Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 24 novembre 2015, n. 23971

Rapporto di lavoro - CIGS - Mancata adozione della rotazione nella comunicazione di avvio della procedura - Risarcimento

Svolgimento del processo

1.- Il Tribunale di Torino, adito da G.L.C., accolse parzialmente il ricorso da costei proposto nei confronti della datrice di lavoro Fiat Group A. Spa volto alla condanna al pagamento di una somma a titolo di risarcimento del danno in misura pari al differenziale delle retribuzioni tra quelle percepite e quelle percipiende se non fosse stata collocata illegittimamente in CIGS sulla base della comunicazione aziendale del 31 ottobre 2002.

La Corte di Appello di Torino, con sentenza del 14 maggio 2008, ha accolto l'appello principale della lavoratrice, con accoglimento della sua domanda introduttiva per l'intero periodo di collocazione in CIGS, e respinto l'appello incidentale dell'azienda.

La Corte territoriale, pur sostenendo che - per effetto dell'entrata in vigore del DPR n. 218 del 10 giugno 2000 - il legislatore avrebbe sostanzialmente modificato la procedura di concessione della CIGS, per cui non era possibile ritenere ancora "pienamente in vigore" quella precedentemente prevista dall'art. 1, comma 7, della L. n. 223 del 1991, ha ritenuto che nel verbale di esame congiunto "debba trovarsi la prova del fatto che i criteri di scelta abbiano formato oggetto della discussione, non parendo invece possibile ammettere una prova testimoniale tesa ad apportare elementi nuovi non risultanti dal suddetto verbale"; ha riscontrato, dunque, come che dal testo del verbale delle riunioni delle parti sociali non vi fosse alcuna traccia circa l'esame concreto dei criteri di scelta e, quindi, circa il contenuto di tali criteri.

La Corte di Appello, "anche a voler prescindere da quanto sopra", ha inoltre individuato una "ulteriore ragione" che rendeva illegittima la collocazione in CIGS della lavoratrice. Ha infatti esaminato le ragioni della mancata adozione della rotazione nella comunicazione di avvio della procedura del 31 ottobre 2002, così testualmente riportate: "ragioni di carattere tecnico organizzativo correlate alla cessazione della produzione di alcuni modelli, alla cessazione di attività e agli interventi di riorganizzazione e revisione dei processi di funzionamento dell'azienda, con i relativi vincoli operativi, funzionali e di costo, nell'ambito di un progressivo programma finalizzato alla riduzione". La Corte ha giudicato "la lacunosità e l'evanescenza della comunicazione ... di tale portata da vanificarne qualunque efficacia". Ha argomentato a sostegno che "le generiche ragioni addotte, ed in particolare la cessazione della produzione di alcuni modelli e di alcune attività, di per sé sole non sorreggono affatto la scelta di adottare meccanismi di rotazione essendo facilmente ipotizzabile in un'azienda delle dimensioni della Fiat auto l'esistenza di professionalità omogenee e la conseguente possibilità di utilizzare i lavoratori nella produzione di modelli diversi da quelli ai quali sono abitualmente addetti"; che "in ogni caso non sono stati neppure indicati né i modelli la cui produzione sarebbe cessata, né che tipo di attività sarebbe terminata né tanto meno in che cosa sarebbe consistita la revisione dei processi di funzionamento dell'azienda"; che "se il legislatore ha imposto l'obbligo di indicare le ragioni tecnico organizzative della mancata adozione di meccanismi di rotazione la ragione è certamente quella di consentire alle organizzazioni sindacali di controllare la sussistenza o meno delle ragioni addotte, finalità evidentemente impedita da una comunicazione quale quella in oggetto, adattabile a qualunque realtà aziendale". Per la Corte neppure l'invocazione del successivo verbale del Ministero del Lavoro del 5 dicembre 2002 poteva sanare il rilevato vizio della procedura atteso che l'insufficiente indicazione delle ragioni della mancata rotazione non potevano certo essere sostituite dalla attestazione, contenuta nel suddetto verbale, del corretto espletamento della procedura amministrativa.

Infine la Corte torinese ha affermato che l'inottemperanza rilevata non poteva essere sanata dagli accordi del 18 marzo 2003 e 22 luglio 2003, atteso che quest'ultimo era stato stipulato dopo la sentenza di primo grado ed il primo era stato sottoscritto dalla RSU con una formazione dell'organo collegiale non validamente formatasi.

2.- La Fiat Group A. Spa ha proposto ricorso per cassazione affidato a dodici motivi. L'intimata ha depositato controricorso, proponendo ricorso incidentale condizionato affidato ad un unico motivo, cui ha resistito la società.

 

Motivi della decisione

3.- I motivi di ricorso principale possono essere come di seguito sintetizzati: violazione o falsa applicazione dell'art. 2 d.P.R. n. 218 del 2000 chiedendo alla Corte di affermare il principio che detta disposizione non richieda alcun requisito di forma scritta per l'esame congiunto (primo motivo);

violazione o falsa applicazione degli artt. 1325 e 2725 c.c. censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la prova dell'esame congiunto in materia di CIGS debba risultare da atto scritto e non possa essere fornita attraverso testimoni (secondo motivo);

violazione o falsa applicazione dell'art. 2 del d.P.R. n. 218 del 2000 e dell'art. 2697 c.c. interrogando la Corte se non sia corretto accertare l'avvenuto esame congiunto attraverso adeguata istruttoria e sanzionare soltanto la radicale assenza di un verbale di avvenuto esame congiunto (terzo motivo);

omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio quanto all'esame congiunto dei criteri di scelta, anche in relazione alla documentazione depositata attestante gli incontri tenuti con le parti sociali (quarto motivo);

violazione e falsa applicazione dell'art. 2 d.P.R. n. 218 del 2000 assumendo che le ragioni ostative alla rotazione non debbano essere necessariamente indicate per iscritto (quinto motivo);

violazione a falsa applicazione degli artt. 1325 e 2725 c.c. in relazione all'onere di indicazione scritta delle ragioni ostative alla rotazione in quanto, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte territoriale, sarebbe ammissibile una prova testimoniale circa l'indicazione, in sede di esame congiunto, delle ragioni tecnico organizzative della mancata adozione dei meccanismi di rotazione (sesto motivo);

violazione o falsa applicazione dell'art. 2 del d.P.R. n. 218 del 2000 e dell'art. 2697 chiedendo alla Corte se la mancanza di forma scritta nella indicazione delle ragioni ostative alla rotazione sia superabile dall'espletamento di un'adeguata istruttoria volta ad accertare se tali ragioni siano state illustrate nel corso dell'esame congiunto (settimo motivo);

omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio quanto all'indicazione delle ragioni ostative alla rotazione, anche in relazione alla documentazione depositata attestante la comunicazione e la discussione intervenuta al riguardo (ottavo motivo);

violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c. e dell'art. 2, d.P.R. n. 218/2000, chiedendo alla Corte di affermare il principio di diritto per il quale il verbale di esame congiunto redatto dal Ministero del Lavoro in data 5 dicembre 2002, ha natura di atto amministrativo dotato di efficacia certificativa e, provenendo da una pubblica amministrazione, determina una presunzione di legittimità della procedura, con inversione dell'onere della prova a carico del ricorrente (nono motivo);

omessa, insufficiente e /o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione a detto verbale congiunto redatto dal Ministero del Lavoro, rispetto al quale la sentenza impugnata avrebbe omesso qualsiasi motivazione (decimo motivo);

vizio di ultrapetizione con conseguente nullità per la parte di sentenza relativa all'accordo 18 marzo 2003, in violazione dell'art. 112 c.p.c., ai sensi dell'art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c. (undicesimo motivo);

omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione della sentenza impugnata lamentando che la Corte torinese si sia limitata ad una astratta valutazione della legittimità della procedura senza riguardo alla posizione soggettiva della lavoratrice collocata in CIGS (dodicesimo motivo).

