Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 04 dicembre 2015, n. 24775

Tributi - Registro - Scritture private non autenticate relative a promesse di vendita di immobili - Sequestro nel corso di perquisizioni domiciliari - Registrazione d’ufficio

 

Svolgimento del processo

 

Nel corso di perquisizione domiciliare presso l’abitazione del sig. A. C., tra documentazione varia, furono rinvenute diverse scritture private non autenticate relative a distinte promesse di vendita di immobili dal C. a terzi.

Trasmessi i relativi documenti dalla Polizia tributaria all’Amministrazione finanziaria, l’allora Ufficio del Registro di Caserta notificò al C. quattro distinti avvisi di liquidazione, con i quali fu richiesta l’imposta di registro dovuta in relazione alle indicate promesse di vendita.

Il C. impugnò separatamente gli atti dinanzi alla Commissione tributaria di 1° grado di Santa Maria Capua Vetere, deducendo come motivi di ricorso l’illegittimità del possesso dei documenti da parte dell’Amministrazione finanziaria e l’intervenuta decadenza dell’Amministrazione medesima dalla pretesa impositiva.

I ricorsi furono accolti dal giudice tributario adito, con quattro distinte ma identiche pronunce, che, appellate dall'Ufficio, furono confermate dalla Commissione tributaria di 2° grado di Caserta, ciascuna in separati giudizi, con quattro sentenze d’identico contenuto, contestualmente depositate. Proposti avverso dette decisioni dall’Ufficio separate impugnazioni dinanzi alla Commissione tributaria centrale, quest’ultima, sezione di Napoli, con quattro sentenze distinte, ma d’identico contenuto, la n. 654, la n. 655, la n. 656 e la n. 657 del 2010, tutte depositate l’il febbraio 2010, accolse i ricorsi, affermando in ciascuna pronuncia che le scritture private sequestrate dovessero intendersi nel legittimo possesso dell’Amministrazione finanziaria e che nelle fattispecie esaminate non si era verificata l’eccepita decadenza dell’Amministrazione dalla pretesa impositiva.

Avverso le suddette decisioni ricorre con unico ricorso per cassazione il C., affidandolo a due motivi.

L’intimata Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce l’illegittimità del possesso da parte dell’Amministrazione finanziaria della scrittura privata sottoposta a registrazione d’ufficio, censurando la sentenza impugnata per "violazione, errata interpretazione e applicazione dell’art. 15, co. 1, n. 2 D.P.R. 26.10.1972, n. 634, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c. Vizio di ultrapetizione - Violazione art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 e 5 c.p.c", così cumulando, in effetti, nello stesso motivo, due diversi ordini di censure. Sotto il primo profilo osserva il ricorrente come sia incontrovertibile che l’acquisizione del documento è avvenuta nell’ambito di un’indagine di natura penale disposta dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere e non già in applicazione di norme di natura tributaria e che, quantunque nei gradi di merito fosse stata espressamente contestata dal contribuente l’esistenza di un provvedimento della suddetta autorità giudiziaria autorizzativo a fini fiscali della documentazione sequestrata, esso non era mai stato versato in atti dall’Amministrazione finanziaria. Sotto il secondo profilo è contestata la legittimità, operata dalla CTC, al fine di pervenire all’affermazione della legittimità del possesso delle scritture da parte dall’Amministrazione finanziaria, dell’inquadramento della fattispecie in ipotesi non prospettate dalla stessa Amministrazione nei precedenti gradi di giudizio.

2. Con il secondo motivo, infine, il ricorrente formula eccezione di giudicato esterno, deducendo la "violazione dell’art. 2909 cod. civ., con riferimento all’art. IlI Costituzione, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.".

