Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 25 novembre 2015, n. 24009

Tributi - IVA - Condono tombale di cui all'art. 9 della Legge n. 289/02 - Inapplicabilità all’IVA perché incompatibile con l’ordinamento comunitario - Credito utilizzato in compensazione - Omessa presentazione dichiarazione annuale del periodo del credito - Irrilevanza

 

Ritenuto in fatto

 

La società "L. S.c.r.l." utilizzava in compensazione, nella dichiarazione Iva relativa all'anno di imposta 2003, parte del credito Iva maturato nell'anno 2002, riportando il residuo importo a credito per l'anno successivo.

L'amministrazione finanziaria, riscontrata in sede di accertamento automatizzato l'omessa dichiarazione Iva nelle annualità dal 1999 al 2002 - in relazione alle quali la stessa società aveva presentato condono tombale, ex art. 9, L. n. 289/02 - disconosceva il credito Iva del 2002, iscrivendone a ruolo la parte compensata ed azzerando quella riportata a nuovo.

La contribuente impugnava la cartella esattoriale, deducendo l'ininfluenza dell'omessa dichiarazione Iva annuale, a fronte di un credito Iva documentato sia dai versamenti periodici che dalle scritture contabili.

L'ufficio replicava che, tanto l'omessa dichiarazione Iva nell'anno 2002, quanto l'adesione al condono tombale per detta annualità, impedivano l'utilizzo del relativo credito.

La C.T.P. di Salerno respingeva il ricorso della contribuente, escludendo l'impedimento derivante dalla omessa dichiarazione annuale, ma riconoscendo quello derivante dall'adesione al condono.

Nel proporre appello, la società contestava che il condono potesse incidere su eventuali crediti del contribuente. A sua volta, l'Ufficio chiedeva la conferma della sentenza di prime cure, poiché, aderendo al condono di cui all'art. 9 della legge n. 289/02, la società aveva usufruito di un regime agevolativo di chiusura.

La C.T.R. della Campania accoglieva l'appello ed annullava la cartella impugnata, osservando che, non essendo stata impugnata la statuizione con cui il giudice di primo grado aveva ritenuto non ostativa l'omessa presentazione della dichiarazione Iva annuale (in presenza di quelle periodiche e di regolare documentazione contabile), l'oggetto residuo del contendere verteva solo sull'efficacia preclusiva del condono tombale in ordine all'utilizzo del credito Iva, riguardo alla quale richiamava l'ordinanza n. 340 del 2005, con cui la Corte Costituzionale aveva "da un lato riconosciuto che l'art. 9, comma 9 della legge va inteso nel senso che l'adesione al condono non influisce sull'ammontare dei crediti richiesti a rimborso, non impone al contribuente la rinuncia al credito e non impedisce all'Erario di accogliere la richiesta di rimborso; dall'altro rilevato che il successivo comma 10, nel precludere l'accertamento dei debiti tributari dei contribuenti che si sono avvalsi del condono, non vieta l'accertamento della eventuale inesistenza dei crediti posti a base della richiesta di rimborso".

Concludeva quindi, tra l'altro, che "la definizione automatica di cui all'art. 9 comma 9 non implica la rinuncia alle pretese del contribuente verso l'Erario".

Per la cassazione della sentenza d'appello n. 12/5/10 del 26.1.2010 l'Agenzia delle entrate ha proposto ricorso affidato ad un unico motivo, cui la società contribuente ha resistito con controricorso.

 

Considerato in diritto

 

1. Con l'unico motivo di ricorso, l'Agenzia delle entrate lamenta la "violazione e falsa applicazione dell'art. 19 (recte 9), comma 9, della I. 27 dicembre 2002, n. 289, in relazione all'art. 28 del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633 (art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. ed art. 62, primo comma, d. Igs. 31 dicembre 1992, n. 546)".

1.1. Rileva al riguardo che la L. n. 289/02, art. 9, comma 9, nel fare salvi i crediti del contribuente, presuppone che si tratti di crediti esposti nelle dichiarazioni ritualmente presentate, e che il successivo comma 10 preclude l'accertamento, ma non anche la verifica dell'effettiva spettanza dei crediti esposti. Pertanto, esclude che la dichiarazione integrativa possa costituire titolo per il rimborso di crediti di imposta precedentemente non dichiarati, per essere stata omessa - come nel caso di specie - la relativa dichiarazione annuale.

