Giurisprudenza - TRIBUNALE DI BERGAMO - Ordinanza 30 novembre 2015

Stranieri - Permesso di lungo periodo - Indennità di maternità di base ex art. 74 D.Lgs. n. 151/2001 - Riconoscimento

 

La ricorrente, premesso di essere cittadina marocchina titolare di permesso di soggiorno per motivi familiari, in data 11.4.2014 ha dato alla luce il figlio I.R. ed ha successivamente presentato al Comune di residenza domanda di indennità di maternità ai sensi dell'art. 74 d.lgs. 151/01 (v. doc. 2 fase, ricorrente).

Il Comune di Gorle ha inizialmente erogato la prestazione, essendo in corso l'iter amministrativo sulla domanda di carta di soggiorno presentata dall'interessata, ma successivamente ha dato disposizione all'Inps di procedere alla revoca del beneficio, stante l'intervenuto diniego della carta di soggiorno e dunque l'insussistenza del requisito di cui all'art. 74 d.lgs. 151/01 (v. doc. 4, 6, 7 fase, ricorrente).

La S. affermava il carattere discriminatorio della condotta tenuta dal Comune di Gorle e la contrarietà dell’art. 74 d.lgs. 151/01 a disposizioni internazionali, nella parte in cui consente l'erogazione dell'assegno di maternità solo a favore degli stranieri titolari di permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo.

Il Comune di Gorle, costituitosi in giudizio, evidenziava come la scelta legislativa operata con l'art. 74 d.lgs. 151/01, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata, risultasse razionale e non discriminatoria.

L'INPS, costituitosi a sua volta in giudizio, dopo aver preliminarmente eccepito il suo difetto di legittimazione passiva, negava la sussistenza della dedotta discriminazione, nonché la violazione di norme nazionali o sovranazionali.

Tutto ciò premesso, si osserva: per la soluzione della controversia è dirimente la questione di legittimità costituzionale dell'art. 74 d.lgs. n. 151/01 nella parte in cui limita soggettivamente l'accesso al beneficio dell'assegno di maternità, oltre che ai cittadini italiani e comunitari, ai soli stranieri soggiornanti di lungo periodo, escludendo gli stranieri in possesso di permesso di soggiorno per motivi familiari (o per altri motivi); non è dirimente l'eccezione di difetto di legittimazione sollevata dall'Inps atteso che l'eventuale ordine di cessazione della condotta antidiscriminatoria spiegherebbe i suoi effetti pure nei confronti dell'ente, tenuto al pagamento della prestazione;

per quanto attiene, invece, alla rilevanza della questione di costituzionalità, occorre rilevare, innanzitutto, come non siano in discussione tutti gli altri requisiti per l'accesso al beneficio assistenziale, essendo controversa solo la questione relativa all'estensione soggettiva del beneficio medesimo alla ricorrente, non cittadina italiana, né comunitaria e priva di permesso di soggiorno di lunga durata;

ciò richiede pertanto la valutazione della legittimità costituzionale dell'art. 74 d.lgs. 151/2001 nella parte in cui riconosce il beneficio ai soli cittadini italiani o comunitari o agli stranieri titolari della carta di soggiorno (ora permesso di soggiorno di lunga durata);

l'art. 74, comma 1, d.lgs. 151/2001 stabilisce che "per ogni figlio nato dal 1° gennaio 2001, o per ogni minore in affidamento preadottivo o in adozione senza affidamento dalla stessa data, alle donne residenti, cittadine italiane o comunitarie o in possesso di carta di soggiorno ai sensi dell'art. 9 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, che non beneficiano dell'indennità di cui agli articoli 22, 66 e 70 del presente testo unico è concesso un assegno di maternità";

secondo il 4° comma della citata disposizione, "l'assegno di maternità di cui al comma 1, nonché l'integrazione di cui al comma 6, spetta qualora il nucleo familiare di appartenenza della madre risulti in possesso di risorse economiche non superiori ai valori dell'indicatore della situazione economica (ISE), di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, tabella 1, pari a lire 50 milioni annue con riferimento a nuclei familiari con tre componenti";

la ricorrente è residente in Italia e legalmente presente sul territorio nazionale in virtù di permesso di soggiorno per motivi familiari valido fino al 19 gennaio 2016, mentre il marito ed il figlio sono titolari di permesso di soggiorno per lungosoggiornanti, ciò quindi dà conto di una presenza in Italia non avente carattere episodico;

