Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 02 dicembre 2015, n. 24530

Rapporto di lavoro - Furto in azienda di modestissimo valore - Licenziamento - Illegittimità - Sanzione espulsiva sproporzionata

 

Svolgimento del processo

 

Ai sig. (...) dipendente della (...) s.p.a. ed addetto al reparto mobili, veniva contestata il 25.3.2006 una violazione disciplinare consistita nell'aver prelevato dalla merce esposta al pubblico un articolo (porta telefono magnetico) con il proposito di appropriarsene. La datrice di lavoro intimava il licenziamento per giusta causa; il ricorso del (...) con il quale si contestava la legittimità del recesso veniva respinto dal Tribunale del lavoro di Palermo e l'appello veniva anche rigettato dalla Corte di appello di Palermo con sentenza del 23.3.3012. Circa la fondatezza della contestazione la Corte territoriale osservava che i fatti non erano controversi posta la deposizione del capo turno sicurezza e degli altri testimoni sentiti. Il (...) era stato invitato una prima volta dopo l'allarme del dispositivo antitaccheggio a svuotare le tasche ma aveva esibito alcuni oggetti e non anche quello sottratto; poi era stato pedinato dai capo turno che l'aveva visto intento nel tentativo di disfarsi dell'oggetto che poi l'appellante aveva riconsegnato. L'archiviazione in sede penale non escludeva la sussistenza del fatto posto che era dovuta al difetto di querela. Il rapporto fiduciario doveva intendersi irreversibilmente minato posto il comportamento tenuto dal dipendente anche dopo la scoperta del fatto che aveva continuato a escludere la sua responsabilità ed a cercare di eliminarne le prove; la tenuità del valore dell'oggetto non appariva sufficiente ad escludere l'avvenuta rottura dell'elemento fiduciario.

Per la cassazione di tale decisione propone ricorso il (...) con tre motivi; resiste controparte con controricorso. Le parti hanno presentato memoria ex art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo si allega l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio con riferimento alla sussistenza del fatto, presupposto dell'irrogazione della sanzione. Non esisteva la prova circa la commissione del fatto addebitato; le dichiarazioni del teste (...) (dipendente della datrice di lavoro) erano prive di riscontri.

Il motivo è Infondato. La sentenza Impugnata riferisce di un pieno accertamento dei fatti così come contestati alla luce delle dichiarazioni rese dai testi (...) e (...) e del sostanziale riscontro offerto dalle stesse dichiarazioni del (...). La motivazione della sentenza impugnata (peraltro confermativa di quella di primo grado) appare congrua e logicamente coerente mentre le censure appaiono da un lato di merito, dirette ad una "rivalutazione del fatto", come tale inammissibile in questa sede, dall'altro del tutto generiche in quanto non offrono alcuna puntuale ed organica ricostruzione delle emergenze processuali.

Con il secondo motivo si allega la violazione dell'art. 2697 c.c., nonché l'omessa motivazione sul punto dell'idoneità del fatto contestato a rompere il vincolo fiduciario. Il comportamento tenuto dal dipendente non era così grave da impedire la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto di lavoro.

Con il terzo motivo si allega la violazione e falsa applicazione dell’art. 2106 c.c., e dell’art. 7 L. n. 300/1970, nonché insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto. La sanzione non era proporzionata all'obiettiva entità dei fatti commessi, tenuto anche conto dei 16 anni di anzianità lavorativa senza precedenti disciplinari. La datrice di lavoro, inoltre non aveva subito alcun danno.

I due motivi, da esaminarsi congiuntamente, appaiono fondati e pertanto vanno accolti. La motivazione della sentenza impugnata, pur dando atto del valore trascurabile dell'articolo sottratto pari ad euro 2,90, sottolinea il comportamento tenuto dal dipendente che, pur scoperto, lo avrebbe nascosto ad una prima verifica e lo avrebbe consegnato solo successivamente (dopo che era stato pedinato); inoltre avrebbe continuato a sostenere che si trattava di un bene di sua proprietà. Tuttavia queste circostanze non conferiscono all'episodio di cui è causa quel carattere di particolare gravità tale da poter determinare la rottura del vincolo fiduciario e da legittimare la sanzione massima di carattere espulsivo. Si tratta di un comportamento facilmente spiegabile in relazione alla preoccupazione del dipendente delle conseguenze del gesto probabilmente commesso - per il bene sottratto - senza alcuna premeditazione, il che spiega anche il panico dei lavoratore una volta scoperto (la Corte territoriale ha Infatti parlato di una condotta "connotata di riprovevolezza e di pervicacia nel proposito antigiuridico", termini che mai ricostruiscono una vicenda come quella in esame in quanto ne ingigantiscono abnormemente le proporzioni). Pertanto tenuto conto dell'unicità dell'episodio, della particolare modestia del prodotto sottratto, dell'anzianità del lavoratore (16 anni senza sanzioni disciplinari) la sanzione disciplinare espulsiva appare obiettivamente sproporzionata e non può essere giustificata sulla sola base della condotta dopo la sottrazione del bene che comprova solo lo stato di agitazione del lavoratore, il fatto ben poteva essere idoneamente sanzionato con una misura diversa dall'extremo ratio del recesso per giusta causa.

Accolti i due ultimi motivi di ricorso va conseguentemente cassata la sentenza impugnata: non necessitando la questione della legittimità del recesso di ulteriori approfondimenti istruttori la controversia sul punto può essere decisa nel merito con la dichiarazione di illegittimità del licenziamento ed il conseguentemente ordine di reintegrazione nel posto di lavoro (ex art. 18 L. n. 300/1070 (ndr art. 18 L. n. 300/1970) la cui applicabilità non emerge essere stata contestata), mentre va disposto il rinvio alla Corte di appello di Palermo in diversa composizione per la determinazione del danno ed il regolamento delle spese (ivi comprese quelle del giudizio di legittimità).

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito dichiara I'illegittimità del licenziamento ed ordina la reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro. Rinvia alla Corte di appello di Palermo in diversa composizione per la determinazione del danno ed il regolamento delle spese.