1.2. Aggiunge anche l'irrilevanza della giurisprudenza della Corte di Giustizia U.E. sulla contrarietà alla normativa comunitaria delle disposizioni sul condono Iva, essendo pacifico che il contribuente ha comunque usufruito del beneficio del "condono tombale", il quale, "una volta fruito produce necessariamente tutti gli effetti ad esso connessi, ivi compreso quello di precludere le domande di rimborso avanzate dopo l'intervenuta definizione "tombale" del contesto".

2. La società controricorrente eccepisce preliminarmente l'inammissibilità del ricorso, per mancata indicazione specifica degli atti e documenti citati. Nel merito, deduce l'ininfluenza del condono in materia di Iva, per la sua contrarietà al sistema comunitario, e fa valere comunque il giudicato interno - rilevato dalla stessa C.T.R. - sulla questione della spettanza del credito Iva anche in assenza di dichiarazione annuale, purché in presenza di regolari liquidazioni periodiche.

3. Il ricorso non può trovare accoglimento.

4. Deve preliminarmente rammentarsi che in materia di tributi armonizzati, quale è l'IVA, il c.d. condono tombale di cui all'art. 9 della legge n. 289 del 2002 è stato ritenuto incompatibile con l’ordinamento comunitario, in quanto comporta una rinuncia generale ed indiscriminata all’accertamento delle operazioni imponibili in materia di IVA, tale da integrare un inadempimento agli obblighi che incombono sullo Stato italiano in forza dell'art. 2, n. 1, lett. a), c) e d), e degli artt. 193 - 273 della successiva direttiva del Consiglio 28 novembre 2006, 2006/112/CE, relativa al sistema d'imposta sul valore aggiunto (Corte giustizia, 11 dicembre 2008, C-174/07). Tale contrasto con l'ordinamento comunitario comporta l'obbligo del giudice e dell'amministrazione finanziaria italiani di non applicare le norme nazionali relative al suddetto condono, con conseguente "riespansione del potere accertativo dell'amministrazione finanziaria" (Corte cost. 247/2011; Cass. s.u. nn. 3673-3677 del 2010; Cass. nn. 24586-24587 del 2010, n. 2915 del 2013, n. 4858 del 2015).

5. Deve altresì premettersi che, secondo il costante insegnamento di questa Corte, anche recentemente ribadito (Cass. n. 13037 del 2015), "le sanatorie fiscali non modificano gli importi di rimborsi e crediti derivanti da dichiarazioni presentate, il che comporta che nessuna modifica di tali importi può essere determinata da tale definizione, che non sottrae all'amministrazione il potere di contestare il credito, atteso che il condono elide in tutto o in parte, per sua natura, il debito fiscale, ma non opera sui crediti che il contribuente possa vantare nei confronti del fisco, i quali restano soggetti all'eventuale contestazione da parte dell'ufficio" (Cass. n. 375 del 2009, n. 5586 e n. 18942 del 2010); di conseguenza, l'Amministrazione finanziaria può procedere all'accertamento diretto a dimostrare l’inesistenza del diritto al rimborso (Cass. nn. 20433 e 27314 del 2014), fermo restando che deduzione e detrazione, da un lato, e rimborso, dall'altro, costituiscono nient'altro che modalità alternative di esercizio del credito verso il fisco (Cass. n. 27292 del 2014).

5.1. E' stato infatti più volte chiarito che il condono mira a risolvere le controversie pendenti - o a prevenire eventuali vertenze future - a condizioni di particolare favore per il contribuente, in relazione ai tributi non ancora pagati, restando invece del tutto estranea alla ratio di detta disciplina la pretesa consolidazione di crediti d’imposta dichiarati dal contribuente, ma non sottoposti al vaglio dell’amministrazione finanziaria e che diventerebbero incontestabili, ancorché in tutto o in parte insussistenti, per il solo fatto che il contribuente abbia ritenuto di usufruire del più favorevole trattamento, attivando la procedura di sanatoria, pagando gli importi dovuti in base alle disposizioni della legge di sanatoria e così definendo il rapporto per il periodo d'imposta cui la domanda stessa si riferisce (Cass. n, 4858 del 2015, n. 2597 del 2014; conf. n. 6429 del 1996, n. 9646 del 1994; cfr. Corte cost. n. 340 del 2005 e n. 416 del 2000).

