Giurisprudenza - TRIBUNALE DI FOGGIA - Ordinanza 13 marzo 2008

Contratto di agenzia - Cessazione del rapporto - Indennità - Condizioni - Sufficienza di almeno una delle due condizioni (Meritevolezza ed Equità) cumulativamente richieste dalla direttiva n. 86/653/CEE - Art. 1751, primo comma, c.c. nel testo sostituito dall'art. 4 del decreto legislativo 10 settembre 1991, n. 303 (Attuazione della direttiva 86/653/CEE relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti, a norma dell'art. 15 della legge 29 dicembre 1990, n. 428. Legge comunitaria 1990)

 

Rileva: con atto di citazione notificato in data 12 dicembre 1996, la s.n. c. Di S. N. & C., con sede in Vieste, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, ha convenuto in giudizio, davanti a questo Tribunale, la Del G. s.r.l., con sede in Termoli, chiedendone la condanna al pagamento dell'indennità prevista dall'art. 1751 del codice civile in caso di cessazione del rapporto di agenzia.

All'uopo ha esposto: di aver svolto l'attività di agente di commercio per conto della società convenuta, nella zona di Foggia, nel periodo compreso tra l'ottobre del 1992 e il dicembre del 1995, in virtù di due successivi contratti stipulati, rispettivamente, il 20 ottobre 1992 e il 1° settembre 1994; che il rapporto contrattuale dedotto in giudizio è cessato a seguito del recesso operato dalla società preponente con lettera raccomandata del 14 settembre 1995; che ricorre nella fattispecie almeno una delle condizioni alternativamente richieste dall'art. 1751 del codice civile, nel testo sostituito dall'art. 4 del decreto legislativo 10 settembre 1991, n. 303, per il riconoscimento della detta indennità.

Radicatosi il contraddittorio, si è costituita in giudizio la convenuta Del G. s.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, la quale ha contestato il fondamento della domanda attorea, chiedendone il rigetto. Espletata l'attività istruttoria richiesta da ambo le parti, concretatasi nell'acquisizione di documenti, nell'espletamento dell'interrogatorio formale deferito al legale rappresentante della società convenuta e nell'escussione di numerosi testi, la causa è stata trattenuta in decisione.

Tanto premesso in punto di fatto, ritiene il Tribunale che sia necessario sollevare d'ufficio, ai sensi dell'art. 23, terzo comma, della Legge 11 marzo 1953, n. 87, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1751, primo comma, del codice civile -nel testo, applicabile ratione temporis alla presente controversia, sostituito dall'art. 4 del decreto legislativo 10 settembre 1991, n. 303, vigente anteriormente alle modifiche apportate dall'art. 5 del decreto legislativo 15 febbraio 1999, n. 65, in riferimento all'art. 76 della Costituzione.

Va, al riguardo, osservato:

che la norma sospettata di illegittimità costituzionale è applicabile a decorrere dal 10 gennaio 1993, giusta quanto disposto dall'art. 6, secondo comma, del menzionato decreto legislativo n. 303/1991, per cui di essa va tenuto conto ai fini della risoluzione della presente controversia, concernente un rapporto di agenzia svoltosi tra l'ottobre del 1992 e il dicembre del 1995;

che detta norma è stata adottata dal Governo italiano, in virtù della delega conferitagli dal Parlamento con la Legge 29 dicembre 1990, n. 428 (recante "Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee");

che l'art. 1, primo comma, della legge di delega prevedeva che "il Governo è delegato ad emanare, entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, i decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle direttive della Comunità economica europea comprese nell'elenco di cui all'allegato A della presente legge";

che nel menzionato elenco era compresa anche la direttiva del Consiglio delle Comunità Europee del 18 dicembre 1986 n. 86/653/, relativa al coordinamento dei diritti degli Stati. membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti;

