Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 04 dicembre 2015, n. 24789

Tributi - IVA - Detrazione - Fattura a titolo di premi impegnativa per diritti di negoziazione

 

Svolgimento del processo

 

La Commissione tributaria della regione Lombardia con sentenza 17.5.2010 n. 48 ha confermato la decisione di prime cure che aveva annullato l’avviso di accertamento emesso dall’Ufficio di Milano dell’Agenzia delle Entrate nei confronti di O.P. s.p.a. con il quale veniva contesta la detrazione dell’IVA sulla fattura n. 32 in data 14.4.2002 emessa da A.M.I. s.p.a. in quanto la somma di denaro indicata un fattura costitutiva una mera elargizione di denaro priva di alcun nesso di corrispettività con alcuna prestazione di servizi eseguita in adempimento di una obbligazione, e dunque trattavasi di operazione fuori campo IVA.

La CTR rilevava che la fattura era stata emessa da A. a titolo di "premi impegnativa" per "diritti di negoziazione" versati dalle società concessionarie del servizio di pubblicità, tra cui O.P. s.p.a., e che dalla Capo gruppo venivano quindi ridistribuiti alle società controllate (cd. centri media) del Gruppo A.M., e che la operazione sottostante doveva rinvenirsi nei benefici, in termini di riduzione di costi di gestione, che le società concessionarie avevano ricevuto dalla attività di selezione e concentrazione delle clientela interessata alle iniziative pubblicitarie effettuata dai "centri media". La circostanza, riferita dal rappresentante legale di A.M.I. s.p.a., secondo cui la erogazione dei premi da parte delle concessionarie avveniva senza che i "centri media" assumessero alcuna obbligazione di fare, non fare, o di permettere, non poteva inoltre ritenersi ostativa al riconoscimento nella fattispecie di una operazione soggetta ad IVA ai sensi dell’art. 1 e 3 Dpr n. 633/72, in quanto la mancata assunzione di obblighi da entrambe le parti non escludeva di ravvisare la corresponsione di un compenso per l’opera di intermediazione svolta a favore delle società concessionarie.

La sentenza di appello, non notificata, è stata ritualmente impugnata per cassazione dalla Agenzia delle Entrate con ricorso notificato in data 7.7.2011 alla società presso il difensore incaricato ai sensi dell’art. 17 Dlgs n. 546/1992, con il quale è stato dedotto con unico motivo violazione dell’art. 2 co 3 Dpr n. 633/72 e vizio di omessa od insufficiente motivazione ex art. 360 co 1 n. 5 c.p.c.

Non ha svolto difese la società contribuente, limitandosi a partecipare alla discussione alla pubblica udienza.

 

Motivi della decisione

 

L’unico motivo dedotto dalla Agenzia fiscale, relativo alla duplice contestuale censura di vizio di "error in judicando", per violazione dell’art. 2 co 3 Dpr n. 633/72, in relazione all’art. 360 co 1 n. 3) c.p.c., e di vizio di omessa od insufficiente motivazione su fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 co 1 n. 5) c.p.c., deve ritenersi inammissibile.

