Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 25 novembre 2015, n. 24026

Tributi - ICI - Accertamento - Stazione RBS per telefoni cellulare GSM - Classificazione nella categoria catastale D

 

Svolgimento del processo

 

La controversia concerne l’impugnazione da parte della società contribuente di più avvisi di accertamento ad essa notificati dal Comune di Biccari ai fini ICI per gli anni dal 1999 al 2001 con riferimento ad una "stazione radio base" per l’espletamento del servizio radiomobile di comunicazione. Secondo la descrizione della parte ricorrente l’impianto in questione sarebbe costituito da un "palo" di 24 mt. di altezza fissato con bulloni ad un basamento di cemento realizzato su un terreno rurale e da un prefabbricato metallico (detto shelter) con base di mt. 3.50 x 2,50 (1 x p), destinato al ricovero degli apparati elettronici di trasmissione, parimenti fissato su un basamento di cemento. Il bene non era stato oggetto di denuncia per l’accatastamento da parte della società per la ritenuta assenza delle caratteristiche minime che lo potessero giustificare.

Nell’impugnare gli avvisi di accertamento ai fini ICI, che le erano stati notificati, la società deduceva la decadenza del Comune dal potere impositivo, l’insussistenza del presupposto d’imposizione relativamente allo specifico bene di cui trattasi, l’illegittimità di determinazione della base imponibile.

La Commissione adita, rigettata l’eccezione di decadenza, accoglieva nel merito i ricorsi della società ritenendo insussistente il presupposto oggettivo per l’applicazione dell’imposta e in ogni caso iscrivibile il bene in questione nella categoria catastale E/3, come tale esente da ICI ai sensi dell’art. 7, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 504 del 1992. L’appello del Comune era, invece, interamente accolto con la sentenza in epigrafe, che giudicava legittima l’imposizione.

Avverso tale sentenza la società contribuente propone ricorso per cassazione con 22 motivi, illustrati anche con memoria. L’ente locale resiste con controricorso.

 

Motivazione

 

Con il primo motivo di ricorso, la società deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 100 cod. proc. civ. in relazione alla dedotta inammissibilità dell’appello dell’ente locale per difetto di interesse non avendo l’appellante impugnata una ratio decidendi sufficiente a sorreggere la sentenza impugnata.

La censura è inammissibile e infondata. La sentenza impugnata si occupa specificamente della dedotta eccezione di inammissibilità e la rigetta: ad avviso di parte ricorrente lo fa in modo apodittico, ma fatto è che la censura articolata non concerne un supposto vizio di motivazione (ma una ritenuta violazione di legge) e le argomentazioni sviluppate riproducono sostanzialmente una critica al pregresso atto d’appello piuttosto che alla sentenza che qui dovrebbe essere precipuo oggetto di impugnazione.

Con il secondo motivo di ricorso, la società denuncia la nullità degli avvisi di accertamento relativi agli anni 1999 e 2000 per intervenuta decadenza ex art. 11, comma 2, d.lgs. n. 504 del 1992, in riferimento ad un supposto omesso esame di punto controverso.

La censura è inammissibile. La sentenza impugnata risponde all’eccezione di decadenza (per tardività) sollevata dalla società, affermando che, alla luce della disciplina applicabile nell’interpretazione datane dalla Corte costituzionale, la notificazione degli atti impositivi era stata eseguita nei termini, avuto riguardo, come si doveva, al tempo della spedizione. Si tratta di una pronuncia di rigetto dell’eccezione di tardività che, come tale, assorbe ogni altro profilo con il quale detta eccezione fosse stata "vestita": sicché di omesso esame non può parlarsi. Peraltro, prescindendo dalla insufficiente adeguatezza della censura sviluppata nel ricorso più attenta alla critica dell’atto impositivo che alla decisione impugnata, è da escludere che potesse ritenersi decaduta l’amministrazione per il solo fatto che la notifica fosse stata eventualmente eseguita alla società incorporata e non alla società incorporante, dato che «l’art. 2504 bis cod. civ. nel testo modificato dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, nel prevedere la prosecuzione dei rapporti giuridici, anche processuali, in capo al soggetto unificato, quale centro unitario di imputazione di tutti i rapporti preesistenti, risolve la fusione (per incorporazione di una società) in una vicenda non estintiva ma evolutivo-modificativa che comporta un mutamento formale di un’organizzazione societaria già esistente ma non la creazione di un nuovo ente che si distingua dal vecchio».

Con il terzo motivo di ricorso, la società formula censura analoga a quella già dapprima esaminata per l’ipotesi che fosse ritenuta inapplicabile nella specie la nuova formulazione dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.

Si tratta di censura inammissibile. Prescindendo da quanto già prima affermato, nella specie è applicabile la nuova formulazione dell’art. 360, n. 5., cod. proc. civ., giusta quanto stabilito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 8053 del 2014, secondo la quale «la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione».

Con il quarto motivo, la società insiste nella circostanza, non convalidata in alcun modo dalla sentenza impugnata, che ci trovasse in una ipotesi di nullità della notificazione sanata dall’intervenuta impugnazione, sanatoria che non varrebbe ad escludere, secondo i principi, la decadenza medio tempore intervenuta.