che l'art. 2, lettera f) della legge di delega disponeva che "i decreti legislativi assicureranno in ogni caso che, nelle materie trattate dalle direttive da attuare, la disciplina disposta sia penamente conforme alle prescrizioni delle direttive medesime, tenuto anche conto delle eventuali modificazioni intervenute entro il termine della delega";

che l'art. 15 della legge di delega, rubricato "Agenti commerciali indipendenti: criteri di delega", disponeva, in particolare, che "l'attuazione della direttiva del Consiglio 86/653/CEE differirà al 1° gennaio 1993 l'entrata in vigore della disciplina che sarà dettata in applicazione degli articoli 17 e 18 della direttiva e al 1° gennaio 1994 l'Applicazione dell'intera normativa ai rapporti già in corso alla data del l° gennaio".

Ciò posto, va tenuto presente che, ai sensi dell'art. 17, paragrafo 2, lettera a) della menzionata direttiva n. 86/653/CEE, richiamato dagli articoli 2, lettera f) e 15 della legga di delega, "l'agente commerciale ha diritto ad un'indennità se e nella misura in cui:

abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente abbia ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti;

il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l'agente commerciale perde e che risultano dagli affari con tali clienti. Gli Stati Membri possono prevedere che tali circostanze comprendano anche l'applicazione o no di un patto di non concorrenza ai sensi dell'art. 20".

Senonché, il legislatore delegato non ha correttamente recepito nell'ordinamento interno la richiamata direttiva, in quanto, nel sostituire il testo del primo coma dell'art. 1751 del codice civile, ha disposto che "all'atto della cessazione del rapporto il preponente è tenuto a corrispondere all'agente un'indennità se ricorra almeno una delle seguenti condizioni:

l'agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti;

il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l'agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti".

Così facendo, egli ha violato i criteri direttivi fissati dalla legge di delega, la quale, come si è detto, aveva disposto la piena conformità della emananda disciplina normativa alle prescrizioni della direttiva comunitaria da attuare, e in particolare a quella contenuta nell'art. 17 della direttiva medesima, postulante il concorso cumulativo di ambedue le surriportate condizioni ai fini del riconoscimento - del diritto dell'agente alla corresponsione dell'indennità di fine rapporto.

Di qui la sollevata censura di illegittimità costituzionale, la quale si fonda sulle seguenti argomentazioni giuridiche:

a) a mente dell'art. 76 della Costituzione, "l'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti";

b) il vizio di legittimità costituzionale può essere determinato, oltre che dalla violazione diretta di una disposizione della Carta fondamentale, anche dalla violazione di una c.d. "norma interposta"; ed è appunto quanto si verifica nel caso di decreto legislativo emanato in contrasto con il contenuto della legge di delega, atteso che la difformità immediatamente rilevabile è quella tra il decreto legislativo e la detta legge, ma al tempo stesso il primo viola l'art. 76 della Costituzione, secondo cui il Governo è tenuto a osservare i limiti, stabiliti dalle Camere nella legge di delega, all'esercizio del potere legislativo delegato.

L'entrata in vigore dell'art. 1751, primo comma, del codice civile, nel testo sostituito dall'art. 4 del decreto legislativo n. 303/1991, ha peraltro determinato l'insorgenza di un contrasto tra la normativa comunitaria e l'ordinamento interno; contrasto rilevato anche dalla Commissione delle Comunità Europee, la quale ha avviato nei confronti dell'Italia un procedimento di infrazione, ritenendo che il nostro Paese non avesse dato corretta attuazione alla direttiva n. 86/653/CEE, avendo trattato le previsioni dei due "trattini" dell'art. 17, paragrafo 2, lettera a) della detta direttiva come due condizioni alternative, invece che cumulative (cfr., sul punto, anche la relazione in data 23 luglio 1996 della Commissione, predisposta ai sensi dell'art. 17, paragrafo 6, della direttiva).

