritto privato "contrarie alla legge, all’atto costitutivo o allo statuto possono essere annullate su istanza degli organi dell’ente, di qualunque associato o del pubblico ministero".

6. - Come già ritenuto da questa Corte in analoga controversia (Cass. 18 giugno 2014, n. 13855) la violazione di norme imperative, da parte di una delibera assembleare di una persona giuridica privata, modificativa dello statuto (quale è, in ipotesi, quella configurabile nel presente giudizio) costituisce una speciale forma di annullabilità che deroga al principio generale dell’art. 1418 cod. civ., il quale detta, per i negozi contrari a norme imperative, il diverso regime della nullità.

Si tratta, infatti, di una forma di annullabilità (come risulta dal tenore testuale dell’art. 9 cpv. disp. att. cod. civ.) che trova conforto nella rubrica dell’art. 23 cod. civ., nel primo comma dello stesso articolo (relativo alla ristretta cerchia dei soggetti legittimati all’azione), nonché nel successivo secondo comma del medesimo art. 23 (là dove si prevede che l’annullamento della deliberazione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi in buona fede in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione medesima), la cui azione è pertanto assoggettata alle prescrizione quinquennale di cui all’art. 1442, primo comma, cod. civ., prescrizione pacificamente ormai decorsa alla data di instaurazione del giudizio.

7. - La suddetta soluzione trova conferma anche in una pronuncia di questa Corte che, benché risalente nel tempo è tuttora valida, ove è stato affermato che, avendo l’art. 23 cod. civ. previsto soltanto ipotesi di annullabilità e non anche di nullità delle deliberazioni delle associazioni riconosciute, deve ritenersi che con tale norma il legislatore abbia convertito, per quanto riguarda le suddette deliberazioni, le cause di nullità in cause di annullabilità (Cass. 17 marzo 1975, n. 1018).

Tale principio, che è valido per tutte le categorie di persone giuridiche di diritto privato (oltre che per le associazioni non riconosciute) risponde - mutatis mutandis - alla medesima logica per la quale per le deliberazioni assembleari degli enti collettivi (siano essi società per azioni ovvero condomini negli edifici etc.) si riscontra una inversione dei principi comuni (artt. 1418 e 1441 cod. civ.), nel senso che la regola generale che disciplina la validità/invalidità degli atti deliberativi delle relative assemblee è quella dell’annullabilità, essendo la previsione della nullità limitata ai soli casi in cui il contenuto della deliberazione contrasta con norme dettate a tutela degli interessi generali, che trascendono l’interesse del singolo socio o condomino oppure di un gruppo di soci o condomini (vedi, per tutte: Cass. 24 marzo 2014, n. 6882; Cass. 7 novembre 2008, n. 26842; Cass. 20 gennaio 2011, n. 1361; Cass. 19 marzo 2010, n. 6714).

Poiché è indubbio che la delibera in oggetto riguarda solo un gruppo - per quanto numeroso - dei Partecipanti al Fondo, anche tale notazione conferma che l’applicazione del regime dell’annullabilità con le suindicate conseguenze è conforme ai principi generali in materia, tanto più che lo stesso art. 1418, primo comma, cod. civ. nel prevedere che per gli atti negoziali contrari a norme imperative la categoria generale di invalidità è quella della nullità, fa espressamente salva l’ipotesi che, pur in questo ambito, la legge possa disporre diversamente.

8. - Né ha alcun valore in contrario la presenza dell’atto di approvazione della COVIP, che ha portato la Corte territoriale a configurare la complessiva procedura, come atto a formazione progressiva a duplice componente privatistica (delibera assembleare di modifica statutaria) e pubblicistica (atto di approvazione da parte della COVIP, ultimo atto della procedura stessa), traendone la conseguenza della possibilità del giudice ordinario di disapplicare l’atto amministrativo di approvazione indicato, se illegittimo, senza alcuna necessità di azione di annullamento da parte degli interessati e quindi senza decorso dei termini prescrizionali.

Tale configurazione non è condivisibile.

9. - Va, infatti, ricordato che, come affermato dalla giurisprudenza amministrativa (vedi, per tutte: Cons, Stato, Sez. IV, 31 gennaio 2005, n. 238) e dalla dottrina, l’approvazione in senso stretto è un provvedimento amministrativo mediante il quale un’autorità amministrativa o un organo esprime un giudizio favorevole sulla legittimità e il merito di un atto giuridico già emesso da altra autorità o da altro organo amministrativo ovvero espresso da altro soggetto.

Si tratta, pertanto, di un atto di controllo preventivo, a seguito del quale l’atto soggetto al controllo — già completo in tutte le sue parti - può spiegare i suoi effetti che erano rimasti sospesi in attesa dell’esito positivo del controllo stesso. Pertanto, l’approvazione non fa parte della fase costitutiva dell’atto controllato, ma rientra piuttosto nella fase cosiddetta integrativa dell’efficacia di quest’ultimo, vale a dire nella fase in cui un atto, già perfetto e completo in tutte le sue parti, è temporaneamente privo dell’idoneità a espletare i suoi effetti. Per tali ragioni, di regola l’approvazione ha efficacia retroattiva, nel senso che dopo il controllo positivo, cui debba eventualmente essere sottoposto, l’efficacia del provvedimento approvato retroagisce alla data della sua adozione.