l'art. 14 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo (CEDU) firmata a Roma il 4 novembre 1950 sancisce che "il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l'origine nazionale o sociale, l'appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione";

la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo ha reiteratamente affermato che tra i diritti patrimoniali tutelati dall'art. 1 del Protocollo addizionale 1 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, si intendono anche le prestazioni sociali, comprese quelle cui non corrisponde il versamento di contributi, e che per tali diritti vige il divieto di discriminazione di cui all'art. 14 della Convenzione (in tal senso, con riferimento all'assegno di invalidità civile cfr. sentenza 26 febbraio 1993 in causa Salesi/Italia; sentenza 30 settembre 2003 in causa Koua Poirrez/Francia nella quale si stabilisce il principio per cui "l'assegno per minorati adulti previsto dalla legislazione francese è un diritto patrimoniale ai sensi dell'art. 1 del Protocollo I e di conseguenza soggiace al divieto di discriminazione sancito dall'art. 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo");

deve quindi ritenersi che l'art. 14 della CEDU e l'art. 1 del relativo Protocollo addizionale, secondo l'interpretazione della Corte europea per la tutela dei diritti dell'uomo, obblighino lo Stato italiano a legiferare in materia di prestazioni sociali, anche non contributive, senza porre alcuna discriminazione in ragione della nazionalità delle persone. Discriminazione che ricorre ogniqualvolta un dato trattamento non trovi una giustificazione oggettiva e ragionevole, non realizzando un rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e l'obiettivo perseguito (cfr. Niedzwiecki contro Germania, sentenza del 25 ottobre 2005);

l'art. 74 d.lgs. 151/2001, ponendo come requisito per la fruizione dell'assegno di maternità il possesso della cittadinanza italiana o l'essere titolare di carta di soggiorno (ora permesso CE per lungo soggiorno), ha portata restrittiva e non manifestamente ragionevole, introducendo un trattamento differenziato basato solo sul dato temporale di durata della residenza rispetto ad alcune categorie di stranieri extracomunitari, senza prendere in considerazione la condizione di grave bisogno della persona soggiornante, legalmente autorizzata, che può versare in una oggettiva situazione di debolezza economica, tale da non consentirle di poter adeguatamente provvedere al sostentamento proprio e del figlio;

la Corte Costituzionale ha più volte evidenziato tale esigenza di tutela (cfr. sent. 29-30 luglio 2008, n. 306, relativa all'indennità di accompagnamento; sent. 14-23 gennaio 2009 n. 11 relativa alla pensione di inabilità; sent. n. 187/2010 riguardante l'assegno mensile di invalidità; sent. n. 329 del 2011 concernente la indennità di frequenza, sent. n. 22 del 27 gennaio 2015 per le pensioni ai ciechi civili), ribadendola, da ultimo, nell'affermare l'illegittimità costituzionale dell'art. 80 comma 19 della legge n. 388/2000 nella parte in cui subordinava al requisito della titolarità della carta di soggiorno la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato della pensione di cui all'art. 8 della legge 10 febbraio 1962, n. 66 e dell'indennità di cui all'art. 3, comma 1, della legge 21 novembre 1988, n. 508 (cfr. sent. n. 22 del 27 gennaio 2015);

con tale sentenza la Corte, richiamando proprie analoghe precedenti pronunce, ha ribadito come "qualsiasi discrimine fra cittadini e stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato, fondato su requisiti diversi da quelli previsti per la generalità dei soggetti, finisce per risultare in contrasto con il principio di non discriminazione di cui all'art. 14 della CEDU, per come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo";

principi che devono trovare applicazione anche con riferimento alle misure assistenziali, ovvero "a benefici rivolti a soggetti in gravi condizioni di salute, portatori di impedimenti fortemente invalidanti, la cui tutela implicava il coinvolgimento di una serie di valori di essenziale risalto e tutti di rilievo costituzionale, a cominciare da quello della solidarietà, enunciato all'art. 2 Cost." (cfr. sent. n. 22 del 27 gennaio 2015);

tali principi debbono essere riaffermati pure con riferimento all'indennità di maternità, trattandosi di beneficio a tutela dei bisogni di un minore, nell'ambito di un contesto familiare di difficoltà economica, per cui non v'è dubbio che si tratti di una prestazione diretta a soddisfare bisogni primari della persona che è compito dello Stato tutelare e salvaguardare;

