Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 25 novembre 2015, n. 24021

Tributi - Condono - Definizione dei carichi di ruolo pregressi ex art. 12 della L. n. 289/2002 - Tassa automobilistica

 

Svolgimento del processo

 

La società S. S.p.A., allora in liquidazione, propose ricorso dinanzi alla CTP di Bari avverso il provvedimento di diniego della domanda di condono proposta dalla società ai sensi dell’art. 12 della L. n. 289/2002, intervenuto sette anni dopo il pagamento delle somme richieste dalla citata norma.

Detto provvedimento era reso utilizzando modello prestampato sul quale erano indicate quattro ipotesi di non applicabilità del condono, senza alcun riferimento specifico a quale di queste il provvedimento di diniego avesse fatto riferimento.

Solo nel costituirsi nel giudizio di primo grado l’Agenzia delle Entrate chiariva che il condono non poteva essere concesso, riguardando il tributo tasse automobilistiche dovute per l’anno 1994. Dal 1993, infatti, le tasse automobilistiche erano divenute tributi regionali e la Regione Puglia non aveva emanato alcuna disciplina in adesione a quanto previsto dall’art. 13 della L. n. 289/2002.

La CTP accolse il ricorso, ritenendo l’atto impugnato viziato per carenza di motivazione ed emesso dopo il decorso del termine triennale di prescrizione di cui all’art. 5 commi 51 e 56 del D. L. n. 933/82 come poi convertito in legge.

Avverso detta sentenza l’Agenzia delle Entrate propose appello dinanzi alla CTR della Puglia, che, con sentenza n. 116/14/12, depositata il 5 novembre 2012, rigettò il gravame, ritenendo che la disposizione dell’art. 12 della L. n. 289/2002, che prevede che "relativamente ai carichi inclusi in ruoli emessi da uffici statali e affidati ai concessionari del servizio nazionale della riscossione fino al 31/12/2000, i debitori possono estinguere il debito senza gli interessi di mora ed il pagamento di una somma pari al 25% dell’importo iscritto a ruolo" non consentisse di considerare la tassa automobilistica come tributo regionale ai fini del condono. Né il pagamento di parte della cartella poteva costituire, secondo il giudice d’appello, riconoscimento dell’intero debito ed operare, quindi, come atto interruttivo della prescrizione.

Avverso detta pronuncia ricorre per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidando il ricorso a tre motivi.

Il ricorso, diretto nei confronti di S. S.p.A. nelle more cancellata, è stato notificato anche a V.A.I. S.p.A., nella qualità di socio unico della S. S.p.A. cancellata dal registro delle imprese.

Resiste con controricorso la V.C.I. S.p.A. (già V.A.I. S.p.A.) che ha dichiarato di costituirsi al solo fine di eccepire l’inammissibilità dell’avverso ricorso per essere stata omessa nel ricorso l’indicazione della parte medesima.

L’Agenzia delle Entrate ha notificato atto di rinuncia parziale al ricorso, limitatamente agli importi della cartella n. 0972000048621975, estinta per effetto del condono di cui all’art. 1, commi 618 e 624 della L. n. 147/2013.

La causa, già trattata all’udienza del 19 marzo 2015, torna all’esame della Corte a seguito di ordinanza, resa ai sensi dell’art. 384 3° comma c.p.c. in pari data, con la quale è stata sottoposta al contraddittorio tra le parti, con concessione di termine per note, la questione, rilevabile d’ufficio, circa l’eventuale formazione del giudicato interno della pronuncia di primo grado per omessa impugnazione dell’autonoma ratio decidendi afferente al ritenuto vizio di motivazione del provvedimento di diniego di condono impugnato dalla contribuente dinanzi alla CTP di Bari.

