Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 25 novembre 2015, n. 24022

Tributi - Imposta di successione - Avviso di liquidazione dell’imposta principale - Rettifica e liquidazione - Presupposto di condonabilità - Definizione lite pendente ex art. 16, L n. 289 del 2002 - Effetti

 

Svolgimento del processo

 

La controversia concerne l’impugnazione di un avviso notificato il 29 dicembre 2004 con il quale l'Ufficio del Registro chiedeva il pagamento dell’imposta complementare derivante dall’accertamento di un maggior valore di alcuni immobili compresi nell’asse ereditario di (...), dante causa del contribuente. Quest'ultimo eccepiva di aver ricevuto in precedenza, il 14 novembre 2002, notifica dell'avviso di liquidazione dell’imposta principale dovuta per la successione, avviso impugnato, in relazione all’an e al quantum e successivamente oggetto di domanda di definizione ai sensi dell’art. 16, l. n. 289 del 2002. Il condono veniva negato dall’amministrazione con provvedimento che il contribuente impugnava ottenendo una pronuncia che dichiarava condonabile la lite. Conseguentemente, accertato il passaggio in giudicato di tale pronuncia, la lite veniva definita, sulla non opposizione dell'Ufficio, con dichiarazione di cessazione della materia del contendere.

La Commissione adita riteneva che la definizione per condono della lite relativa all’imposta principale aveva effetto anche rispetto all’imposto complementare, privando l’Ufficio del potere di rettificare i valori dichiarati nella denuncia di successione. L'appello dell'Ufficio era rigettato con la sentenza in epigrafe, che riteneva efficace, anche nei confronti dell’imposta complementare, l’avvenuta definizione della controversia sull'imposta principale, oltre a riconoscere in ogni caso la congruità dei valori dichiarati rispetto a quelli accertati.

Avverso tale sentenza l'amministrazione propone ricorso per cassazione con quattro motivi.

Resiste il contribuente con controricorso.

 

Motivazione

 

Con il primo motivo di ricorso, l'amministrazione censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che la definizione per condono della lite concernente l'imposta principale di successione avesse valore assorbente rispetto alla lite relativa all'imposta complementare, nel senso di essere efficace anche nei confronti di quest'ultima.

La censura non è fondata. Si può concordare sul fatto che la lite pendente attenga, per sua definizione, solo e soltanto all’imposta che ne costituisce oggetto. Ma ciò, se giustifica che il condono concernente l'imposta complementare - ossia quella parte del tributo dovuto in aggiunta a quello liquidabile in ragione della dichiarazione del contribuente per l'accertamento di un maggior valore da parte dell’amministrazione finanziaria, non abbia effetti "estintivi" rispetto all’imposta principale (quella, appunto, liquidabile in ragione della dichiarazione del contribuente: v. in questo senso Cass., 3482 del 2014), non altrettanto può dirsi tout court per il caso inverso, e in particolare quando si tratti, come nel caso di specie dell'imposta di successione.

Con riferimento a tale imposta, infatti, va registrato un orientamento espresso da questa Corte (Cass., n. 18840 del 2006) secondo cui: «In tema di condono fiscale, esulano dal concetto normativo di lite pendente, e quindi dalla possibilità di definizione agevolata ai sensi dall’art. 16 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, soltanto le controversie aventi ad oggetto provvedimenti di mera liquidazione del tributo, emanati senza il previo esercizio di un potere discrezionale dell'Amministrazione, cioè senza accertamento o rettifica e senza applicazione di sanzioni. Rientra pertanto nell'ambito applicativo del beneficio l'impugnazione dell'avviso di liquidazione dell'imposta di successione, il quale comporta sempre una previa valutazione da parte dell'ufficio finanziario, della congruità dei valori e dell’effettiva esistenza delle passività dichiarate, dovendo esso ufficio, in caso di dichiarazione incompleta o infedele, procedere alla rettifica ai sensi dell’art. 21, comma 3 del d.lgs, 31 ottobre 1990, n. 346; ciò implica che, allorquando alla rettifica non si sia proceduto, non è affatto mancata la valutazione, ma questa è consistita nel giudicare congrui i valori dichiarati. L'avviso di liquidazione dell’imposta di successione è quindi compreso fra gli atti impositivi cui si riferisce l’art. 16 della legge di condono, contenendo necessariamente una valutazione di congruità, e non essendo finalizzato alla mera o automatica liquidazione e riscossione dell'imposta, in base a valori incontestati ed a parametri prestabiliti»

Siffatto orientamento ha trovato conferma più di recente, sia pure in una forma che potrebbe nella sostanza definirsi "più mite". Ma, ai fini di quanto qui interessa, i termini del problema non mutano.

