Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 20 novembre 2015, n. 23781

Tributi - IVA - Regime del margine - Commercio autoveicoli usati

 

Fatto

 

La società ha ricevuto notificazione di un avviso di accertamento col quale l’Agenzia delle entrate ha recuperato iva, per l’anno d’imposta 2002, in ragione dell’indebita applicazione del regime del margine. Ciò in quanto, sosteneva l’ufficio, il commerciante di autoveicoli che invochi l’applicazione del regime del margine ha l’onere di verificare che i beni oggetto dell’attività commerciale abbiano tutti i requisiti necessari per la fruizione del regime in esame.

La Commissione tributaria provinciale ha accolto il ricorso avverso l’avviso e quella regionale ha respinto l’appello dell’ufficio, sostenendo che la contribuente avesse svolto tutti gli accertamenti esigibili, controllando le caratteristiche delle vetture, il loro stato di auto usate, il tempo dell’immatricolazione e la circostanza che fossero commercializzate dal cedente con l’applicazione del regime del margine.

Avverso questa sentenza propone ricorso l'Agenzia per ottenerne la cassazione, che affida a tre motivi, cui la contribuente non replica.

 

Diritto

 

1. - Col primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., l’Agenzia si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto, lamenta, il giudice d’appello si è limitato a condividere la decisione di primo grado, senza esplicitare le ragioni di tale condivisione.

Il motivo è infondato e va in conseguenza respinto.

L’art. 118 disp. att. c.p.c., anche nel testo novellato dalla l. 18 giugno 2009 n. 69, il quale consente di rendere i motivi della decisione attraverso una succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento ai precedenti conformi, può essere redatta per relationem rispetto ad altra sentenza non ancora passata in giudicato, purché resti autosufficiente, riproducendo i contenuti mutuati e rendendoli oggetto di autonoma valutazione critica nel contesto della diversa, anche se connessa, causa, in modo da consentire la verifica della sua compatibilità logico giuridica. La sentenza è, invece, nulla, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 4, c.p.c., qualora si limiti alla mera indicazione della fonte di riferimento e non sia, pertanto, possibile individuare le ragioni poste a fondamento del dispositivo (Cass., ord. 8 gennaio 2015, n. 107).

In definitiva, è legittima la motivazione per relationem della sentenza pronunciata in sede di gravame, purché il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, in modo che il percorso argomentativo desumibile attraverso la parte motiva delle due sentenze risulti appagante e corretto (tra varie, sentenze nn. 13937/02, 979/09, 3367/11 e, tra le ultime, Cass. 11 maggio 2012, n. 7347).

Nella specie, la sentenza gravata individua il thema decidendum introdotto in appello nella valutazione dei parametri di diligenza dell’operatore commerciale e li identifica con quelli valorizzati dal giudice di primo grado, anche alla luce, peraltro, di altra Commissione tributaria regionale.

2. - La censura frammentata nei restanti due motivi, che per questa ragione vanno congiuntamente esaminati, con i quali, rispettivamente, l’Agenzia lamenta, ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. l’omessa motivazione in ordine al fatto decisivo dell’individuazione degli elementi di fatto cui rapportare la valutazione di diligenza del medio imprenditore (secondo motivo), nonché, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’articolo 36 del decreto legge n. 41 del 1995, convertito dalla l. n. 85 del 1995 e modificato dal d.l. n. 415 del 1995 e dell’art. 2969 c.c., là dove il giudice d’appello ha ritenuto sufficienti a provare l’applicabilità del regime invocato gli elementi desumibili dalle fatture e dallo stato dei veicoli (terzo motivo), è fondata.

2.1. - L’articolo 26bis della sesta direttiva iva, introdotto dall’articolo 1, numero 3, della direttiva numero 94/5, stabilisce un regime particolare dell’iva applicabile ai beni d’occasione ed agli oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione, stabilendo che le cessioni di questi beni, compiute da un soggetto passivo - rivenditore, sono assoggettate ad imposta limitatamente all’utile realizzato, ossia alla differenza tra il prezzo di vendita chiesto dal soggetto passivo rivenditore per il bene ceduto ed il prezzo d’acquisto.

Questo regime, come chiaramente emerge dal terzo e dal quinto considerando della direttiva numero 94/5, mira ad evitare le doppie imposizioni e le distorsioni di concorrenza fra i soggetti passivi; e ciò in quanto tassare, per l’interezza del suo prezzo, la cessione di un bene d’occasione compiuta da un soggetto passivo rivenditore, allorché il prezzo al quale questi ha acquistato il bene incorpori un importo di Iva assolto a monte da un soggetto passivo, che né il cedente né il rivenditore sono stati in grado di detrarre, comporterebbe, appunto, una doppia imposizione (vedi Corte giustizia 3 marzo 2011, C-203/10, Auto Nikolovi, punto 48; Corte di giustizia 8 dicembre 2005, C-280/04, Jyske Finans, punto 38).