 

Motivi della decisione

 

1. Deve essere esaminata preliminarmente l’eccezione d’inammissibilità del ricorso formulata dalla V.C.I. S.p.A. (già V.A.I. S.p.A.) in relazione all’omessa indicazione di detta parte quale destinataria del ricorso, che, tuttavia, le è stato notificato in qualità di socio unico della S. S.p.A., pacificamente cancellata dal registro delle imprese. L’eccezione richiama l’orientamento più rigoroso espresso da questa Corte in talune pronunce (tra queste, più di recente, Cass. civ. sez. IlI 3 settembre 2007, n. 18152 e Cass. civ. sez. IlI 7 settembre 2010, n. 19156), secondo cui la previsione della sanzione dell’inammissibilità per la mancanza nel contenuto del ricorso per cassazione del requisito dell’indicazione delle parti di cui all’art. 366 n. 1 c.p.c. impone che il suo rispetto debba emergere necessariamente dal ricorso, senza che possa desumersi aliunde (come, nel caso, dalla richiesta di notifica e dalla conseguente relata dell’ufficiale giudiziario).

Tuttavia, anche a prescindere dall’esame del diverso indirizzo espresso da questa Corte in precedenti pronunce (cfr. Cass. civ. sez. V 3 gennaio 2005, n. 57; Cass. civ. sez. II 21 febbraio 2006, n. 3737), deve osservarsi che nella fattispecie in esame non potrebbe comunque mai sanzionarsi il ricorso come inammissibile perché correttamente instaurato con l’indicazione dell’altra litisconsorte (S. S.p.A.), la quale, ancorché cancellata nelle more dal registro delle imprese, è da ritenersi essere stata regolarmente evocata in giudizio - senza che rilevi nella fattispecie lo ius superveniens di cui all’art. 28 4° comma del D. Lgs. 21 novembre 2014, n. 175 (della quale è stata esclusa comunque da questa Corte l’applicabilità retroattiva: cfr. Cass. civ. sez. V 2 aprile 2015, n. 6743; Cass. civ. sez. VI - V ord. 24 luglio 2015, n. 15648) - alla stregua dei principi espressi da Cass. civ. sez. unite 4 luglio 2014, n. 15295, essendo stato notificato il ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 330 1° comma ultima parte c.p.c. presso il difensore costituito nel domicilio eletto per il giudizio.

Nella fattispecie in esame il vizio denunciato non può comportare l’inammissibilità del ricorso, essendo stato comunque il giudizio correttamente instaurato nei confronti dell’altra parte, ma può essere effettivamente ricondotto all’ambito della nullità, in parte qua, dell’atto, suscettibile di sanatoria in conseguenza della rituale costituzione della V.C.I. S.p.A.

2. Ancora, in via preliminare, deve darsi atto della rinuncia, solo parziale, al ricorso per cassazione da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Essa è ammissibile, avendo inteso l’Amministrazione finanziaria con la stessa disporre unicamente di parte dell’oggetto del contendere, quella riferita all’importo portato dalla cartella n. 0972000048621975, in quanto estinta per effetto del condono di cui all’art. 1, commi 618 e 624 della L. n. 147/2013. L’estinzione parziale del presente giudizio limitatamente al diniego di condono avente ad oggetto detta parte del tributo richiesto resta peraltro preclusa dalla previa valutazione d’inammissibilità del ricorso alla stregua delle ulteriori osservazioni che seguono alla successiva esposizione dei motivi di ricorso.

3. Con il primo motivo l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata per "violazione e falsa applicazione dell’art. 23 del D. Lgs. 504/92 e dell’art. 13 della L. 27.12.2002, n. 289, nonché dell’art. 12 delle disp. att. c.c." (recte disposizioni preliminari al codice civile) "in relazione all’art. 5 quinquies del D.L. 282/02, conv. in L. 27/03 (art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.)".

