Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 04 dicembre 2015, n. 24779

Tributi - IVA - Costruzione di un complesso turistico su un terreno detenuto in regime di comodato

 

Svolgimento del processo

 

1. Con sentenza in data 26.1.2010 la Sezione staccata di Salerno della CTR della Campania, rigettando l'appello dell'erario, ha confermato la decisione di primo grado che su ricorso della s.r.l. B.B. aveva annullato il diniego dell’ufficio avverso l'istanza di rimborso dell'IVA assolta dalla contribuente in relazione alle spese sostenute per la costruzione di un complesso turistico su un terreno da essa detenuto in regime di comodato.

La CTR, constatato previamente che il rimborso è previsto solo per gli acquisti relativi a beni ammortizzabili e che in difetto di una individuazione ex lege di questi ai fini IVA occorre mutuare la relativa nozione dal testo unico in materia di imposte dirette, ha ascritto rilevanza decisiva alla "correlazione fra i beni e i servizi acquistati e l’attività esercitata dal soggetto passivo del tributo, nel senso che essi devono inerire (all'attività dell'impresa), anche se non è richiesta l'utilizzazione immediata". E si è detta perciò convinta che in tutti i casi in cui la strumentalità del bene non emerga in modo oggettivo "l'iscrizione in bilancio del bene tra le immobilizzazioni materiali costituisce un'indicazione precisa dell'imprenditore", tenuto anche conto dell’onere probatorio a questo riguardo incombente sul medesimo.

Per la cassazione di detta sentenza l'Agenzia delle Entrate si affida a tre motivi di ricorso.

Resiste con controricorso la parte.

 

Motivi della decisione

 

2.1. Con il primo motivo di ricorso l'Agenzia impugnante deduce ex art. 360, comma primo, n. 4, c.p.c. la nullità della sentenza per violazione dell'art. 112 c.p.c. e, nello specifico, per vizio di ultrapetizione, avendo essa illegittimamente disatteso l'analoga censura formulata con riguardo alla sentenza di primo grado che aveva inquadrato le spese controverse nell'art. 103 Tuir, ancorché la parte ne avesse patrocinato la riconduzione all'art. 108 Tuir, e che in tal modo non solo aveva "applicato una norma diversa da quella invocata dalla parte ... ma aveva anche illegittimamente mutato la qualificazione del fatto dedotto" da spese per altre immobilizzazioni materiali a spese per beni immateriali.

2.2. Il motivo è infondato.

Come questa Corte ha reiteratamente precisato il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, che vincola il giudice ex art. 112 cod. proc. civ. riguarda il petitum "che va determinato con riferimento a quello che viene domandato sia in via principale che in via subordinata, in relazione al bene della vita che l'attore intende conseguire, ed alle eccezioni che in proposito siano state sollevate dal convenuto" (21863/15; 19389/15; 19424/13). Da ciò si è tratta la massima secondo cui "sussiste vizio di ultra o extra petizione ex art. 112 cod. proc. civ. quando il giudice pronunzia oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, ovvero su questioni non formanti oggetto del giudizio e non rilevabili d'ufficio attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato" (7773/15; 22068/15; 25140/10).

Questa stessa giurisprudenza ha tuttavia osservato, consapevole del fatto che il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato non possa limitare l'autonomia decisionale del decidente quale manifestazione della potestas iudicandi accordata al medesimo dall'ordinamento processuale, che l'applicazione del principio affermato dall'art. 112 c.p.c. debba essere posta in correlazione con il principio tura novit curia di cui al successivo art. 113 c.p.c., di tal ché, fermo il vincolo della domanda come delle eccezioni, rimane "sempre salva la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite, nonché all'azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame e ponendo a fondamento della sua decisione principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti". (21475/15; 21508/15; 12943/12). Donde il conclusivo asserto secondo cui "non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice di merito, che abbia esercitato il doveroso compito di definire e qualificare la domanda proposta dalla parte - senza essere in ciò condizionato dalla formula adottata dalla parte medesima e tenuto conto del contenuto sostanziale della pretesa come desumibile dalla situazione dedotta in giudizio e dalle eventuali precisazioni formulate in corso di causa - e si sia, quindi, nel pronunciare su di essa, attenuto ai limiti della domanda come interpretata" (10169/15; 12491/14; 27285/06).

2.3. A tanto si è attenuto nella specie il primo giudice, posto infatti, che se la sussistenza del vizio va apprezzata in relazione al diverso bene della vita accordato dalla pronuncia rispetto a quello domandato dalla parte, nessuna censura può in ragione di ciò muoversi alla decisione impugnata per aver confermato quel deliberato, dal momento che l'oggetto mediato del ricorso di parte era conseguire il rimborso denegato dall’amministrazione attraverso l'atto di diniego e su quello oggetto si sono entrambi pronunciati i giudicanti di merito annullando il diniego e riconoscendo il titolo al rimborso, a nulla rilevando, per quanto sopra osservato, che nel determinarsi in questi termini essi abbiano poi proceduto a qualificare diversamente sotto l'aspetto giuridico la fattispecie al loro esame.

3.1. Il secondo motivo del ricorso erariale addebita alla sentenza in esame, sempre a mente dell'art. 360, comma primo, n. 4, c.p.c. la violazione degli artt. 36, comma 2. n. 4, D.lg. 546/92 e 111 Cost., censurandosi segnatamente la statuizione in ordine alla rilevanza decisiva, laddove la strumentalità dei beni acquisiti non sia accertabile in modo oggettivo, dell'iscrizione in bilancio, trattandosi di "un enunciato ... talmente incomprensibile ed all'apparenza inconferente che non sembra costituire neppure i minimi elementi necessari perché si possa parlare di motivazione", oltre a rendere l'imprenditore arbitro del relativo trattamento fiscale.

3.2. Il motivo è infondato.

E’ massima di diritto vivente, cui il collegio intende attenersi, che in tema di contenuto della sentenza, la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi in fatto della decisione, richiesta dall'art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. rappresenti "un requisito da apprezzarsi esclusivamente in funzione della intelligibilità della decisione e della comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, la cui mancanza costituisce motivo di nullità della sentenza solo quando non sia possibile individuare gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione", stante il principio della strumentalità della forma, per il quale la nullità non può essere mai dichiarata se l'atto ha raggiunto il suo scopo (art. 156, comma 3, cod. proc. civ.), e tenuto altresì conto del fatto che lo stesso legislatore, nel modificare l'art. 132 citato per mezzo dell'art. 45, comma 17 l. 69/2009, ha espressamente stabilito un collegamento di tipo logico e funzionale tra l’indicazione in sentenza dei fatti di causa e le ragioni poste dal giudice a fondamento della decisione. (22346/15; 920/15; 22845/15).

Ne discende perciò con riguardo al caso in esame che il denunciato vizio non ha ragione d'essere poiché, sebbene la lettura della motivazione che accompagna il provvedimento impugnato lasci intendere che la CTR abbia adottato un approccio estremamente prudente nell'affrontare il tema, nondimeno la ratio che ne ha ispirato il conclusivo pronunciamento non risulta per questo meno nitida, tanto da potersi credere che ne sia compromessa la comprensibilità e che la decisione possa essere perciò esposta alla chiesa sanzione. E ciò perché il giudice d’appello ha dipanato il proprio ragionamento lungo un itinerario espositivo che, coerente con le premesse (ai fini del rimborso "elemento necessario è la correlazione tra i beni e i servizi acquistati e l'attività esercitata dal soggetto passivo", l'ha portato in ultimo, attraverso l'ulteriore passaggio argomentativo in punto di ammortizzabilità ("in materia di IVA ... la tendenza a mutuare la relativa nozione di bene strumentale ammortizzabile dal settore delle imposte sui redditi diviene indispensabile"), a formulare il definitivo asserto in grazia del quale ai fini dell'accesso alla procedura di rimborso di cui all'art. 30 D.PR. 633/72 "l'iscrizione in bilancio del bene tra le immobilizzazioni materiali costituisce una indicazione precisa dell'imprenditore", in tal modo mostrando di aderire ad un'opzione interpretativa ed enunciando un principio di diritto che, dissenso a parte, soddisfa puntualmente l'obbligo motivazionale prescritto dalle norme in indirizzo.

4.1. Violazione di legge e nella specie dell'art. 30, comma terzo, lett. c) e dell'art. 108 Tuir si allega dall'Agenzia ricorrente con il terzo motivo di ricorso ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c., in quanto la CTR, "rigettando l'appello dell'ufficio con un errata ed inconferente invocazione dell'art. 103 Tuir, ha illegittimamente confermato la rimborsabilità delle spese relative a beni non ammortizzabili", in un caso in cui peraltro "il rimborso non era stato chiesto in dichiarazione".

4.2. Il motivo è fondato.

4.3. Giova osservare in via preliminare che l’art. 30, comma terzo, alinea e lett. c), D.P.R. 633/72 - di seguito a quanto più in generale previsto a presidio del principio di neutralità dell'imposta dal medesimo articolo al comma secondo ("Se dalla dichiarazione annuale risulta che l'ammontare detraibile di cui al n. 3) dell'articolo 28, aumentato delle somme versate mensilmente, è superiore a quello dell'imposta relativa alle operazioni imponibili di cui al n. 1 dello stesso articolo, il contribuente ha diritto di computare l'importo dell'eccedenza in detrazione nell'anno successivo, ovvero di chiedere il rimborso nelle ipotesi di cui ai commi successivi e comunque in caso di cessazione di attività") ed in attuazione del disposto euro unitario di cui all’art. 183 della Direttiva IVA (Direttiva CE del Consiglio 112/06) - statuisce che "il contribuente può chiedere in tutto o in parte il rimborso dell'eccedenza detraibile, se di importo superiore a lire cinque milioni, all'atto della presentazione della dichiarazione: ... c) limitatamente all'imposta relativa all'acquisto o all'importazione di beni ammortizzabili, nonché di beni e servizi per studi e ricerche". Esso accorda cioè il diritto al rimborso dell'eccedenza detraibile risultante dalla differenza tra l'imposta a debito ed il credito da detrazione a condizione che il soggetto passivo di imposta richieda il rimborso all'atto della presentazione della dichiarazione e che l'imposta si riferisca, tra l'altro, ad acquisti di beni ammortizzabili.

4.4. Nella specie, alla luce di ciò che si apprende dalla narrativa delle parti, l'ufficio avrebbe denegato il rimborso sul presupposto che dalla dichiarazione non risultasse la seconda delle richiamate condizioni ovvero che l’IVA chiesta a rimborso non afferisse a beni ammortizzabili in quanto gli acquisti, operati in funzione della realizzazione di un insediamento turistico su un terreno di proprietà altrui ricevuto in comodato, non concernevano beni classificabili come tali, ma andavano semmai inquadrati contabilmente tra le altre immobilizzazioni materiali onde il relativo onere andava ricondotto alla categoria delle spese incrementati ve su beni di terzi.

Ancorché la CTR abbia rigettato l'appello soffermandosi, sia pure se fuggevolmente, solo su questo aspetto della vicenda ritenendo al fine che il diritto al rimborso competa in funzione dell'inquadramento contabile del bene acquistato, consta, nondimeno dalla stessa ricongnizione che essa compie delle pregresse fasi processuali che ne fosse stato sollecitato il giudizio anche in ordine alla circostanza che, secondo la prospettazione dell'ufficio, nella specie faceva difetto anche la preventiva richiesta del rimborso nella dichiarazione. Donde perciò l’odierno gravame in cui il deducente lamenta il duplice errore di diritto in cui sarebbe incorso il giudice d'appello all’atto di ammettere al rimborso un credito IVA per il quale non era stata fatta la relativa richiesta all'atto della dichiarazione e per il quale non era riconoscibile l'afferenza ad acquisti di beni ammortizzabili.

4.5. Entrambe le censure meritano accoglimento.

4.6.1. Ed invero, premesso che come questa Corte ha più volte affermato, giudicando irrilevante la presentazione ovvero l'allegazione a questo fine del quadro VR, la domanda di rimborso o restituzione del credito d’imposta maturato dal contribuente è da considerarsi già presentata con compilazione nella dichiarazione annuale del relativo quadro, "che configura formale esercizio del diritto" (20039/11), la manifestazione di volontà che ha luogo con la formalizzazione dell'istanza in sede di dichiarazione è condizione imprescindibile per far luogo al suo accoglimento, posto che, al di là dell'inequivoco tenore della legge, che vincola appunto il rimborso alla circostanza che esso sia richiesto in sede di dichiarazione, in ciò realizzandosi il presupposto di esigibilità del credito per dare inizio al procedimento di esecuzione del rimborso (20678/14), la richiesta, come pure ancora sottolineato da questa Corte, statuendo che una volta esercitato il diritto esso soggiace al termine di prescrizione decennale dell'art. 2946 (8813/13; 15229/12; 7984/12), è volta ad impedire la decadenza che altrimenti si determinerebbe per effetto dell'art. 21, comma 2, D.lg. 546/92, il cui secondo inciso, com'è noto, prevede che la domanda di restituzione non possa essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno, in cui si è verificato il presupposto per la restituzione. Era dunque palesemente il giudicante d’appello nel ritenere che malgrado il contrario rilievo dell'ufficio, la richiesta di rimborso dovesse trovare parimenti seguito pur se non fosse stata formalizzata nella corrispondente dichiarazione.

4.6.2.1. L'assunto del decidente si rivela inattendibile anche sotto il secondo concorrente profilo sopra annotato, laddove esso conclude per ammettere al rimborso un credito non afferente all’acquisto di beni ammortizzabili.

Ricordato per l'appunto, come si è detto innanzi, che l'art. 30, comma terzo, alinea e lett c), D.P.R. 633/72 autorizza il rimborso dell'eccedenza detraibile relativa all'imposta corrisposta, tra l'altro, in occasione dell'acquisto di beni ammortizzabili, va qui previamente chiarito che, in difetto di ima corrispondente nozione rinvenibile in materia di IVA e secondo una comune chiave di lettura - che non trova ostacoli nelle fonti interpretative comunitarie, posto che l'art. 183 della Direttiva IVA rimette agli Stati membri di indicare le modalità per mezzo delle quali l'eccedenza di imposta può essere riportata a nuovo o può essere ammessa a rimborso - il concetto di bene ammortizzabile rilevante in questa ottica va ritratto dalle disposizione che in tema di imposte dirette ne recano una sommaria enunciazione con riferimento ai beni materiali od immateriali di cui è menzione negli artt. 102 e 103 Tuir. Com'è noto si tratta di quei beni che essendo destinati ad essere utilizzati nell'esercizio dell'impresa si identificano di regola con i beni strumentali ossia con quei beni che abbiano, come unica destinazione, quella di essere direttamente impiegati nell'espletamento di attività tipicamente imprenditoriali, così da non essere idonei alla produzione di un reddito autonomo rispetto a quello del complesso aziendale nel quale sono inseriti. A questo concetto - ma non solo ad esso, perché la rimborsabilità è stata in quel caso condizionata anche al fatto "che il locatore non operi alcuna deduzione delle quote di ammortamento" - la Corte ha, del resto, già avuto occasione di appellarsi allorché, occupandosi di una vicenda assai simile a quella in esame, in cui la questione si era posta in relazione alle spese sostenute da un affittuario ai fini della realizzazione di un impianto turistico su beni altrui, ha ritenuto che l'imposta fosse rimborsabile a condizione che dei beni acquistati, indipendentemente dalla loro autonoma funzionalità o asportabilità al termine del periodo di locazione, "vi sia da parte dell'affittuario l'effettiva utilizzazione, in funzione direttamente strumentale nell'esercizio dell'impresa" (8389/13).

4.6.2.2. Va tuttavia osservato, nel dissentire, se occorre - ed in tal caso, consapevolmente - dal citato precedente - nonché da quello che sempre in riferimento al rimborso dell'IVA assolta "sull'acquisto di beni strumentali all'esercizio dell'oggetto sociale" si è espresso negli stessi termini (9327/14) -, a tacer del fatto che le fattispecie nei precedenti citati e nel caso in esame, a quel che è dato intendere, non sono esattamente coincidenti — lì la questione era sorta in dipendenza dell'acquisto di beni impiegati nell'esercizio dell'attività caratteristica; qui, stando a quel che riferisce il controricorrente a pag. 12 del controricorso, si tratta di "acconti" sostenuti principalmente, pur se non esclusivamente, per la realizzazione di una struttura imprenditoriale —, che rispetto al criterio di giudizio accolto nelle citate occasioni, la Corte ha già avvertito la necessità di precisare — con ciò smentendo implicitamente la facile conclusione che basterebbe comprovare la strumentalità per ritenere che il bene sia ammortizzabile e, quindi, che l'IVA corrisposta in occasione del suo acquisto sia rimborsabile - che strumentalità ed ammortizzabilità non sono concetti coincidenti (4/04), poiché un bene può essere strumentale senza essere ammortizzabile (è il caso del terreno rispetto all'opificio) e, viceversa può essere ammortizzabile pur non essendo strumentale (è il caso dei fabbricati civili posseduti dall'impresa). Sicché, onde far luogo all'esatto inquadramento dei beni il cui acquisto può generare un'eccedenza di imposta rimborsabile, occorre che concorrano entrambe le condizioni ovvero che il bene sia utilizzato nel ciclo produttivo, e che soddisfi quindi il requisito della strumentalità; e che si tratti di beni di uso durevole, la cui vita non si esaurisca nell'arco di un esercizio e che, quindi, soddisfino anche il requisito dell’ammortizzabilità.

