Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 07 dicembre 2015, n. 24809

Licenziamento per giusta causa - CCNL - Legittimità del recesso - Accertamento - Principio generale di ragionevolezza e di proporzionalità

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza del 15 ottobre 2014, la Corte d’Appello di Roma, pronunziando in sede di reclamo ex art. 1, comma 58, L. n. 92/2012, riformava la decisione resa dal Tribunale di Roma e rigettava la domanda proposta da (...) nei confronti della (...) avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare intimatogli dalla Società datrice a motivo del comportamento negligente ed irriguardoso dallo stesso tenuto nello svolgimento del servizio di accompagnamento, quale accudente, delle vetture letto n. 5 e 6 aggregate al convoglio in servizio sulla tratta da Napoli Centrale a Roma Termini.

La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto l’erroneità della valutazione complessiva, operata dai giudici della fase di urgenza e di opposizione, delle condotte comunque accertate, escludendo che le stesse fossero scusabili o riconducibili ad esemplificazioni rinvenibili, nel codice disciplinare di cui al CCNL applicabile, tra quelle per le quali è contemplata la sanzione conservativa, anche in considerazione del carattere non vincolante delle previsioni collettive stante l’origine legale della nozione ammissiva, pertanto, del libero apprezzamento del giudice.

Per la cassazione di tale decisione ricorre il (...) affidando l’impugnazione a due motivi, cui resiste, con controricorso, la Società.

 

Motivi della decisione

 

I due motivi su cui il ricorrente articola la proposta impugnazione sono volti a censurare l’iter logico-giuridico seguito dalla Corte territoriale nel pervenire al convincimento in ordine alla configurabilità nella specie di una ipotesi di giusta causa di recesso, censura fondata sulla ritenuta non conformità a diritto della considerazione unitaria del comportamento tenuto dall’odierno ricorrente, viceversa articolato in una pluralità di condotte che, atomisticamente valutate, sarebbero risultate punibili, alla stregua del codice disciplinare recato dal CCNL applicabile, con sanzioni di tipo conservativo.

Su questa base, infatti, il ricorrente, con il primo motivo, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. da 54 a 58 del CCNL per i dipendenti della Compagnia Internazionale Carrozze Letto e del Turismo del 16.4.2003, lamenta l’erroneità di tale valutazione complessiva operata dalla Corte territoriale per non essere questa consentita, con riguardo agli addebiti mossi, da nessuna previsione del codice disciplinare applicabile, risultando essa, anche alla luce degli orientamenti di questa Corte, per ciò stesso illegittima, come tale deve ritenersi in ragione del suo prescindere dalla considerazione delle caratteristiche soggettive della condotta addebitata, rilevanti sotto il profilo della ragionevolezza e della proporzionalità del provvedimento.

Con il secondo motivo, posto sotto la rubrica "Violazione dell’art. 18, comma 4, L. n. 300/1970", la medesima censura, relativa alla non conformità a diritto della valutazione unitaria delle condotte addebitata, viene svolta con riferimento alla previsione di cui alla su estesa rubrica nel testo novellato dalla legge n. 92/2012 applicabile alla fattispecie che nel far riferimento al "fatto contestato", per sancirne in caso di insussistenza e o di punibilità con sanzione conservativa ai sensi della disciplina collettiva, avvalorerebbe la tesi della necessità di una valutazione "singulatim" di ciascuna condotta.

I due motivi, che, per connessione, vengono qui trattati congiuntamente, devono ritenersi entrambi infondati alla stregua dell’orientamento di questa Corte, di cui lo stesso ricorrente mostra piena consapevolezza (vedi la citazione a pag. 15 del ricorso di Cass. 7.10.2013, n. 22791 e Cass. 2.3.2011, n. 5095), per il quale il giudice deve, stante l’inderogabilità della disciplina dei licenziamenti, comunque verificare, anche prescindendo dalle previsioni del contratto collettivo, aventi natura meramente esemplificativa, la riconducibilità del fatto addebitato alla nozione di giusta causa di cui all’art. 2119 c.c., stabilendo, anche in ossequio al principio generale di ragionevolezza e di proporzionalità, se questo sia di entità tale da legittimare il recesso, tenendo conto altresì dell’elemento intenzionale che ha sorretto la condotta del lavoratore.

A tale stregua il giudice del merito è tenuto a valutare il comportamento, pur articolato in una pluralità di condotte (la cui compresenza, peraltro, non può dirsi ininfluente ai fini della considerazione della portata dell’inadempimento), fatto oggetto di unitaria contestazione ai fini della verifica, in relazione alle caratteristiche oggettive e soggettive dello stesso, della permanenza del vincolo fiduciario ovvero della perdurante possibilità per il datore di affidamento sull’esattezza dell’adempimento delle prestazioni future, il che è quanto nella specie è puntualmente avvenuto, ravvisandosi nella motivazione della sentenza una valutazione rispondente a tali canoni che, nel suo percorso logico-giuridico, per essersi le censure del ricorrente appuntate sulla mera metodologia della stessa, risulta sottratta a qualsiasi impugnazione.

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 100,00 per esborsi ed euro 3.000,00 per compensi, oltre accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115/2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.