il soggetto richiedente tale beneficio, infatti, si trova generalmente in una situazione di particolare debolezza, sia fisica, notoriamente legata ai mesi immediatamente successivi alla nascita del figlio, sia economica, ostativa allo svolgimento di attività lavorativa durante il periodo di interdizione obbligatoria, per cui la prestazione è chiaramente posta a tutela di situazioni di bisogno rispetto a condizioni di vita minime;

per tali ragioni appaiono sussistere fondati dubbi di irragionevole discriminazione legata solo a condizioni di appartenenza nazionale o comunitaria o di durata temporale del soggiorno, non ricorrendo, nella situazione in esame, neppure una situazione di presenza sul territorio nazionale del tutto episodica o di breve durata;

secondo l'art. 41 del d.lgs. n. 286 del 1998 "gli stranieri titolari della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno, nonché i minori iscritti nella loro carta di soggiorno o nel loro permesso di soggiorno, sono equiparati ai cittadini italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale, incluse quelle previste per coloro che sono affetti da morbo di Hansen o da tubercolosi, per i sordomuti, per i ciechi civili, per gli invalidi civili e per gli indigenti";

l'art. 74 d.lgs. 151/2001, inibendo al soggetto extracomunitario stabilmente e regolarmente presente nel territorio nazionale, se privo di carta di soggiorno (ora permesso di soggiorno CE di lungo periodo a norma del d.lgsl. 3 del 2007), la fruizione dell'assegno di maternità, diversifica, in violazione dell'art. 3 della Costituzione, il trattamento di situazioni identiche senza alcuna giustificazione razionale;

la norma dell'art. 74 cit. pare pure contraria ai valori di solidarietà di cui all'art. 2 della Costituzione ed alle finalità proprie dell'assistenza, quali emergono dall'art. 38 Cost. (estensibili anche alla persona straniera extracomunitaria) volto ad assicurare mezzi di sostentamento per la garanzia delle esigenze minime di protezione della persona;

l’art. 10 Cost. rimette al legislatore nazionale la disciplina applicabile allo straniero, ma secondo la giurisprudenza costituzionale, il potere e la discrezionalità del legislatore, nell'introdurre trattamenti differenziati tra cittadini e stranieri (laddove non vengano in considerazione diritti inviolabili), incontra il limite del parametro di ragionevolezza e dei principi internazionali recepiti dall'ordinamento nazionale;

la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea del 7 dicembre 2000, in tema di "sicurezza sociale e assistenza sociale", stabilisce, all'art. 34, "il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali che assicurano protezione in casi quali la maternità, (...) secondo le modalità stabilite dal diritto dell'Unione e le legislazioni e prassi nazionali";

l'art. 74 d.lgs. 151/01, nel subordinare la fruizione dell'assegno di maternità alla titolarità del permesso di soggiorno CE di lungo periodo, risulta in contrasto pure con il disposto dell'art. 31 della Costituzione secondo cui la Repubblica protegge la maternità;

dall'esame complessivo del diritto dell'Unione Europea non è rinvenibile una disposizione normativa munita di completezza, precisione, chiarezza e assenza di condizioni, tale da consentire di riconoscere il diritto all'assegno in questione anche allo straniero soggiornante per motivi familiari, non in possesso dei requisiti per il conseguimento del permesso di soggiorno di lunga durata;

la formulazione della norma censurata e la tassatività del novero dei soggetti ivi elencati osta ad una interpretazione adeguatrice, considerato peraltro che, sino ad oggi, eventuali estensioni dei benefici, nel settore della previdenza ed assistenza sociale, sono avvenute per effetto di pronunce di illegittimità costituzionale;

si rende quindi necessario investire la Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell'art. 74 d.lgs. 151/01 che, in virtù delle considerazioni sopra esposte, oltre che rilevante nell'ambito del giudizio instaurato dalla ricorrente, non appare manifestamente infondata, posto che la norma, nel subordinare il diritto al possesso di carta di soggiorno (ora permesso di soggiorno di lungo periodo) e dunque al requisito della presenza nel territorio dello Stato da almeno cinque anni, introduce un requisito idoneo a generare una irragionevole discriminazione nei confronti del cittadino, in violazione degli artt. 14 della Convenzione ed 1 del Protocollo aggiuntivo, così come interpretati dalla Corte stessa e replicati nell'art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, a sua volta richiamato dall'art. 6 del Trattato sull'Unione Europea, dagli art. 2, 3, 10, 31, 38, 117 primo comma Cost.

 

P.Q.M.

 

In funzione di giudice del lavoro, sospende il giudizio e dispone la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, ordinando che, a cura della cancelleria, l'ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale sia notificata alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei Ministri ed ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.