Premesso che per giurisprudenza consolidata di questa Corte, sussiste una oggettiva incompatibilità tra i due vizi di legittimità in questione, in considerazione del diverso oggetto della attività del Giudice cui si riferisce la critica: attività interpretativa della fattispecie normativa astratta che va distinta dalla attività valutativa della fattispecie concreta emergente dalle risultanze probatorie (cfr. Corte cass. I sez. 11.8.2004 n. 15499; id. sez. lav. 16.7.2010 n. 16698....vedi Corte cass. Il sez. 29.4.2002 n. 6224, id. III sez. 18.5.2005 n. 10385, id. V sez. 21.4.2011 n. 9185 sulla inammissibilità del ricorso con cui si denuncia violazione di norma di diritto deducendo nella esposizione del motivo argomenti a fondamento del vizio motivazionale della sentenza; id. III sez. 7.5.2007 n. 10295 sulla antinomia tra "error in judicando" e vizio di motivazione), osserva il Collegio che l’abrogazione dell’art. 366 bis c.p.c. (norma che è stata introdotta dall’art. 6 del Dlgs 2.2.2006 n. 40 e che trova applicazione ai ricorsi proposti avverso sentenze e provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2.3.2006, data di entrata in vigore dello stesso decreto, e fino al 4.7.2009, data dalla quale opera la abrogazione disposta dall’art. 47 co 1, lett. d) Legge 18.6.2009 n. 69) non ha determinato il venire meno anche la esigenza di necessaria specificità dei motivi del ricorso per cassazione quale requisito di ammissibilità previsto dall’art. 366 co 1 n. 4) c.p.c.. Se, infatti, questa Corte aveva puntualizzato -con riferimento all’art. 366 bis c.p.c.- che il ricorso doveva ritenersi inammissibile qualora la rubrica e la esposizione del motivo, premessa alla formulazione di diversi "quesiti", denunci indistintamente una pluralità di vizi di legittimità diversi, richiedendo alla Corte di sostituirsi allo stesso ricorrente nella individuazione di quali tra i molteplici argomenti esposti nel motivo debbano essere ricondotti a ciascun dei quesiti di diritto formulati (cfr. Corte cass. Sez., 5, Sentenza n. 5471 del 29/02/2008; id. Sez. U, Sentenza n 5624 del 09/03/2009; id. Sez. U, Sentenza n. 7770 del 31/03/2009; id. Sez., 5, Sentenza n. 15242 del 12/09/2012), anche dopo l’abrogazione della norma processuale indicata, va confermato il principio espresso dal Giudice di legittimità secondo cui la cumulativa denuncia con il medesimo motivo di vizi attinenti alle ipotesi previste dall’art. 360, comma 1, n. 3) e n. 5) c.p.c. (idest singolo motivo articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo), non impedisce l’accesso del motivo all’esame di legittimità allorché esso, comunque, evidenzi specificamente la trattazione delle doglianze relative all'interpretazione o all'applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 9793 del 23/04/2013; id. Sez. U, Sentenza n. 9100 del 06/05/2015), così da consentire alla Corte di individuare agevolmente e riferire ciascuna autonoma critica formulata alla sentenza impugnata ai diversi vizi di legittimità contestati in rubrica; diversamente, l'esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l'apprezzamento delle risultanze acquisite al processo ed il merito della causa mira, a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d'impugnazione enunciati dall'art. 360 cod. proc. civ., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al Giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (cfr. Corte cass. Sez 1, Sentenza n. 19443 del 23/09/2011; id. Sez. 1, Sentenza n. 21611 del 20/09/2013).

Nella specie lo svolgimento della esposizione degli argomenti a supporto dell’unico motivo di ricorso, non consente di disgiungere gli argomenti a fondamento della censura di "error in judicando" e quelli diretti, invece, a sostegno della censura di "error facti", con conseguente incertezza del parametro di legittimità denunciato dalla ricorrente ed inammissibilità del motivo, non essendo alla Corte demandato il compito di ricercare quale sia la effettiva critica mossa dalla parte alla sentenza impugnata, e non potendo ritenersi ricompreso nel compito di nomofilachia assegnato al Giudice di legittimità anche la individuazione del vizio in base al quale poi verificare la legittimità della sentenza impugnata, come emerge dal combinato disposto degli artt. 360 e 366 co 1 n. 4 c.p.c. che riservano in via esclusiva tale compito alla parte interessata (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 18242 del 28/11/2003 id. Sez. 1, Sentenza n. 22499 del 19/10/2006, con specifico riferimento al caso in cui il ricorrente non aveva indicato le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata e non aveva formulato censure specifiche contro di esse; id. Sez- 1, Sentenza n. 5353 del 08/03/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 18421 del 19/08/2009, che richiede la specifica indicazione del vizio denunciato ex art. 360 c.p.c. nella rubrica del motivo; id. Sez. 1, Sentenza n. 19443 del 23/09/2011 -che, nel caso di denuncia cumulativa di una pluralità di vizi di legittimità, esclude la ammissibilità del ricorso in quanto in tal modo il ricorrente "mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d'impugnazione enunciati dall’art. 360 cod. proc. civ., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, alfine di decidere successivamente su di esse"-; id. Sez. 3, Sentenza n. 3248 del 02/03/2012 secondo cui "nel giudizio di legittimità è onere del ricorrente indicare con specificità e completezza quale sia il vizio da cui si assume essere affetta la sentenza impugnata: è pertanto, inammissibile il motivo di ricorso col quale il ricorrente lamenti la violazione di una serie di norme sostanziali "in relazione all’art. 360, primo comma, cod. proc. civ. ", senza precisare se intenda censurare la sentenza per motivi attinenti la giurisdizione o la competenza, per violazione di norme di diritto o per nullità del procedimento").