Per ovviare alla descritta situazione, sulla base della legge di delega 24 aprile 1998, n. 128 - il cui art. 2, lettera g) contiene nuovamente il criterio direttivo della piena conformità alle prescrizioni delle direttive comunitarie da attuare -, è stato emanato il decreto legislativo 15 febbraio 1999, n. 65 ("Adeguamento della disciplina relativa agli agenti commerciali indipendenti, in ulteriore attuazione della direttiva 86/653/CEE del Consiglio del 18 dicembre 1986"), allo scopo di dare più fedele attuazione alla direttiva comunitaria in materia.

In particolare, l'art. 5, primo comma, del citato decreto ha sostituito il primo comma dell'art. 1751 del codice civile, che ora recita: "All'atto della cessazione del rapporto, il preponente è tenuto a corrispondere all'agente un'indennità se ricorrono le seguenti condizioni: l'agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti;

Il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l'agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti".

Per effetto di tale intervento correttivo, l'evidenziata antinomia tra il diritto comunitario e l'ordinamento interno può quindi ritenersi superata.

Senonché, il menzionato art. 5 del decreto legislativo n. 65/1999 è entrato in vigore il 3 aprile 1999 e non può dunque trovare applicazione, in difetto di apposita disciplina transitoria, ai contratti di agenzia già cessati prima di quella data (e tra questi rientra proprio il contratto dedotto in giudizio), dovendo peraltro escludersi la sua natura interpretativa, stante la mancanza di esplicite indicazioni testuali in tal senso e il carattere eccezionale dell'efficacia retroattiva della legge, desumibile dall'art. 11, primo coma, delle preleggi.

Di qui l'indubbia rilevanza della sollevata questione di legittimità costituzionale ai fini della definizione del presente giudizio, nel quale occorre accertare se, in base alla disciplina normativa all'epoca vigente, l'istante Di S. N. & C. s.n. c. abbia o meno diritto alla indennità di cui all'art. 1751 del codice civile, da essa rivendicata nei confronti della convenuta Del G. s.r.l.

Invero, se si ritiene che l'art. 1751, primo comma, del codice civile, nel testo novellato dall'art. 4 del decreto legislativo n. 303/1991, applicabile ratione temporis, è costituzionalmente illegittimo, in riferimento all'art. 76 della Costituzione, nella parte in cui, in violazione dei criteri direttivi contenuti nella legge di delega, prevede che "all'atto della cessazione del rapporto il preponente è tenuto a corrispondere all'agente un'indennità se ricorra almeno una delle seguenti condizioni: anziché prevedere che "all'atto della cessazione del rapporto il preponente è tenuto a corrispondere all'agente un'indennità se ricorrono le seguenti condizioni:...", la domanda proposta dalla Di S. s.n. c. potrà essere accolta nel solo caso di accertata concorrenza di entrambe le condizioni enunciate dalla citata norma; se, invece, si esclude la sussistenza della denunciata illegittimità costituzionale, sarà sufficiente verificare la ricorrenza di una sola delle dette condizioni per riconoscere la fondatezza della pretesa attorea.

Ne discende che il presente giudizio non può essere definito nel merito indipendenteMente dalla risoluzione della cennata questione di legittimità costituzionale, tanto più alla luce dei risultati della espletata istruttoria, che potrebbero condurre a un esito della lite diverso a seconda dell'adesione all'una piuttosto che all'altra delle opzioni interpretative innanzi prospettate.

Ove, peraltro, fosse ritenuta inammissibile la pronuncia di una sentenza sostitutiva, nei termini sopra specificati, si chiede che il Giudice delle Leggi, sulla scorta delle medesime argomentazioni giuridiche innanzi svolte, voglia comunque dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 1751, primo comma, del codice civile - nel testo, applicabile ratione temporis, sostituito dall'art. 4 del decreto legislativo n. 303/1991, vigente anteriormente alle modifiche apportate dall'art. 5 del decreto legislativo n. 65/1999 - , in riferimento all'art. 76 della Costituzione, per violazione dei criteri direttivi stabiliti dagli articoli 2, lettera f) e 15 della legge di delega (Legge 29 dicembre 1990, n. 428), disponenti la piena conformità della emananda disciplina normativa alle prescrizioni della direttiva comunitaria da attuare (n. 86/653/CEE del 18 dicembre 1986), e in particolare a quella contenuta nell'art. 17, paragrafo 2), lettera a) della citata direttiva, secondo cui "l'agente commerciale ha diritto ad un'indennità se e nella misura in cui:

abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente abbia ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti;

il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l'agente commerciale perde e che risultano dagli affari con tali clienti".

Un'eventuale pronuncia caducatoria, non accompagnata da un intervento manipolativo teso a ricondurre il testo della disposizione censurata nell'alveo della legittimità costituzionale, determinerebbe, infatti, la reviviscenza dell'abrogato art. 1751 del codice civile, nel testo sostituito dall'articolo unico della Legge 15 ottobre 1971, n. 911, il quale recava una disciplina dell'indennità per lo scioglimento del contratto di agenzia assai diversa da quella introdotta dal più volte citato art. 4 del decreto legislativo n. 303/1991, limitandosi a stabilire che "all'atto dello scioglimento del contratto a tempo indeterminato, il preponente è tenuto a corrispondere all'agente un'indennità proporzionale all'ammontare delle provvigioni liquidategli nel corso del contratto e nella misura stabilita dagli accordi economici collettivi, dagli usi o, in mancanza, dal Giudice secondo equità" e che "da tale indennità deve detrarsi quanto l'agente ha diritto di ottenere per effetto di atti di previdenza volontariamente compiuti dal preponente".

Anche nei detti termini appare, quindi, indubbia la rilevanza della prospettata questione di legittimità costituzionale ai fini della risoluzione della presente vertenza, atteso che, in caso di ritenuta applicabilità della anteriore disciplina di cui alla citata L. n. 911/1971, quale conseguenza della disposta espunzione dall'ordinamento giuridico della norma censurata di incostituzionalità, ben diversi sarebbero i presupposti necessari per l'accoglimento della pretesa attorea.

La proposizione dell'incidente di costituzionalità non può, peraltro, essere evitata da questo Giudice attraverso la disapplicazione della norma interna (nella specie, dell'art. 1751, primo comma, del codice civile, nel testo sostituito dall'art. 4 del decreto legislativo n. 303/1991) contrastante con la direttiva comunitaria non correttamente attuata, alla stregua del costante orientamento della Suprema Corte di Cassazione, formatosi sulla scorta della giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità Europee, secondo cui le disposizioni di una direttiva comunitaria non attuata (o non correttamente attuata) hanno efficacia diretta nell'ordinamento dei singoli Stati membri -sempre che siano incondizionate e sufficientemente precise e lo Stato destinatario sia inadempiente per l'inutile decorso del termine accordato per dare attuazione alla direttiva- limitatamente ai rapporti tra le autorità dello Stato inadempiente ed i singoli soggetti privati (cosiddetta efficacia verticale), e non anche nei rapporti interprivati (cosiddetta efficacia orizzontale), in quanto esclusivamente in tal senso si è pronunciata -sin dalla sentenza 26 febbraio 1986 nella causa n. 152/84 (Marshall c/ Southampton and South-West Hampshire Area Health Authority) - la giurisprudenza della Corte di Giustizia europea (vinColante per i giudici nazionali), la quale non ha affatto superato il principio che le direttive obbligano esclusivamente gli Stati alla loro attuazione mediante strumenti normativi interni (talché l'applicazione delle loro disposizioni ai singoli è soltanto l'effetto indiretto delle disposizioni interne che le recepiscono), ma ha -più limitatamente- stabilito che lo Stato non può ,opporre ai singoli l'inadempimento, da parte sua, degli obblighi impostigli dalla direttiva, per cui risponde, nei loro confronti, deì danni derivanti da tale inadempimento (cfr., in tal senso, Cass. n. 23937/06; Cass. n. 3762/04; Cass. n. 752/02; Cass. n. 4817/99; Cass. n. 11571/97; Corte di giustizia C.E. 14 luglio 1994, causa n. 91; 'Corte di giustizia 7 marzo 1996, causa n. 192/94; Corte di giustizia 26 settembre 1996, causa n. 168/95).