Ne consegue che il provvedimento della CO VIP non rientra fra gli elementi costitutivi della citata delibera assembleare 3 maggio 2000, di sospensione della perequazione automatica delle previdenze integrative del Fondo per il quinquennio 1999-2003, trattandosi di un atto che - al pari di tutti gli atti di approvazione della COVIP degli statuti e dei regolamenti dei Fondi pensione nonché delle loro modifiche, quale è quella che ricorre nella specie - è finalizzato a tutelare gli interessi indicati dalla legge, fra i quali, in primo luogo, la correttezza dell’operato dei Fondi, con riguardo ad una "sana e prudente gestione" e alla trasparenza delle condizioni contrattuali di tutte "le forme pensionistiche complementari" (come si desume dall’art. 17, comma 2, del d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124, spec. lettera b e ancor più dall’art. 19, comma 2, lettera b, del d.lgs. 5 dicembre 2005, n. 252 che ha abrogato il d.lgs. n. 124 del 1993).

Si tratta, quindi, di un atto che incide soltanto sull’efficacia dell’atto controllato, sospendendola temporaneamente, come risulta evidente dal fatto che l’indicato art. 19, comma 2, lettera b, del d.lgs. n. 252 del 2005 - cui nel presente giudizio si può fare riferimento esclusivamente onde chiarire la ratio legis. anche alla luce della interpretazione evolutiva del sistema — ha, fra l’altro, espressamente previsto che: "nel disciplinare, con propri regolamenti, le procedure per l’autorizzazione dei fondi pensione all’esercizio dell’attività e per l’approvazione degli statuti e dei regolamenti dei fondi, nonché delle relative modifiche, la COVIP individua procedimenti di autorizzazione semplificati, prevedendo anche l’utilizzo del silenzio-assenso e l’esclusione di forme di approvazione preventiva".

10. - Ne risulta confermato che l’atto con cui si adotta lo statuto - ovvero la relativa modifica - di un Fondo Pensione che abbia natura di persona giuridica di diritto privato (ex art. 12 cod. civ. e successive modificazioni) va qualificato come atto di autonomia privata, idoneo di per sé a produrre effetti giuridici, perché è regolato - quanto a validità ed efficacia - dalle norme privatistiche e genera rapporti di diritto privato e posizioni di diritto soggettivo, tanto che la controversia relativa alla sua validità o efficacia rientra, pur sempre nella giurisdizione del giudice ordinario, anche se è previsto un provvedimento amministrativo di riconoscimento della personalità giuridica dell’ente (vedi: Cass. S.U. 26 febbraio 2004 n. 3892).

Invero, così come un provvedimento amministrativo di riconoscimento della personalità giuridica dell’ente non rappresenta un elemento costitutivo dell’indicato atto di autonomia privata e quindi non fa sì che esso partecipi della natura del provvedimento amministrativo, analogamente un provvedimento di approvazione dell’atto suindicato - quale ricorre nella specie - non rappresenta un elemento costitutivo dell’atto di adozione o modifica dello statuto del Fondo Pensione-persona giuridica, ma si limita a condizionarne — nel senso di sospenderla temporaneamente — l’efficacia, che però retroagisce al momento dell’emanazione dell’atto, una volta intervenuto il provvedimento positivo di approvazione.

Di conseguenza, la delibera assembleare del 3 maggio 2000, munita dell’approvazione della COVIP, non poteva essere invalidata - onde ottenere lo sblocco della disposta sospensione della perequazione automatica delle prestazioni pensionistiche integrative aziendali - se non con il tempestivo esperimento dell’azione di annullamento, della cui prescrizione s’è già detto.

11. - L'accoglimento del quarto motivo determina, come si è detto, l’assorbimento di tutti gli altri motivi, sia del ricorso principale sia di quello incidentale.

IV - Conclusioni

12. - In conclusione il quarto motivo del ricorso principale deve essere accolto e il primo motivo dello stesso ricorso va dichiarato inammissibile, con assorbimento di tutte le altre censure proposte con lo stesso ricorso principale e con il ricorso incidentale. La sentenza impugnata deve essere, pertanto, cassata, in relazione al motivo accolto. Poiché non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto ricorrono i presupposti per decidere la causa nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., e rigettare quindi la domanda proposta dal ricorrente in primo grado nella sua integralità, cioè anche con riguardo alle annualità del 1999 e del 2000.

La complessità della materia del contendere consiglia di compensare tra le parti le spese dell’intero processo.

 

P.Q.M.

 

Riunisce i ricorsi; accoglie il quarto motivo del ricorso principale, dichiara inammissibile il primo motivo del medesimo ricorso, assorbiti gli altri motivi dello stesso ricorso nonché il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e, decidendo nel merito, rigetta integralmente la domanda di cui al ricorso introduttivo del giudizio. Compensa fra le parti le spese dell’intero processo.