4.6.2.3. Questa conclusione è del resto confermata dalla piana lettura degli artt. 102 e 103 Tuir a cui, come visto, occorre guardare in difetto di una equivalente definizione in campo IVA, ai fini della individuazione del concetto del bene ammortizzabile rilevante ai sensi dell'art. 30, comma terzo alinea e lett c), D.P.R. 633/72, dal momento che in entrambe le disposizioni si trova ribadito il principio che la deducibilità dei costi in essi disciplinati è ammessa in ragione dell'ammortamento cui vanno soggetti i beni acquisiti al patrimonio dell'impresa e destinati all’utilizzo nell'attività caratteristica.

I beni in questione, in quanto provvisti di tale funzione, rientrano, secondo quanto recita l'art. 2424-bis, comma primo, c.c. tra "gli elementi patrimoniali destinati ad essere utilizzati durevolmente" e devono essere iscritti tra le immobilizzazioni" ovvero all'attivo dello stato patrimoniale, secondo quanto indicato dall'art. 2424, lett B) I e B II, c.c.. Le immobilizzazioni, a loro volta, si distinguono, giust'appunto la testé riferita indicazione recata dall'art. 2424 c.c., tra quelle che hanno ad oggetto beni immateriali e quelle che concernono beni materiali e per esse i principi contabili messi a punto dell'OIC per le valutazioni di bilancio applicabili alle società che redigono il bilancio secondo le disposizione del codice civile - che sono quelli qui rilevanti sebbene la nozione di essi rinvenibile negli IAS/IFRS non sia dissimile - adottano una formulazione non diversa da quella codicistica, sebbene più puntuale, posto che le prime "sono costituite da costi che non esauriscono la loro utilità in un solo periodo, ma manifestano i benefici economici lungo un arco temporale di più esercizi" (OIC 24), le seconde "sono beni di uso durevole costituenti parte dell'organizzazione permanente dell'impresa ... " (OIC 16). Come, con indiretto riferimento ai criteri di valutazione enunciati dai detti principi contabili e più in generale dall'art. 2426 c.c., la Corte ha già osservato, "i costi necessari per acquisire siffatti beni, per un verso, ne costituiscono il naturale metro di valutazione e, per altro verso, rendono necessario procedere al loro ammortamento nel tempo, qualora siano contrassegnati da utilità pluriennale, giacché il bilancio è retto dal principio di competenza (art. 2423-bis c.c., n. 3), in osservanza del quale se una determinata spesa è destinata a produrre utilità in un arco di tempo eccedente i limiti dell'esercizio in cui è stata sostenuta, il relativo onere deve essere possibilmente imputato anche agli esercizi successivi, in misura proporzionale ai benefici che in tali esercizi detta spesa ha generato. L'ammortamento, difatti, riguarda o può riguardare il costo sostenuto per l'acquisizione o la costruzione di fattori di produzione di durata pluriennale e che partecipano al processo produttivo per un determinato periodo di tempo ultra-annuale. Per tali ipotesi è previsto che il costo non sia computato esclusivamente nell’esercizio nel corso del quale esso è sostenuto (principio di cassa), ma sia, invece, ripartito tra i vari esercizi nel corso dei quali il bene di cui si tratta sarà presumibilmente utilizzato nell'esercizio dell'impresa" (25668/13).

4.6.2.4. In questa cornice il costo non è perciò solo "naturale metro di valutazione" del cespite acquisito, ma, in quanto elemento contabile alla stregua del quale va operato il suo ammortamento, anche concreto indice del fatto - decisivo ai nostri fini - che sostenendo un costo ovvero pagando un prezzo per l'acquisto del bene l'imprenditore ne abbia conseguito la proprietà ovvero un diritto reale di godimento che - come con maggior sintonia rispetto alle fonti eurounitarie, ancora questa Corte ha recentemente ricordato in relazione al potere assicurato al lesse in relazione al bene oggetto del contratto di leasing (20951/15) — gli assicuri "il potere di disporre di un bene come proprietario". Da qui perciò la conclusione che se i beni, in relazione al cui acquisto si intenda reclamare il ristoro dell'IVA eccedente all'esito della liquidazione annuale, ancorché strumentali per non essere idonei ad alcuna utilizzazione autonoma rispetto al loro impiego imprenditoriale, non siano pure riconducibili alla categoria delle immobilizzazioni, nel senso che l'imprenditore non disponga di essi nei termini indicati, non saranno pure ammortizzabili e non consentiranno perciò di dar seguito al rimborso chiesto a mente dell'art. 30, comma terzo, alinea e lett. c), D.P.R. 633/72.