Esso è senz’altro un regime particolare, giacché deroga al principio generale secondo il quale l’iva è riscossa per ogni cessione di beni compiuta a titolo oneroso da un soggetto passivo (Corte giustizia 19 luglio 2012, C-160/11, Bawaria Motors, concernente l’omologa norma della direttiva 2006/112/CE, punti 28 e 34; Corte giustizia sentenza Auto Nikolovi, punto 46; Corte di giustizia sentenza Jyske Finans, punto 35).

Il che comporta che quando il soggetto passivo-rivenditore rivende, ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, beni d’occasione da lui acquistati in regime normale d’iva, il diritto spettantegli di detrarre l’iva dovuta o assolta per i beni in questione esclude qualsivoglia rischio di doppia imposizione, conseguentemente escludendo l’applicabilità del regime di deroga del margine (Corte di giustizia, sentenza Auto Nikolovi, punto 49).

La specialità del regime, la sua facoltatività e la sua alternatività rispetto a quello ordinario emergono con chiarezza, nell’ordinamento interno, dall’art. 36 del d.l. 23 febbraio 1995, numero 41, convertito con modificazioni dalla l. 22 marzo 1995, numero 85, che ha dato attuazione alla direttiva dinanzi richiamata e che, in particolare, al comma 3, consente al cessionario di beni d’occasione di «applicare - per ciascuna cessione - l'imposta nei modi ordinari a norma dei titoli I e II del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, dandone comunicazione

al competente ufficio dell’imposta sul valore aggiunto nella relativa dichiarazione annuale».

3. - È allora pienamente coerente l’orientamento della Corte che, facendo leva sulla specialità del regime rispetto all'ordinario regime impositivo IVA riguardante gli acquisti intracomunitari, fa ricadere sul contribuente l’onere di provare, a fronte di una contestazione dell'amministrazione, la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano la deroga invocata (Cass. 18 dicembre 2014, n. 26852; 5 dicembre 2014, n. 25755; 19 novembre 2014, n. 24604; 20 marzo 2013, n. 6916; ord. 13 marzo 2013, n. 6399; 22 febbraio 2013, n. 4525; 12 settembre 2012, n. 15219; 1 giugno 2012, n. 8828; 30 maggio 2012, n. 8636; 31 gennaio 2011, n. 2227; 12 febbraio 2010, n. 3427).

Il rischio fiscale dell’operazione intracomunitaria, realizzata con applicazione del regime del margine, ma in difetto dei presupposti richiesti, ricade sul cessionario che, nei limiti imposti dall'onere di diligenza richiesto in base alle concrete circostanze, non abbia verificato preventivamente la regolarità sostanziale della operazione, e non soltanto la regolarità formale della fattura, anche con riferimento alla condizione soggettiva del cedente; e tanto più è elevato il grado di impegno esigibile nella predetta verifica, quanto più specifica è la qualità professionale del cessionario, qualora si tratti di operatore commerciale del settore, in base alla regola generale stabilita dal 2° comma dell’articolo 1176 del codice civile.

L'onere di verifica gravante sul cessionario-contribuente alla stregua dei documenti negoziali in suo possesso appare senz’altro coerente col principio di vicinanza al fatto oggetto di prova, poiché l'operatore commerciale viene a trovarsi, proprio in considerazione del rapporto che instaura con il soggetto emittente la fattura, in posizione privilegiata per effettuare ex ante un controllo delle condizioni di legge rispetto a quello operato soltanto ex post dall’amministrazione finanziaria.

Ma l’onere di verifica è altresì coerente con le regole generali fissate dalla Corte di giustizia in tema di rilevanza della buona fede ai fini dell’esercizio del diritto di detrazione dell’iva.

Buona fede, che secondo la Corte di giustizia, è configurabile qualora il committente/cessionario, pur avendo adottato tutte le ragionevoli precauzioni, non abbia avuto e non potesse avere la consapevolezza di partecipare, col proprio acquisto, ad un illecito fiscale dell’emittente delle fatture contestate (vedi, in particolare, Corte giust. 31 gennaio 2013, C-643/11, LVK 56-EOOD, punto 52, che, nell’escludere che il principio di certezza del diritto osti al «diniego di detrarre l’iva a monte nei confronti del destinatario di una fattura», fa leva sulla mancanza di qualsivoglia indizio «che faccia presumere che l’interessato non fosse in grado di orientarsi in modo utile per quanto concerne l’applicazione di tali normative»).

4 - Nel caso in esame, le circostanze valorizzate in sentenza e sunteggiate in narrativa sono del tutto inconsistenti a fondare i presupposti di applicazione del regime invocato, non bastando i dati emergenti dalle fatture a dimostrare la sua applicazione da parte del cedente ed essendo a tal fine del tutto irrilevante la condizione delle autovetture.

5. - Il ricorso va in conseguenza accolto. Ne deriva la cassazione della sentenza, con rinvio alla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo in diversa composizione, affinché riesamini la vicenda.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo ed il terzo motivo, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo in diversa composizione.