Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 25 novembre 2015, n. 24064

Lavoro - Rifiuto del lavoratore di assumere gli incarichi propostigli - Dequalificazione professionale - Mobbing - Danno biologico, morale ed esistenziale - Risarcimento

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza resa pubblica il 3 febbraio 2011 la Corte d'Appello di Roma, confermava la pronuncia del Tribunale della stessa sede che aveva respinto la domanda proposta da M.A. nei confronti della R. - R.I. s.p.a., intesa a conseguire la condanna al risarcimento del danno biologico, morale ed esistenziale o alla vita di relazione derivante da atti "mobbing" e di dequalificazione professionale posti in essere dalla R. s.p.a. a partire dal luglio 2002.

Nel pervenire a tali conclusioni, la Corte d'appello di Roma, per quel che qui interessa, precisava che:

a) per il periodo successivo all'ottobre 2003, lo stesso ricorrente aveva riferito la circostanza che l'azienda aveva proposto un trasferimento implicante accettazione di altri incarichi (tra gli altri quello di assistente del Direttore della Divisione Radiofonia)" (v. punto 15 del ricorso di primo grado) dal medesimo rifiutati, circostanza confermata dal procuratore speciale dell'azienda in sede di libero interrogatorio;

b) la mancata concreta occupazione nel periodo successivo al mese di ottobre 2003 era dipesa dal rifiuto del ricorrente di assumere gli incarichi propostigli, di guisa che la situazione di inattività non poteva essere imputata all'azienda. Quanto alle proposte da ultimo formulate da parte aziendale, le allegazioni circa il contenuto deteriore delle mansioni offerte rispetto a quelle in precedenza a lui ascritte risultavano estremamente lacunose e generiche, essendosi limitato il ricorrente a dedurre che tali incarichi erano dequalificanti, senza operare alcun riferimento ad elementi di comparazione tali da definire il fattore pregiudizievole della professionalità acquisita dal ricorrente.

Il ricorso del M. domanda la cassazione della sentenza per quattro motivi; resiste, con controricorso, la R. - R.I. s.p.a. che propone, a sua volta, ricorso incidentale condizionato per tre motivi al quale replica con controricorso il ricorrente principale.

Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all'art. 360 n. 5 cod. proc. civ., la insufficiente, omessa motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio riguardanti la circostanza che in causa sarebbe risultato pacifico che nell'ottobre 2003 al ricorrente sarebbero stati assegnati degli incarichi che lo stesso avrebbe rifiutato di svolgere. In particolare il ricorrente lamenta che la Corte, pur avendo accertato che egli a decorrere dal mese di ottobre 2003 era rimasto privo di concreta occupazione, aveva ritenuto che tale situazione non potesse essere imputata alla datrice di lavoro, in quanto lo stesso M. aveva affermato di aver rifiutato degli incarichi e, segnatamente, quello di assistente alla Direzione Radiofonia per le politiche culturali.

La Corte d'Appello aveva riportato, a sostegno di tali affermazioni, le deduzioni svolte dal medesimo ricorrente nel ricorso introduttivo del giudizio ed in sede cautelare, nonché le dichiarazioni rese dal procuratore speciale della R. s.p.a. nel corso del libero interrogatorio.

Lamenta, tuttavia, il ricorrente, che la statuizione della Corte distrettuale non rinveniva riscontro né nel ricorso introduttivo, né in sede istruttoria.

1.2. Il motivo è privo di pregio.

Si richiama sul punto, il costante orientamento espresso da questa Corte, alla cui stregua (vedi ex aliis, Cass. 26.3.2010 n. 7394) è inammissibile il motivo di ricorso con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ., qualora esso intenda far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte, ed, in particolare, prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all'ambito di discrezionalità di valutazione egli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione citata. In senso contrario, infatti, tale motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito e perciò in una richiesta diretta ad ottenere una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione.