Il ricorso si palesa inammissibile anche nel caso in cui la indicazione in rubrica della censura per "error in judicando" fosse considerata una mera "eccedenza di scrittura", esaurendosi interamente gli argomenti critici svolti nella esposizione a sostegno della censura di vizio di motivazione ex art. 360 co 1 n. 5 c.p.c.

La Agenzia fiscale, infatti, impugna sotto il profilo indicato la sentenza di appello in quanto i Giudici tributari

- non avrebbero correttamente considerato che i verbalizzanti, nel PVC in data 6.7.2007, avevano accertato la insussistenza di un collegamento sinallagmatico tra le somme versate dalla società concessionaria contribuente ed una qualsiasi prestazione effettuata dalla emittente fattura in adempimento di un vincolo obbligatorio, in quanto i premi venivano erogati senza alcuna connessione con una attività di incentivazione delle vendite

- non avrebbero considerato che tale circostanza emergeva dall’esame analitico del contenuto degli accordi commerciali stipulati dalle società concessionarie - tra cui la contribuente- ed "A.M.I. s.p.a. o altri C.M.", nonché dalle dichiarazioni rese dal rappresentate legale di A. che aveva ammesso la inesistenza di "alcuna assunzione di obblighi da entrambe le parti"

- avrebbero anapoditticamente sostenuto che nella specie i premi erano versati come corrispettivo di una attività di ''''intermediazione senza rappresentanza", senza tuttavia indicare gli elementi probatori a sostegno di tale affermazione.

Orbene la CTR ha ampiamente valutato le risultanze del processo verbale e fondato la propria decisione sulle dichiarazioni rese dal rappresentante legale di A., attribuendo preminenza - nell’attività riservata alla discrezionalità propria del Giudice di merito dall’art. 116 co 1 c.p.c.- al diverso significato ad esse attribuito alla stregua dell’esame complessivo, avendo osservato i Giudici di appello che lo stesso rappresentante aveva riferito a verbale, ad ulteriore chiarimento, che i premi erano stati concessi in relazione alla attività di procacciamento della clientela svolta dai "C.M.", ed avendo quindi concluso la CTR che il premio costituiva corrispettivo di una prestazione comunque resa a favore della società concessionaria anche se in difetto di un titolo contrattuale.