Rileva in proposito il ricorrente che, successivamente al deposito della sentenza della CTC in questa sede impugnata, sono passate in giudicato diverse decisioni della stessa CTC - sezione di Napoli - precisamente, la n. 1196/09 depositata il 7 luglio 2009, la n. 721/03/09 depositata il 26 maggio 2009, e la n. 1281/08/09 depositata il 10 luglio 2009, che hanno ritenuto infondato il ricorso dell’Ufficio, osservando, per quanto qui rileva, quanto segue.

La n. 1196/09 ha affermato che "la scrittura in oggetto è stata acquisita durante indagini disposte per accertare l’eventuale commissione del reato di cui all’art. 416 c.p. e non per accertare reati o irregolarità fiscali. Tali acquisizioni illegittime e i conseguenti atti sono perciò avvenuti in violazione dell’art. 15 lett. B del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131".

La n. 721/03/09 ha statuito che "deve ritenersi illegittimo il sequestro di una scrittura privata relativa al trasferimento di un appezzamento di terreno, appresa, unitamente ad altri documenti riguardanti la misura e le modalità di pagamento del prezzo, nel corso di un’ispezione non diretta all’accertamento di eventuali evasioni fiscali in materia di imposta di bollo ed IGE".

La n. 1281/08/09 ha infine affermato che "l’Amministrazione finanziaria può procedere d’ufficio alla registrazione di una scrittura privata autenticata da registrarsi in termine fisso solo quando ne sia venuta in possesso legittimamente, ovvero nel caso in cui la legge autorizza l’Amministrazione finanziaria a compiere ispezioni e sequestri o nel caso in cui ne abbia avuto visione in sede di accesso, ispezioni e verifiche eseguite ai fini di altri tributi precisamente Iva e bollo. Nel caso de quo nessuno dei presupposti si è verificato, in quanto la scrittura privata in questione è pervenuta all’Ufficio tramite la Polizia Tributaria a seguito di sequestro operato dalla Polizia di Stato e convalidato dalla Procura della Repubblica di S. Maria C. V., in cui è stato disposto la trasmissione di documenti alla Polizia Tributaria al fine di accertare eventuali estremi di reato di cui all’art. 416 c.p.".

Assume quindi il ricorrente che a dette decisioni debba attribuirsi, riguardo alla presente controversia, efficacia di giudicato esterno, trattandosi in ciascun caso di accertamento compiuto in ordine alla deduzione di questioni di fatto e di diritto relativo ad un punto fondamentale, comune ad entrambe le cause.

3. Preliminarmente va dato atto dell’ammissibilità della proposizione di un unico ricorso cumulativo avverso le diverse sentenze impugnate in materia tributaria, tutte contestualmente depositate dallo stesso collegio della CTC di Napoli, rese nei confronti delle stesse parti, sulla base della medesima ratio, riguardo ad analoghe pretese impositive fondate sul medesimo presupposto di fatto (cfr. Cass. civ. sez. unite 16 febbraio 2009, n. 3692 e successive conformi, tra le quali Cass. civ. sez. V 3 aprile 2013, n. 8075).

4. Venendo all’esame dei motivi di ricorso, deve essere prioritariamente esaminato il secondo motivo, con il quale il ricorrente invoca l’applicazione del giudicato esterno, che si sarebbe formato, secondo il suo assunto, successivamente al deposito delle sentenze in questa sede impugnate, per la sopravvenienza del giudicato delle altre decisioni della stessa CTC - sezione di Napoli - come sopra citate.

Osserva la Corte che, se l’eccezione è ammissibile sotto il profilo temporale, in conseguenza del sopravvenire del giudicato alle decisioni in questa sede impugnate, che ne consente, per la prima volta, la deduzione in sede di legittimità, essa, nondimeno, è infondata.

Oltre, infatti, a riferirsi le menzionate sentenze a giudizi, tra le stesse parti, originati dall’impugnazione, da parte del C., di avvisi di liquidazione afferenti a diverse scritture, sia pure acquisite con le stesse modalità, nell’ambito della medesima perquisizione domiciliare, è evidente come nella fattispecie non possa parlarsi di effetto preclusivo, proprio del giudicato, in ragione dell’accertamento del medesimo fatto, atteso che i passi delle indicate pronunce, come innanzi riportati, attengono unicamente alla qualificazione giuridica in termini di ritenuta illegittimità del possesso dei documenti da parte dell’Amministrazione, ritenuta nelle menzionate pronunce preclusiva della registrazione d’ufficio. Sicché, nella fattispecie in esame, si è al di fuori della possibilità d’invocare il giudicato esterno, secondo i principi indicati dalla pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte 16 giugno 2006, n. 13916, impropriamente richiamata da parte ricorrente, con riferimento al presente giudizio.

5. Del pari è infondato il primo motivo.

La censura del vizio di ultrapetizione è in primo luogo inammissibile, per erroneo riferimento ai paradigmi normativi di cui all’art. 360 1° comma n. 3 e 5 c.p.c., anziché all’art. 360 1° comma n. 4 c.p.c., senza che, di là dell’erroneo riferimento in rubrica, l’illustrazione del motivo possa consentire il corretto riferimento all’ipotesi di nullità della sentenza per violazione della norma processuale indicata (cfr. Cass. civ. sez. unite 24 luglio 2013, n. 17931; Cass. civ. sez. I 31 ottobre 2013, n. 24553).

Essa è altresì infondata, atteso che la decisione impugnata si è limitata alla qualificazione giuridica della legittimità del possesso in relazione ai medesimi riferimenti normativi sui quali si è sviluppato il contraddittorio tra le parti nei precedenti gradi di giudizio, puntualizzando soltanto che l’art. 15, della cui interpretazione si controverte, sia nella precedente versione del D.P.R. n. 634/1972, sia in quella prevista dal D.P.R. n. 131/1986, va letto nel contesto delle ulteriori disposizioni di cui alla L. n. 4/1929 In proposito deve più in dettaglio osservarsi quanto segue.

Il ricorso non chiarisce quando siano state materialmente acquisite le scritture in oggetto. Dalla ricostruzione dei fatti, che riguardano in effetti una pluralità di giudizi proposti dal C. nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, risulta che il sequestro dei documenti poi sottoposti a registrazione d’ufficio, con conseguente emissione dei diversi avvisi di liquidazione separatamente impugnati, avvenne in due tempi, nel febbraio 1984 e nel maggio 1984, la prima volta ad opera della Polizia di Stato, con successivo decreto di convalida ad opera del P.M. e la seconda ad opera della Polizia tributaria investigativa su disposizione della stessa Procura della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.

In ogni caso, con riferimento alla frazione temporale sopra indicata, ai fini della decisione della presente controversia viene in rilievo il disposto dell’art. 15 1° comma n. 2) del D.P.R. n. 634/1972, nella parte in cui, per quanto qui rileva, prevede la registrazione d’ufficio, previa riscossione dell’imposta dovuta, per le scritture private non autenticate soggette a registrazione in termine fisso quando l’amministrazione finanziaria ne sia venuta legittimamente in possesso.

Detta norma lascia dunque all’interprete il compito di delineare la nozione di "legittimo possesso" che, viceversa, l’art. 15 1° comma lett. b) del nuovo testo unico in tema di imposta di registro, di cui al D.P.R. n. 131/1986, prevede debba avvenire in base ad una legge che autorizzi il sequestro del documento o del quale, comunque, l’Amministrazione finanziaria abbia avuto visione nel corso di accessi, ispezioni o verifiche eseguite ai fini di altri tributi.

Il ricorrente, riferendosi ad ormai risalente giurisprudenza di questa Corte, sostiene che già nel vigore dell’art. 15 del D.P.R. n. 634/1972 l’acquisizione da parte del fisco di dette scritture private potesse ritenersi legittima soltanto se avvenuta in occasione di ispezioni contemplate da leggi tributarie, e le stesse scritture risultassero non in regola con l’imposta di bollo o rispetto ad altri tributi che del pari ne consentissero il sequestro.