6. Tuttavia, una volta fatte queste doverose premesse - rispetto alle quali la sentenza gravata presenta, invero, passaggi motivazionali alquanto confusi ed apparentemente contraddittori - deve anche darsi atto che, dopo la pronuncia di primo grado, la controversia tra le parti si è concentrata esclusivamente sulla efficacia preclusiva (o meno) del condono tombale rispetto ai crediti di imposta vantati dal contribuente.

6.1. Al riguardo la C.T.R. rileva espressamente: "La Commissione di primo grado, pur riconoscendo al contribuente che ha omesso di presentare la dichiarazione annuale, ma che ha annotato regolarmente tutte le fatture con la

relativa detrazione nelle liquidazioni periodiche, il diritto al credito d'imposta, ne disconosce l'utilizzazione perché la società ha presentato istanza di condono tombale. Nelle controdeduzioni in appello l'Ufficio ... chiede la conferma della sentenza, in quanto la società ha usufruito di un regime agevolativo di chiusura avendo aderito al condono di cui all'art. 9 della legge n. 289/02. In questa fase, occorre esaminare, pertanto, soltanto se il credito IVA poteva essere usufruito, avendo la società chiesto di voler aderire al condono tombale ai sensi dell'art. 9 della legge n. 289/02".

6.2. La stessa amministrazione finanziaria dà atto (alle pagine 3 e 4 del ricorso) di aver chiesto la conferma della sentenza di primo grado, con cui la C.T.P. "ha affermato, in generale, che l'omessa presentazione della dichiarazione annuale non comporta la perdita del credito di imposta comunque spettante in base alle scritture contabili regolarmente tenute", ma "ha ritenuto tuttavia che nel caso di specie il rimborso era impedito dalla presentazione della domanda di condono".

6.3. Trattandosi dunque di circostanza pacifica, deve ritenersi effettivamente maturato il giudicato interno - in senso favorevole al contribuente - sull'ulteriore profilo, originariamente controverso, connesso alla mancata presentazione della dichiarazione Iva annuale; pur non mancandosi di rilevare che la questione della detraibilità dell'eccedenza di IVA debitamente registrata nelle liquidazioni periodiche, in ipotesi di omissione della dichiarazione annuale relativa al periodo di maturazione delle eccedenze, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19, 27, 28, 29, 30 e 55, è stata recentemente rimessa all'esame delle Sezioni Unite di questa Corte, con ordinanza n. 16053 del 2014.

7. Tutto ciò premesso e considerato, questo Collegio ritiene che, una volta formatosi il giudicato sulla originaria contestazione, in concreto, del credito Iva (precisando il giudice d'appello che "la società ricorrente ha presentato nel ricorso introduttivo copia della dichiarazione Modello Unico anno 2004 per il periodo d'imposta 2003 con copia del registro delle fatture di vendita e liquidazioni periodiche, per cui va riconosciuto il credito IVA, come già affermato anche dai giudici di primo grado"), lo stesso credito non può risultare pregiudicato, in astratto, dalla adesione del contribuente al c.d, condono tombale, peraltro da disapplicare, per incompatibilità con il sistema comunitario.

8. In tal senso, vanno valorizzati i passaggi motivazionali della sentenza gravata nei quali si afferma che "l'adesione al condono non impone al contribuente la rinuncia al credito e non impedisce all'Erario di accogliere la richiesta di rimborso", e che "la definizione automatica di cui all'art. 9 comma 9 non implica la rinuncia alle pretese del contribuente verso l'Erario", al netto invece dell'ulteriore (erroneo) rilievo per cui il condono tombale avrebbe l'effetto "di consolidare la posizione tributaria del contribuente, cioè di stabilizzare in via definitiva il rapporto giuridico d'imposta, sia esso debitorio o creditorio", che contrasta con i principi sopra richiamati.

8. In conclusione, il ricorso va respinto e, in applicazione del principio di soccombenza, il ricorrente va condannato alla rifusione delle spese processuali, liquidate in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 7.500,00 (di cui € 200,00 per esborsi), oltre accessori di legge.