Osserva la ricorrente Amministrazione che erroneamente la CTR ha ritenuto che il tributo tasse automobilistiche fosse divenuto regionale solo a decorrere dal 1° gennaio 1999, essendo state a tale data demandate, ex art. 17 10° comma della L. n. 449/1997 alle regioni a statuto ordinario le attività di riscossione, accertamento, recupero, rimborsi, applicazione delle sanzioni e contenzioso amministrativo relativo alle tasse automobilistiche non erariali, laddove invece, già ai sensi dell’art. 23 del D. Lgs. n. 504/1992, l’intera tassa automobilistica era stata attribuita in titolarità alle regioni a statuto ordinario. Essendo il tributo in contestazione riferito al 1994, esso doveva quindi qualificarsi come regionale e sottratto alla previsione di cui all’art. 12 della L. n. 289/2002, avendo invece il legislatore, con il successivo art. 13 rimesso alle regioni, per quanto qui importa, di disciplinare con propri atti i relativi tributi e di predisporre eventuali misure di riduzione delle imposte e tasse a loro dovute, nonché l’esclusione o la riduzione dei relativi interessi e sanzioni, per le ipotesi in cui nel termine da loro fissato, non inferiore comunque 60 giorni dalla pubblicazione dell’atto, i contribuenti adempiano agli obblighi tributari in tutto o in parte non adempiuti.

Non avendo la Regione Puglia ritenuto di disporre alcuna forma di condono, il diniego di condono espresso doveva dunque ritenersi legittimo.

4. Con il secondo motivo, in subordine, la ricorrente Agenzia delle Entrate denuncia "violazione e falsa applicazione dell’art. 12 della L. 27.12.2002 n. 289 e dell’art. 5 quinquies del D.L. 282/02, conv. in L. 27/03, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c."

Per l’ipotesi che la tassa automobilistica in discussione non fosse stata qualificata come tributo regionale di spettanza della Regione Puglia, regione a statuto ordinario, l’Agenzia delle Entrate deduce che ugualmente il condono sarebbe stato precluso in relazione all’art. 12 della L. n. 289/2002, essendo stata prevista dall’art. 5 quinquies del D.L. 282/02, conv. in L. 27/03, una forma speciale di condono per la tassa automobilistica erariale per le violazioni commesse entro il 31 dicembre 2001, che richiedeva comunque il versamento dell’intera imposta entro il termine del 16 aprile 2003, poi prorogato al 31 ottobre 2003, in tal caso non essendo dovuti interessi e sanzioni.

5. Infine, con il terzo motivo, l’Amministrazione ricorrente deduce "violazione e falsa applicazione dell’art. 5 comma 51 del D.L. 953/82 conv. in L. 53/1983 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.", rilevando come, contrariamente a quanto dedotto dal giudice d’appello - che aveva respinto l’appello dell'Ufficio con l’ulteriore motivazione dell’illegittimità del provvedimento di diniego per tardività, perché emesso oltre il termine triennale di prescrizione - detto termine, che si riferisce all’accertamento ed alla riscossione del tributo, è inapplicabile nella fattispecie in esame, essendo stata già pacificamente emessa la relativa cartella e non essendo previsto dall’art. 12 della L. n. 289/2002 alcun termine di decadenza per l’emissione del provvedimento di diniego.

6. Ritiene la Corte che l’esame dei motivi di ricorso sia precluso dal giudicato interno che si è formato sull’illegittimità del diniego di condono per difetto di motivazione dell’atto stesso.

Risulta, infatti, dallo stesso ricorso dell’Agenzia delle Entrate che la CTP, tra le altre motivazioni addotte a sostegno del ricorso proposto avverso il provvedimento di diniego del condono, aveva anche ritenuto l’evidente difetto di motivazione dell’atto, correlato alla doglianza che il diniego era stato espresso su modulo prestampato che faceva riferimento a quattro diverse ipotesi senza che ne fosse specificata alcuna, solo con la costituzione in giudizio, nelle proprie controdeduzioni, avendo poi chiarito l’Agenzia delle Entrate che il motivo del diniego doveva riferirsi alla natura di tributo regionale della tassa in questione.

Dall’atto di appello così come riportato a pag. 3 e 4 del ricorso non risulta che tale ratio decidendi sia stata oggetto di espressa censura da parte dell'Ufficio e nulla si dice nella sentenza della CTR impugnata riguardo a tale profilo. L’Amministrazione, con la memoria depositata in atti a seguito del rilievo d’ufficio della questione sollevata con l’ordinanza sopra richiamata, ha dedotto di avere specificamente contestato nell’atto di appello (pag. 5) la statuizione della CTP laddove ha affermato che "l’atto impugnato appare .. viziato da un evidente difetto di motivazione e in violazione degli obblighi imposti dall’art. 5 commi 1 e 2 legge 21 febbraio 2000".