Si tratta di censura inammissibile e infondata. La sentenza impugnata afferma con chiarezza che la eccepita decadenza è esclusa dall’avvenuta notifica nei termini della notifica dell’atto impositivo e non già di una notifica nulla sanata per avvenuta impugnazione. La critica è, quindi, estranea alla esplicitata ratio decidendi.

Con i motivi dal quinto al decimo, è posto in discussione, sotto vari aspetti - talvolta inammissibilmente trattandosi di censure fondate sull’errato presupposto che non si applichi nella specie la novella relativa all’art. 360, c. 5, cod. proc. civ. -, quanto affermato dalla sentenza impugnata circa l’esistenza del presupposto impositivo e la pretesa classificazione in E/9 delle antenne di telefonia mobile in questione.

Sul punto la sentenza impugnata stabilisce in modo limpido (non adeguatamente censurato) che «i ripetitori di telefonia mobile devono essere classificati nella categoria "D", in quanto trattasi di struttura stabilmente infissa al suolo, recintata, all’interno della quale è stato installato, su platea di calcestruzzo, un traliccio cui sono state fissate le antenne. Tale tipo di struttura, deve essere accatastata così come previsto dall’art. 4 del r.d.l. n. 652/39. Tant’è che l’immobile oggetto del gravame in data 10 dicembre 2008 veniva accatastata dall’Agenzia del territorio di Foggia in categoria "D7", con una rendita catastale di Euro 818,900, notificata in data 25/02/2009. La classificazione catastale nella categoria "D" è, inoltre, prevista dalla circolare dell’Agenzia del Territorio n. 4/2006, riferita alle centrali eoliche, che può essere applicata per analogia anche alle stazioni della telefonia mobile, così come previsto dall’art. 2 D.M. 2 gennaio 1998, n. 28». Quest’ultima osservazione non è del tutto esatta in quanto la circolare n. 4/2006 non si limita a considerare le centrali eoliche, ma fa uno specifico riferimento anche ai "ripetitori e impianti similari». La circolare osserva: «Rilevante importanza hanno assunto nel tempo anche le costruzioni tese ad ospitare impianti industriali mirati alla trasmissione o all’amplificazione dei segnali destinati alla trasmissione (via cavo o etere) ... la categoria da attribuire agli immobili che le ospitano è da individuare nel gruppo D. ... Tra le diverse tipologie dei manufatti in esame ha registrato negli ultimi anni una significativa diffusione sul territorio quella destinata ad ospitare gli impianti per la diffusione della telefonia mobile ...». Peraltro, ad ulteriore conferma, può osservarsi che questa tipologia di manufatti non compare nella descrizione che la circolare n. 4/2007 detta per la identificazione delle costruzioni classificabili in categoria E.

Salvo la surriferita marginale inesattezza circa la limitazione del riferimento operato dalla circolare n. 4/2006 alle sole centrali eoliche, la sentenza qui in esame centra il problema: la richiamata classificazione catastale è espressamente prevista come quella spettante per i "ripetitori" del tipo di quello oggetto del giudizio e la classificazione in concreto attribuita all’immobile in discussione non è stata impugnata. Né risulta che lo sia stata nei confronti del solo soggetto legittimato sotto il profilo passivo, ossia l’Agenzia del territorio, né che quest’ultima sia stata evocata nel presente giudizio. Sicché l’imposizione ai fini ICI adottata dal Comune si palesa del tutto legittima.

Con i motivi da 11 a 13 si censura, relativamente a questioni esplicitamente dichiarate assorbite, l’omessa pronuncia da parte della sentenza impugnata sul supposto difetto negli atti impositivi del criterio di determinazione della base imponibile. La censura è ripetuta, inammissibilmente, sotto il profilo del vizio di motivazione per l’ipotesi già rigettata che nella specie non si applichi la nuova formulazione dell’art. 360 n. 5, cod. proc. civ.

Si tratta nel complesso di critiche inammissibili in quanto nel caso di specie si tratta non di omessa pronuncia, ma di rigetto implicito di tutte le altre questioni dipendenti dall’affermata classificazione operata da parte dell’Agenzia del territorio e dall’attribuzione della relativa rendita.

Lo stesso deve dirsi riguardo ai restanti motivi di impugnazione, i quali presentano altresì profili di infondatezza, sia per quanto riguarda le sanzioni correlate all’omessa denuncia, che è risultata accertata in fatto, sia per la quanto riguarda l’inapplicabilità delle sanzioni per obiettiva incertezza interpretativa della norma, in quanto non ne ricorrono in alcun modo i presupposti individuati dalla costante giurisprudenza di questa Corte, sia per quanto riguarda la c.d. continuazione, in quanto dalle stesse affermazioni della società emerge che la questione era stata dedotta in seconde cure nonostante il principio del cumulo giuridico precedesse il tempo della proposizione del ricorso originario (v. Cass. n. 26457 del 2015).

Pertanto il ricorso deve essere respinto. Il particolare oggetto della controversia giustifica la compensazione delle spese della presente fase del giudizio.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Compensa le spese. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.