La Corte ha affermato che: «In tema di condono fiscale, esulano dal concetto normativo di lite pendente e, quindi, dalla possibilità di definizione agevolata ai sensi dall’art. 16 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, soltanto le controversie aventi ad oggetto provvedimenti di mera liquidazione del tributo, emanati senza il previo esercizio di un potere discrezionale dell’Amministrazione, cioè senza accertamento o rettifica e senza applicazione di sanzioni, con la conseguenza che rientra nell'ambito applicativo del beneficio, la controversia conseguente all’impugnazione dell'avviso di liquidazione dell'imposta di successione il quale partecipi nella sostanza alla funzione propria dell’accertamento, in quanto emesso previa valutazione e rettifica, da parte dell’ufficio finanziario, della congruità dei valori e dell’effettiva esistenza delle passività dichiarate, derivandone, in tal caso, la persistente controvertibilità del presupposto della materia imponibile» (Cass., n. 8196 del 2011)

Orbene in questa prospettiva non sembra certamente più vero che l'avviso di liquidazione dell’imposta di successione contenga «necessariamente una valutazione di congruità, e non sia finalizzato alla mera o automatica liquidazione e riscossione dell’imposta, in base a valori incontestati ed a parametri prestabiliti»- Non solo: l'orientamento espresso sembra preludere a quanto ancor più recentemente affermato da questa Corte circa la possibilità che l’avviso di liquidazione dell'imposta di successione esuli dal concetto normativo di lite pendente se emanalo sulla base di dichiarazione proveniente dagli eredi, senza rettifica di valori e senza irrogazione di sanzioni (Cass. N. 20898 del 2014).

Tuttavia resta immutata la necessità di un accertamento in concreto che l'atto impositivo, oggetto della controversia sia effettivamente limitato alla mera pretesa dell'imposta (principale), liquidala esclusivamente «sulla base di dichiarazione proveniente dagli eredi, senza rettifica di valori e senza irrogazione di sanzioni. » Perché solo in questo caso la "condonabilità della lite" potrebbe essere esclusa.

Nella fattispecie in esame, invece, la controversia relativa all’avviso di liquidazione dell’imposta principale di successione è stata ritenuta, con sentenza passata in giudicato (e senza che vi sia sul punto contrasto tra le parti), lite pendente condonabile ai sensi dell'art. 16, l. n. 289 del 2002: sicché l’atto impositivo, in quanto considerato condonabile, non era evidentemente finalizzato alla mera o automatica liquidazione e riscossione dell’imposta, in base a valori incontestati ed a parametri prestabiliti, ma doveva contenere elementi - ad es. una rettifica di valori - che giustificassero la persistente controvertibilità del presupposto della materia imponibile.

In contrasto con il dovuto rispetto del principio di autosufficienza, la censura argomentata dalla parte ricorrente si esaurisce nell'apodittica affermazione che il condono della lite relativa alla liquidazione dell’imposta principale sia tout court inefficace sulla lite relativa alla liquidazione dell’imposta complementare. Manca qualsiasi riferimento e tanto meno qualsiasi prova circa il concreto contenuto dell’avviso di liquidazione dell'imposta principale da altro giudice ritenuto condonabile, né il contenuto del predetto atto impositivo è riportato nel ricorso, in modo che il giudice di legittimità lo possa direttamente conoscere (l'unico atto impositivo riportato nel ricorso è quello oggetto del presente giudizio, e cioè l’avviso di liquidazione dell’imposta complementare)

Pertanto, deve essere rigettato il primo motivo di ricorso. Nel rigetto sono da ritenersi assorbiti tutti i restanti motivi: la ratio decidendi criticata con il rigettato primo motivo di ricorso è, infatti, sufficiente a sorreggere la decisione impugnata.

Il consolidamento dei principi enunciali in epoca successiva alla proposizione del ricorso giustifica la compensazione delle spese della presente fase del giudizio.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Compensa le spese. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.