Da ciò, pur non potendo negare l’erroneità del menzionato riferimento normativo, ha inteso quindi circoscrivere la portata della pronuncia in oggetto alla violazione degli obblighi informativi nei confronti del contribuente secondo l’art. 5 della L. n. 212/2000, che è stata oggetto di specifica censura. Tale assunto non può essere condiviso.

Alla pur non felice formulazione della statuizione resa in proposito dal giudice di primo grado non può essere attribuito altro effetto che quello reso palese dalle parole adoperate, di là dall’improprio inesistente riferimento normativo.

D’altronde la statuizione secondo la quale l’atto impugnato "appare viziato da evidente difetto di motivazione" non può che porsi in correlazione specifica con il motivo d’impugnazione della contribuente, che aveva, appunto, tra l’altro, denunciato il vizio di motivazione dell’atto (in violazione quindi dell’art. 7 della L. n. 212/2000) perché il diniego di condono era stato espresso su modulo prestampato facente riferimento a quattro diverse ipotesi senza che ne fosse specificata alcuna, salvo poi, solo con il deposito delle controdeduzioni da parte dell’Amministrazione nel giudizio di primo grado, chiarire che la ragione del diniego doveva ritenersi espressa in relazione alla natura di tributo regionale della tassa in questione.

Consegue, quindi, che tale autonoma ratio decidendi, di per sé idonea a sorreggere la pronuncia di annullamento del diniego di condono, non è stata impugnata con il ricorso in appello da parte dell’Amministrazione, essendo comunque con essa inconferente il motivo di gravame con il quale l’Agenzia delle Entrate ha contestato la pretesa affermata violazione degli obblighi informativi nei confronti del contribuente.

Ciò, determinando il passaggio in giudicato della relativa statuizione, comporta l’inammissibilità del ricorso per cassazione avverso la decisione della CTR confermativa della decisione di primo grado (cfr. Cass. civ. sez. unite 29 marzo 2013, n. 7931; Cass. civ. sez. V 17 aprile 2015, n. 7838).

7. Possono tuttavia essere compensate le spese del presente giudizio di legittimità avuto riguardo al rilievo officioso della relativa questione.

8. Avuto riguardo all’epoca di notifica del ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità, successiva all’entrata in vigore dell’art. 13 comma 1 - quater del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1 comma 17 della l. 24 dicembre 2012, n. 228, si porrebbe, avuto riguardo all’esito del giudizio, in astratto, il problema della verifica della sussistenza delle condizioni di legge per il raddoppio del contributo unificato.

Nella fattispecie in esame, nella quale la ricorrente è l’Agenzia delle Entrate, dunque un’amministrazione che, come tutte le amministrazioni dello Stato, è esonerata dal pagamento del contributo unificato, vigendo per essa il meccanismo della prenotazione a debito, ai sensi dell’art. 3 lett. s) del citato D.P.R. n. 115/2002, che consiste "nell’annotazione a futura memoria di una voce di spesa, per la quale non vi è pagamento, ai fini dell’eventuale successivo recupero", stante la non debenza dell’Amministrazione pubblica ricorrente del versamento del contributo unificato, non deve neppure darsi quindi atto della sussistenza dei presupposti per il suo raddoppio di cui al primo periodo del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, art. 13 comma 1 - quater introdotto dall’art. 1 comma 17 della L. n. 228/2012, in conformità all’indirizzo espresso da Cass. civ. sez. unite 8 maggio 2014, n. 9938 (in senso conforme si vedano anche Cass. civ. sez. IlI 14 marzo 2014, n. 5955; Cass. civ. sez. VI - L 5 novembre 2014, n. 23154), pur in presenza di declaratoria d’inammissibilità del ricorso proposto dall’Amministrazione ricorrente.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.