Oltretutto, nel caso in esame, la disposizione normativa sospettata di illegittimità costituzionale non appare volta a limitare o sopprimere l'autonomia privata in vista della realizzazione di interessi di cui è direttamente titolare la Pubblica Amministrazione, sicché neppure può invocarsi il principio di diritto enunciato in talune pronunce della Suprema Corte, secondo cui, ricorrendo la descritta situazione, il Giudice nazionale deve disapplicare la norma interna incompatibile con la direttiva comunitaria anche quando la controversia è formalmente intervenuta tra soggetti privati (cfr., in tal senso, Cass. n. 3914/02; Cass. n. 4817/99).

Non può, infine, esservi spazio, a fronte dell'inequivoco tenore letterale della norma ("se ricorra almeno una delle seguenti condizioni"), per una interpretazione adeguatrice del suo testo, idonea a sottrarlo al denunciato contrasto con il parametro costituzionale evocato, un simile risultato potendo essere ottenuto solo a costo di stravolgere il valore semantico delle espressioni usate dal legislatore delegato, in palese violazione del fondamentale canone ermeneutico fissato dall'art. 12, primo comma, delle preleggi, secondo cui "nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole, secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore"; del resto, il ricorso all'interpretazione adeguatrice è consentito nella sola ipotesi in cui la norma offra più possibilità interpretative, l'una conforme e l'altra difforme rispetto ai principi della Costituzione (cfr., in tal senso, Cass. Sez. Unite, n. 1994/03), ma non anche quando -come appunto nella specie - la norma sospettata di incostituzionalità, nella sua chiara formulazione letterale, impone un'unica soluzione interpretativa.

Per le esposte ragioni, si rende quindi necessario disporre l'immediata trasmissione degli atti alla Consulta, perché risolva la sollevata questione di legittimità costituzionale; nelle more il presente giudizio deve rimanere sospeso.

 

P.Q.M.

 

In composizione monocratica;

Visti gli articoli 1 della Legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della Legge 11 marzo 1953, n. 87;

Solleva d'ufficio la questione di legittimità costituzionale del primo comma dell'art. 1751 del codice civile - nel testo, applicabile ratione temporis alla presente controversia, sostituito dall'art. 4 del decreto legislativo 10 settembre 1991, n. 303, vigente anteriormente alle modifiche apportate dall'art. 5 del decreto legislativo 15 febbraio 1999, n. 65 -, in riferimento all'art. 76 della Costituzione, nella parte in cui, in violazione dei criteri direttivi stabiliti dagli articoli 2, lettera f) e 15 della legge di delega (Legge 29 dicembre 1990, n. 428), disponenti la piena conformità della disciplina normativa da emanare alle prescrizioni della attuanda direttiva del Consiglio delle Comunità Europee n. 86/653 del 18 dicembre 1986, e in particolare a quella contenuta nell'art. 17, paragrafo 2, lettera a), della citata direttiva, secondo cui "l'agente commerciale ha diritto ad un'indennità se e nella misura in cui:

abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente abbia ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti;

il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l'agente commerciale perde e che risultano dagli affari con tali clienti", prevede che "all'atto della cessazione del rapporto il preponente è tenuto a corrispondere all'agente un'indennità se ricorra almeno una delle seguenti condizioni:

l'agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti;

il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l'agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti";

dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;

sospende il presente giudizio in attesa della risoluzione della sollevata questione di legittimità costituzionale; ordina che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.

 

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Provvedimento pubblicato nella G.U. del 25 novembre 2015, n. 47