Tanto premesso emerge evidente la inammissibilità della critica in quanto fondata esclusivamente su una diversa interpretazione delle dichiarazioni rese dal rappresentante legale di A., occorrendo ribadire in proposito il principio affermato da questa Corte secondo cui spetta, in via esclusiva, al giudice di merito, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, non essendo, pertanto, sindacabile per vizio di motivazione la sentenza di merito che abbia adeguatamente e logicamente valorizzato le circostanze ritenute decisive e gli elementi necessari per chiarire e sorreggere la "ratio decidendo (cfr. Corte cass. SU 27.12.1997 n. 13045; id. V sez. 1.7.2003 n. 10330; id. m sez. 27.10.2005 n. 20911; sez. lav. 6.3.2006 n. 4766; sez. lav. 11.7.2007 n. 15489 ; id. Sez. L, Sentenza n. 3668 del 14/02/2013). Il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall'art. 360, comma primo, n. 5) cod. proc. civ., non equivale, infatti, alla revisione del "ragionamento decisorio", ossia dell'opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall'ordinamento al giudice di legittimità. Ne consegue che risulta del tutto estranea all'ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l'autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa (Corte cass. sez. lav. n. 4766/2006 cit.; id. sez. lav. 27.2.2007 n. 4500; id. id. Sez. L, Sentenza n. 6288 del 18/03/2011; id. Sez. L, Sentenza n. 3668 del 14/02/2013; id. Sez, U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013) e che le censure concernenti vizi di motivazione devono indicare quali siano i vizi logici del ragionamento decisorio e non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito.

Inoltre, per rispondere al requisiti di ammissibilità di cui all’art. 366 co 1 n. 6) c.p.c., la censura motivazionale ex art. 360 co 1 n. 5 c.p.c., qualora fondata sulla omessa od errata valutazione del contenuto degli accordi negoziali intervenuti tra la società concessionaria ed A., avrebbe dovuto riportare nel ricorso -almeno nelle parti essenziali- il testo di tali accordi, specificando altresì il tempo ed il luogo del processo in cui tali documenti erano stati acquisiti al giudizio. Costituisce, infatti, massima consolidata di questa Corte che "il ricorso per cassazione -in ragione del principio di "autosufficienza" - deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito. Ne consegue che, nell'ipotesi in cui, con il ricorso per cassazione, venga dedotta l'incongruità, l’insufficienza o contraddittorietà della sentenza impugnata per l'asserita mancata valutazione di risultanze processuali, è necessario, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività della risultanza non valutata (o insufficientemente valutata), che il ricorrente precisi, mediante integrale trascrizione della medesima, la risultanza che egli asserisce decisiva e non valutata o insufficientemente valutata, dato che solo tale specificazione consente alla Corte di cassazione, alla quale è precluso l'esame diretto degli atti e di accedere a fonti esterne allo stesso ricorso -e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, inclusa la sentenza impugnata- di delibare la decisività della medesima, dovendosi escludere che la precisazione possa consistere in meri commenti, deduzioni o interpretazioni delle parti" (cfr. Corte cass. III sez. 24.5.2006 n. 12362 ; id. III sez. 28.6.2006 n. 14973 ; id. I sez. 17.7.2007 n. 15952; id. sez. lav. 27.2.2009 n. 4849 ; id II sez. 14.10.2010 n. 21224). La Corte deve essere, dunque, in grado di acquisire dalla mera lettura del ricorso -e senza dover accedere ad atti del giudizio di merito, ivi inclusa la sentenza impugnata- una sufficiente conoscenza del fatto sostanziale che, se fondato su atti o documenti prodotti nel processo, impone alla parte ricorrente di trascriverne integralmente il contenuto in modo di consentire alla Corte di valutare immediatamente la ammissibilità e fondatezza del motivo dedotto (cfr. Corte cass. SU 24.9.2010 n. 20159; id. VI sez. ord. 30.7.2010 n. 17915; id. III sez. 4.9.2008 n. 22303; id. III sez. 31.5.2006 n. 12984; id. I sez. 24.3.2006 n. 6679; id. Corte cass. III sez. 25.2.2005 n. 4063; id. sez. lav. 21.10.2003 n. 15751; id. sez. lav. 12.6.2002 n. 8388).

In difetto di trascrizione nel ricorso dei predetti accordi, rimane precluso al Collegio di accedere agli atti del giudizio di merito per verificare la correttezza della decisione assunta dalla CTR, con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso.

In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, essendo tenuta l’Agenzia fiscale soccombente a rifondere le spese del giudizio di legittimità come liquidate in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna l’Agenzia fiscale alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in € 3.000,00 per compensi, € 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge.