Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 24 novembre 2015, n. 23945

Demansionamento ai sensi dell’art. 2103 c.c. - Jobs act - Conservazione delle mansioni non dirigenziali - Perdita del potere di firma degli atti di gestione dei rapporti giuridici sostanziali

 

Svolgimento del processo

 

Il Tribunale di Lecce accolse per quanto di ragione la domanda proposta da nei confronti della B.M.P.S. s.p.a. e della MPS G.C.B. s.p.a. e condannò entrambe le società, in diversa misura, al risarcimento dei danni professionali e morali per accertato demansionamento in pregiudizio del ricorrente.

A seguito di impugnazione principale dei predetti istituti di credito ed incidentale del lavoratore, la Corte d’appello di Lecce, con sentenza del 27.2 - 18.3.2009, ha respinto l’appello incidentale ed ha accolto quello principale, rigettando la domanda proposta dal lavoratore.

Ha spiegato la Corte che l’attività svolta dal S., per quanto importante e contraddistinta da una certa autonomia e da poteri di firma entro determinati limiti, non era tale da poter essere inquadrata nell’ambito dirigenziale.

Ha aggiunto la Corte che se, da un Iato, era innegabile che dopo il mese di dicembre del 2000 il lavoratore aveva subito un netto demansionamento rispetto al periodo precedente, dall’altro, il medesimo non aveva fornito la prova dei danni lamentati.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso il S. con quattro motivi. Resistono con controricorso la B.M.P.S. s.p.a. e la M.P.S. G.C.B. s.p.a. che propongono, a loro volta, ricorso incidentale affidato ad un solo motivo, al cui accoglimento si oppone il lavoratore.

Le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

Preliminarmente va disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale ai sensi dell'art. 335 cod. proc. civ.

a.1. Col primo motivo il ricorrente principale denunzia la nullità della sentenza per violazione degli artt. 111, comma 7, della Costituzione, 132 n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., nella parte in cui la Corte d’appello di Lecce gli ha respinto la domanda tesa alla condanna delle società convenute all’assegnazione di mansioni equivalenti alle ultime svolte e, comunque, corrispondenti a quelle proprie della sua qualifica, per carenza assoluta di motivazione. In alternativa, il ricorrente invoca la nullità della sentenza per violazione dell'art. 112 c.p.c. per omessa pronunzia della Corte territoriale su tale domanda (art. 360 n. 4 c.p.c.).

a.2. Col secondo motivo del ricorso principale si deduce il vizio di omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio riguardante la configurabilità delle mansioni svolte prima delle dequalificazione quali mansioni soggette ad un inevitabile impoverimento professionale in conseguenza del loro mancato esercizio per un rilevante periodo di tempo.

a.3. Col terzo motivo il ricorrente in via principale lamenta la contraddittorietà e l’insufficienza della motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio ai fini del riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni, riguardanti la sussistenza di un rilevante divario tra le mansioni svolte prima e dopo la dequalificazione, nonché la protrazione di quest’ultima per un lungo periodo di tempo di oltre otto anni. Sostiene il ricorrente che la lesione del patrimonio e la diminuzione delle capacità professionali erano conseguite automaticamente al mancato esercizio delle precedenti mansioni per un lunghissimo periodo di tempo e, comunque, dovevano ritenersi presunte.

a.4. Col quarto motivo del ricorso principale è lamentata la contraddittorietà della motivazione (oltre che la sua insufficienza) circa fatti controversi e decisivi per il giudizio riguardanti la lesione dell'immagine, della dignità e della vita di relazione in conseguenza dell’avvenuta dequalificazione.

b.1. Con unico motivo le suddette società bancarie propongono ricorso incidentale col quale lamentano la violazione degli artt. 2103 e 2697 cod. civ. e vizi di motivazione, negando il demansionamento affermato dalla Corte d’appello.

Esse osservano che, essendo stato il lavoratore in un primo tempo addetto, quale dipendente della Banca del Salento e della Banca 121 alle filiali di Taranto e di Brindisi, il passaggio alle dipendenze della B.M.P.S. (MPS) e poi alla MPS G.C. con il suo assenso non aveva comportato l’assegnazione a mansioni inferiori. Si trattava anzi di gestire pratiche legali di recupero crediti anche più complesse, con le mansioni di difensore o di consulente legale già svolte in passato. Certamente egli, privo della qualifica di dirigente, non poteva decidere le azioni giudiziarie da esercitare o le transazioni da proporre e poteva soltanto gestire le liti ed esprimere pareri sulla conduzione di esse alla parte interessata, ossia ai suoi superiori. In definitiva il passaggio da una banca locale ad una nazionale e ad un Istituto specializzato nella gestione dei crediti non aveva portato alla perdita di conoscenze ed esperienze professionali.

La Corte ritiene di esaminare in via prioritaria il motivo del ricorso incidentale in quanto attraverso lo stesso viene contestata in radice la sussistenza del lamentato demansionamento.

Il motivo è fondato.

Come si legge nella pagina 28 dell’impugnata sentenza, riportata nella pagina 15 del presente ricorso, il lavoratore ottenne dal giudice di primo grado l’accertamento dell’assegnazione a mansioni inferiori a quelle originarie, nonché la condanna della società attualmente datrice di lavoro ad "adibirlo ad attività confacenti al suo inquadramento". La Corte d’appello nella sentenza qui impugnata ha confermato il detto accertamento e, in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato per difetto di prova la connessa domanda risarcitoria. Essa ha così implicitamente confermato la pronuncia reintegratoria del Tribunale, intimamente connessa all’accertato demansionamento. Questa conferma sorregge l’interesse delle ricorrenti incidentali al loro unico motivo, col quale lamentano la violazione degli artt. 2103 e 2697 cod. civ. e vizi di motivazione, negando il demansionamento affermato dalla Corte d’appello.

E’ affermato nella sentenza impugnata e non è ora contestato che al S. non spettò mai, né prima né dopo il suddetto passaggio, la qualifica di dirigente.

Quanto alla nozione di assegnazione del prestatore di lavoro a mansioni inferiori ed alla distinzione dall'assegnazione a mansioni equivalenti, questa Corte ammette che la violazione dell’art. 2103 cod. civ., ossia il cosiddetto demansionamento, possa aversi anche quando le mansioni nuove e quelle anteriori rientrino nella medesima qualifica contrattuale purché quelle nuove compromettano la professionalità già raggiunta (Cass. Sez. un. 24 novembre 2006 n. 25033).

E’ per contro pacifico che il sindacato del giudice sull’atto imprenditoriale di esercizio del potere discrezionale di variare il contenuto della prestazione dovuta dal lavoratore non è sindacabile sotto il profilo dell'opportunità poiché la valutazione delle esigenze aziendali è riservata all’apprezzamento del titolare dell’impresa, quale espressione della libertà d'iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost. (Cass. 30 gennaio 2007 n. 1893, 15 febbraio 2008 n. 3861, 12 luglio 2010 n. 16317, 19 aprile 2010 n. 9251).

Il giudice deve perciò bilanciare il potere dell’imprenditore di perseguire il profitto attraverso un’organizzazione aziendale produttiva ed efficiente ed il diritto del lavoratore a non subire una vessatoria sottrazione di mansioni, tale da impoverire il suo patrimonio di conoscenze professionali o da mortificarlo e così da portare anche ad una violazione del principio di buona fede di cui all’art. 1375 cod. civ. (Cass. 5 aprile 2007 n. 8596).

Da tutto ciò consegue che non è sufficiente a violare l’art. 2103 cit., ossia non dà luogo ad illecito contrattuale, qualsiasi sottrazione di singoli compiti, nell’ambito della qualifica professionale d’appartenenza, che non alteri i tratti essenziali delle competenze raggiunte dal prestatore di lavoro (Cass. 2 maggio 2006 n. 10091) Analoga alla questione qui disputata è quella decisa da Cass. 6 maggio 2015 n. 9119, in cui si è ritenuto che non costituisse demansionamento la sottrazione della firma ad un redattore giornalistico e l’assegnazione alla cosiddetta cucina redazionale, senza perdita della qualifica.

Nello stesso senso Cass. 22 maggio 2014 n. 11395, che ritiene lecita la diminuzione quantitativa, ma non qualitativa, delle mansioni. Con queste sentenze vengono avvertite esigenze nuove, poi recepite dal legislatore in sede di riforma della materia (I. 10 dicembre 2014 n. 183, art. 7, lett. e).

Né contrasta con tutto ciò la sentenza n. 17624 del 5 agosto 2014 di questa Corte, che afferma l’incensurabilità del giudizio di merito in ordine alla perdita di professionalità del lavoratore, dovuta al trasferimento in un ufficio di minori dimensioni; perdita di una gravità tale da prevalere sulle ragioni organizzative del trasferimento.

Specialmente nel momento in cui esigenze organizzative e produttive inducano mutamenti soggettivi nella titolarità del rapporto di lavoro, con incorporazioni o fusioni societarie, oppure con cessioni d’azienda o di singoli rami, è frequente che nelle categorie e qualifiche più alte, nelle quali l’attribuzione delle mansioni più facilmente si basa sull’intuitus personae, si possono avere diminuzioni di compiti e di responsabilità, non gratificanti ma neppure contrastabili in sede giudiziaria, onde non frustrare operazioni economiche, legittimamente perseguite nell’esercizio del potere di gestire l’impresa e, se occorra, di risanarla in tutto o in parte.

Ciò si è verificato nel caso di specie. Con riguardo al periodo anteriore al passaggio alle dipendenze della società MPS G.C. s.p.a. la Corte d’appello riconosce al lavoratore un’attività che, pur non qualificabile come dirigenziale, fu tuttavia di un certo livello, nonché poteri di un certo rilievo, senza meglio specificare. Nella nuova sede di Lecce, dopo la soppressione degli uffici legali di Taranto e di Brindisi, l’attuale controricorrente perse il potere decisionale e di firma quanto alle transazioni ed alle azioni da intraprendere, ma ciò avvenne - sempre secondo la ricostruzione dei fatti compiuti dai giudici di merito - non per una perdita di fiducia nella persona attualmente controricorrente, ma perché la riorganizzazione dell’intero complesso aziendale aveva portato ad accentrare le funzioni attinenti ai rapporti sostanziali controversi, ossia ed essenzialmente quelli non compresi nella previsione dell’art. 84 cod. proc. civ. (esercizio o meno delle azioni, conclusione delle transazioni) nella sede di Bari (pag. 50 della sentenza impugnata).

Contrariamente a quanto ritiene la Corte d’appello, assume decisivo rilievo nella distribuzione delle mansioni il passaggio da un’azienda di non grandi dimensioni ad altra di dimensioni superiori.

In conclusione, non costituisce demansionamento ai sensi dell’art. 2103 cod. civ. la conservazione delle mansioni non dirigenziali proprie dell’addetto all’ufficio legale di una banca, con la sola perdita del potere di firma degli atti di gestione dei rapporti giuridici sostanziali, dovuta all’inserimento dell’azienda bancaria in altra di più ampie dimensioni.

L’accoglimento dell’unico motivo del ricorso incidentale delle società datrici di lavoro, basato sul diniego dell’avvenuto demansionamento, comporta l’assorbimento del ricorso principale incentrato sia sulla omessa pronunzia in merito alla domanda del lavoratore volta alla condanna della parte datoriale alla sua reintegrazione nelle mansioni originarie, sia sugli asseriti danni da demansionamento.

In definitiva va accolto il ricorso incidentale, mentre resta assorbito l’esame del ricorso principale. Ne consegue che l’impugnata sentenza va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa è decisa direttamente da questa Corte nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., con il rigetto della domanda proposta da S. L..

La complessità della questione di diritto sottoposta alla Corte, dimostrata anche dai contrastanti esiti dei gradi di merito, induce a compensare le spese dell’intero processo.

 

P.Q.M.

 

Riunisce i ricorsi, accoglie il ricorso incidentale, dichiara assorbito il ricorso principale, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda dell’attore. Compensa le spese dell’intero processo.