1.3 Nello specifico, la Corte territoriale, muovendo dal mancato assolvimento da parte ricorrente, degli oneri probatori posti a suo carico, ha proceduto alla analisi delle allegazioni recate dall'atto introduttivo e dei dati emersi alla stregua del libero interrogatorio del procuratore speciale R., giungendo alla conclusione, del tutto congrua rispetto ai dati rilevati, che la situazione di inattività in cui versava non era imputabile alla azienda, stante il rifiuto della assegnazione ad un incarico ritenuto dequalificante dal lavoratore.

Sotto il profilo motivazionale la sentenza impugnata, per quello che riguarda il richiamato accertamento, è formalmente coerente con equilibrio dei vari elementi che ne costituiscono la struttura argomentativa, e va pertanto confermata, essendo precluso a questa Corte qualsiasi sindacato di legittimità.

2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce, ai sensi dell' art. 360 n.5 cod. proc. civ., la illogicità della motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio riguardanti la asserita mancata allegazione, da parte del ricorrente, di specifiche circostanze idonee a dimostrare la natura totalmente dequalificante dell'incarico assegnatogli.

Si stigmatizza l'impugnata sentenza per aver ritenuto non allegato alcun elemento atto a definire l'incarico conferito di assistente del Direttore Radiofonia per le politiche culturali, come fattore di mortificazione del bagaglio professionale acquisito. La Corte di Appello non avrebbe considerato che nel caso di totale dequalificazione nessuna comparazione è concretamente possibile tra il contenuto professionale delle mansioni delle quali il lavoratore è stato privato e di quelle che non gli sono state assegnate.

2.1 Il motivo è privo di fondamento.

Va, infatti richiamato il principio affermato da questa Corte, (vedi Cass. 8.7.2014 n. n. 15527) secondo cui "in tema di demansionamento (o dequalificazione), il lavoratore è tenuto a prospettare le circostanze di fatto volte a dare fondamento alla denuncia ed ha quindi l'onere di allegare gli elementi di fatto significativi dell'illegittimo esercizio del potere datoriale e non anche quelli idonei a dimostrare in modo autosufficiente la fondatezza delle pretese azionate, mentre il datore di lavoro è tenuto a prendere posizione in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti posti dal lavoratore a fondamento della domanda, e può allegarne altri, indicativi del legittimo esercizio del potere direttivo, fermo restando che spetta al giudice valutare se le mansioni assegnate siano dequalificanti, potendo egli presumere nell'esercizio dei poteri, anche ufficiosi a lui attribuiti, la fondatezza del diritto fatto valere anche da fatti non specificamente contestati dall'interessato nonché da elementi altrimenti acquisiti o acquisibili al processo".

La statuizione della Corte distrettuale si è attenuta agli esposti principi laddove ha puntualizzato che la situazione di non occupazione in cui versava il ricorrente era dipesa dal suo rifiuto di assumere incarichi, rifiuto che non si risolveva in una condizione di esonero per il lavoratore - su cui ricadeva il relativo onere - dal dimostrare, e prima ancora, dall'allegare i contenuti del nuovo incarico conferitogli, al fine di specificare gli elementi idonei a fondare il prospettato giudizio di non equivalenza delle mansioni da ultimo conferitegli, rispetto a quelle in precedenza a lui ascritte.

La pronuncia, sorretta da un iter motivazionale congruo sul piano logico, e corretta sul versante giuridico, in quanto coerente con i dieta giurisprudenziali emessi sulla delibata questione ai quali si è fatto richiamo, resiste alle critiche formulate con detto motivo, che va pertanto respinto.

3. - Con il terzo mezzo di impugnazione, si denuncia violazione dell'art. 2103 cod. civ., ai sensi dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ.

Si deduce che, anche a voler ipotizzare che effettivamente il ricorrente, nell'ottobre 2003 si fosse ingiustificatamente rifiutato di svolgere le attività inerenti all'incarico affidatogli, ciò non avrebbe legittimato la R. a lasciarlo inattivo indefinitamente nel tempo, per ben sette anni (sino a quando il 21.8.2010 è cessato il rapporto e, comunque, sino al 28.2.2008, allorquando è stato assegnato a R. Notte).

In subordine, con il medesimo motivo, formulato ai sensi dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ., il M. ha dedotto il difetto di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, riguardante il venir meno dell' asserito rifiuto del ricorrente di svolgere le mansioni assegnategli. In particolare, il ricorrente ha lamentato la erroneità della sentenza nella parte in cui non ha considerato che il preteso iniziale rifiuto opposto alla assegnazione disposta dalla R. s.p.a. doveva ritenersi comunque superato dalle sue successive, reiterate richieste, avanzate anche in sede giudiziaria, pure cautelare, per ottenere l'assegnazione di mansioni, ivi comprese quelle di cui all'incarico che sarebbe stato rifiutato.

3.1 La censura presenta evidenti profili di inammissibilità. Va in proposito richiamato il principio affermato da questa Corte secondo cui, qualora con il ricorso per Cassazione siano prospettate questioni cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitare una situazione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l'avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dare modo alla Suprema Corte di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (vedi ex aliis Cass. 18.10.2013 n. 23675).

Nello specifico il ricorrente ha omesso di riportare tempi e modi di allegazione delle circostanze riportate, nel corso del giudizio di merito. Né è circostanza idonea a superare il vaglio di ammissibilità del motivo, la circostanza della formulazione di istanza in sede cautelare, volta a conseguire con effetto immediato, l'adibizione a mansioni per le quali era stato formalmente assunto, giacché la questione doveva essere riproposta anche nelle successive fasi di merito del giudizio.

4. Con il quarto motivo di ricorso, il M. ha denunciato, ai sensi dell'art. 360 n.4 cod. proc. civ., la nullità della sentenza per carenza assoluta di motivazione, in violazione degli artt. 111 Cost. sesto comma, 132 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ., con riferimento al rigetto della domanda anche per il periodo successivo alla sua nomina (28.10.2008) a responsabile della unità organizzativa "Palinsesto e Marketing" della direzione R. Notte.

Il ricorrente ha precisato di aver integrato la domanda in appello chiedendo il risarcimento dei danni sino alla data in cui non gli fossero state assegnate mansioni da svolgere, ma su tali domande la Corte territoriale non aveva svolto alcuna attività istruttoria, respingendole senza alcuna motivazione.

4.1 Il motivo è privo di fondamento.

In tema di domanda di risarcimento dei danni derivanti da attività di dequalificazione e "mobbing" del datore di lavoro, questa Corte ha affermato il principio, che va qui ribadito, alla cui stregua deve ritenersi domanda nuova - e come tale preclusa in appello - quella volta ad accertare comportamenti posti in essere dal datore di lavoro dopo il deposito del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, in quanto la sentenza si basa su uno specifico accadimento, produttivo di danni, determinato nel tempo e nello spazio. Ne consegue che in relazione ai fatti verificatisi dopo il deposito del ricorso in primo grado, non può essere ammessa alcuna attività istruttoria poiché il disposto dell'art. 420 quinto comma cod. proc. civ. si riferisce ai mezzi di prova relativi a fatti comunque anteriori al deposito del ricorso (vedi Cass. 22.10.2013 n. 23949).

In definitiva, sotto tutti i profili delineati, il ricorso non merita accoglimento e va pertanto respinto, con assorbimento delle censure proposte dalla società con il ricorso incidentale condizionato (attinenti alla omessa pronuncia in ordine alla eccezione di novità della domanda di accertamento della dequalificazione professionale con riferimento ai fatti relativi al periodo successivo al 27 ottobre 2003).

Il governo delle spese del presente giudizio segue il regime della soccombenza nella misura in dispositivo liquidata.

 

P.Q.M.

 

Riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale, assorbito l'incidentale.

Condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 100,00 per esborsi ed euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.