4.6.3. A ciò, non crede il collegio, che possa fare ostacolo la preoccupazione, di cui in relazione ad un analoga vicenda - nella specie il rimborso afferiva alle spese per la ristrutturazione di un immobile alberghiero condotto in locazione — la Corte si è fatta pure interprete osservando che "la detassazione degli scambi situati nel ciclo produttivo e distributivo è attuata attraverso la detrazione e determina il rimborso dell'eventuale eccedenza detraibile" (6200/15). Ad onta dell'indubbia forza di suggestione che l'argomento esercita, è tuttavia avviso del collegio che il rapporto tra detrazione e rimborso, evidentemente supposto in ragione della centralità sistematica del principio di neutralità, non ubbidisca alla regola di una correlazione obbligata e necessaria, di modo che non si possa dare l'una in difetto  dell'altro e viceversa. Basti solo pensare, per escludere ogni vincolo di biunivocità, che la facoltà del rimborso compete all’acquirente, mentre la detrazione è un diritto che l'ordinamento riconosce al cedente prestatore. Né poi è trascurabile il fatto che secondo una comune linea di pensiero la norma sul rimborso risponde alla ratio di consentire agli operatori economici, che effettuano operazioni di investimento, un più veloce recupero dell'imposta assolta con riferimento ai beni acquistati ed evitare così un aggravio della propria posizione finanziaria. Essa attribuisce invero una facoltà di natura eccezionale che non trova corrispondenza nell'ordinaria esercitabilità che qualifica il diritto alla detrazione.

4.7. Su queste premesse l'errore di diritto in cui è incorsa l'impugnata decisione è dunque manifesto. Essa ha applicato, come esattamente denuncia la sollevata censura, la norma giusta ad una fattispecie sbagliata, ritenendo invero che il diritto al rimborso dell’imposta corrisposta in eccedenza competa — e così, di seguito, che sia perciò pure annullabile il corrispondente atto di diniego — anche se i beni, in quanto destinati ad implementare l'attività imprenditoriale su un terreno detenuto a titolo di comodato, accedendo civilisticamente alla proprietà altrui, pur se strumentali all'esercizio dell'impresa non costituiscono dal punto di vista contabile immobilizzazioni e non rientrano perciò tra i cespiti ammortizzabili ai sensi del ricordato art. 30.

5. La sentenza va dunque cassata in accoglimento del terzo motivo di ricorso e non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito la causa potrà essere decisa nel merito ai sensi dell'art. 384, comma secondo, c.p.c. con il rigetto del ricorso introduttivo, enunciando altresì il seguente principio di diritto "In tema di IVA il rimborso dell'eccedenza detraibile di imposta che l'art. 30, comma terzo, alinea e lett. c), D.P.R. 633/72 consente al soggetto passivo di richiedere all'atto della dichiarazione se di importo superiore ad euro 2582,2 limitatamente all'imposta relativa all'acquisto o all'importazione di beni ammortizzabili deve avere ad oggetto beni, che, oltre ad essere provvisti del requisito della strumentalità in quanto destinati ad essere utilizzati nell’attività dell'impresa e da non essere perciò idonei alla produzione di un reddito autonomo rispetto a quello del complesso aziendale nel quale siano inseriti, debbono rientrare, in quanto ammortizzabili, tra i beni costituenti immobilizzazioni materiali od immateriali da identificarsi con beni di uso durevole la cui vita non si esaurisca nell'arco di un esercizio contabile e dei quali l'imprenditore possa disporre in quanto abbia acquistato la proprietà o un altro diritto reale di godimento ed in ogni caso il potere di disporre di essi come proprietario"

6. Le spese del presente giudizio e dei giudizi di merito possono essere compensate avuto riguardo alla sussistenza dei cennati precedenti non esattamente coincidenti.

 

P.Q.M.

 

Dichiara infondati il primo ed il secondo motivo ed accoglie il terzo motivo di ricorso; cassa l'impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo; compensa le spese del presente e giudizio e dei giudizi di merito.