In realtà nessuna delle pronunce di questa Corte, che nei precedenti gradi di giudizio le parti hanno assunto come favorevoli alle tesi rispettivamente sostenute (a solo titolo esemplificativo, Cass. civ. sez. I 22 novembre 1973, n. 3159, che l’Amministrazione ha indicato come arresto favorevole alla tesi sostenuta, e Cass. civ. sez. I 30 luglio 1997, n. 7115, indicata dal contribuente a sostegno del proprio assunto), appare come esattamente riferibile al caso di specie in cui, a fronte di un sequestro legittimamente eseguito dalla Polizia di Stato nell’ambito di un’indagine di natura penale, è seguita ulteriore attività investigativa demandata espressamente alla Polizia tributaria dal P.M. procedente, e ciò deve ritenersi, come statuito nella sentenza impugnata, nell’ambito della collaborazione istituzionalmente prevista dall’art. 32 della L. n. 4/1929, potendosi in astratto ipotizzare la commissione di reati tributari.

Non può, in proposito, infatti, condividersi la lettura proposta dal ricorrente, fatta propria in particolare dall’ultima delle decisioni ad esso favorevoli impropriamente invocate come giudicato esterno, secondo cui la trasmissione da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere alla Polizia tributaria sia stata disposta esclusivamente perché "potessero emergere ipotesi di reato", cioè unicamente in relazione all’art. 416 c.p., ipotesi di reato che ha giustificato l’originario sequestro, dovendosi presumere che l’organo della pubblica accusa sia in grado d’intendere e valutare se la documentazione già acquisita fosse idonea a supportare detta ipotesi di reato, richiedendo invece alla Polizia tributaria investigativa della Guardia di Finanza gli opportuni approfondimenti per l’eventuale accertamento, riguardo alla stessa documentazione già rinvenuta ed ancora da acquisire, di reati di natura tributaria.

Ciò posto - e ribadito che non è chiarita materialmente in ricorso la circostanza in cui è avvenuto il sequestro delle promesse di vendita poi trasmesse all’Amministrazione finanziaria - deve concludersi nel senso che l’apprensione del documento è avvenuta comunque in modo legittimo con sequestro ritualmente eseguito e convalidato, come ammesso dallo stesso ricorrente, e che ritualmente la Polizia tributaria, a ciò demandata dal P.M. procedente, ha trasmesso gli atti all’Amministrazione finanziaria.

Né appare ostativo a ritenere il sequestro legittimo in ambito tributario il disposto dell’art. 25 della L. n. 4/1929, secondo il quale "Non si può procedere, tranne che nei casi indicati dalle singole leggi finanziarie, al sequestro dei libri prescritti dal Codice di commercio e di quelli altri che, secondo gli usi commerciali, servono all’esercizio del commercio o dell’industria". Deve, infatti, condividersi quanto ritenuto dalla decisione impugnata, laddove ha affermato che la norma limita i poteri di sequestro soltanto in relazione a determinati documenti, necessari per lo svolgimento dell’attività aziendale (tali non sono certamente quelli rivenuti presso il domicilio del C.). Sicché può legittimamente concludersi, argomentando a contrario dalla predetta disposizione, che tutti gli altri documenti che non rientrino nella specifica previsione di detta norma possano essere legittimamente acquisiti, quando ciò risulti necessario a garantire il rispetto della normativa tributaria, come nel caso di specie, alla stregua delle osservazioni sopra svolte.

Il ricorso va dunque rigettato.

6. Alla stregua del disposto dell’art. 92 2° comma c.p.c. nella formulazione applicabile, ratione temporis, al presente giudizio, ricorrono giusti motivi, attesa la peculiarità della fattispecie, non sussumibile in alcuna delle precedenti decisioni rese in materia da questa Corte, per compensare tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e dichiara compensate tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.