4.- Occorre preliminarmente evidenziare che, come riportato nello storico della lite, la statuizione della Corte territoriale di rigetto dell'appello incidentale proposto dalla società si fonda su di una duplicità di rationes decidendi, tra loro autonome.

La prima articolata sulla ragione che il verbale di esame congiunto avrebbe dovuto contenere la prova del fatto che i criteri di scelta avessero formato oggetto di discussione tra le parti sociali, prova nella specie non rinvenuta dalla Corte del merito.

La seconda ratio decidendi si fonda invece sulla "lacunosità ed evanescenza" della comunicazione di avvio della procedura del 31 ottobre 2002, in ordine ai motivi della mancata adozione della rotazione.

Che si tratti di una distinta e concorrente ragione che fonda la decisione risulta manifesto, oltre che dalla circostanza della diversità del vizio procedurale rilevato, dal fatto che la stessa Corte di Appello individua essa, "anche a voler prescindere da quanto sopra" e, quindi, dalla mancanza di prova che i criteri di scelta avessero formato oggetto di esame congiunto, testualmente come una "ulteriore ragione" che rendeva illegittima la collocazione in CIGS della lavoratrice.

Di tale "ulteriore ragione" della decisione si occupano i motivi di censura a partire dal quinto del ricorso principale, i quali possono essere con priorità esaminati in conformità con i principi reiteratamente affermati da questa Corte in vicende sovrapponibili alla presente.

5.- Detti mezzi di impugnazione investono l'esame delle seguenti questioni, così declinabili nel rispetto del loro gradato ordine logico-giuridico: a) requisiti di specificità della comunicazione di richiesta di apertura della procedura, in ordine ai criteri di scelta dei lavoratori da sospendere e delle modalità della loro rotazione; b) eventuale efficacia sanante, in caso di inidoneità dei suddetti requisiti, di accordi sindacali raggiunti in corso di procedura e dell'attestazione, con verbale di esame congiunto del Ministero del Lavoro, di regolarità della stessa; c) verifica concreta della posizione del singolo lavoratore.

6.- La questione relativa ai requisiti di specificità della comunicazione di richiesta di apertura della procedura avuto riguardo alla indicazione delle ragioni ostative alla rotazione, è oggetto del quinto, sesto, settimo, ottavo motivo, in riferimento al contenuto della lettera 31 ottobre 2002, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto inadeguata la comunicazione di avvio della procedura.

Le censure, sotto tutti i profili argomentativi esposti, sono infondate.

Premesso che la valutazione della rispondenza in concreto della comunicazione di avvio della procedura di cassa integrazione oggetto dell'esame giudiziale ai requisiti legali riguarda l'interpretazione del contenuto dell'atto, sicché è nella competenza esclusiva del giudice di merito, come tale insindacabile nel giudizio di legittimità, quando esso abbia motivato la sua decisione in modo sufficiente e privo di contraddizioni (Cass. 11 marzo 2015, n. 4886; Cass. 6 maggio 2014, n. 9705; Cass. 2 ottobre 2013, n. 22540), nel caso di specie la Corte territoriale ha esaurientemente e coerentemente argomentato il proprio convincimento, in esatta applicazione delle norme di diritto denunciate.

La Corte torinese ha infatti esaminato le ragioni della mancata adozione della rotazione nella comunicazione di avvio della procedura del 31 ottobre 2002, così testualmente riportate: "ragioni di carattere tecnico organizzativo correlate alla cessazione della produzione di alcuni modelli, alla cessazione di attività e agli interventi di riorganizzazione e revisione dei processi di funzionamento dell'azienda, con i relativi vincoli operativi, funzionali e di costo, nell'ambito di un progressivo programma finalizzato alla riduzione". La Corte ha giudicato "la lacunosità e l'evanescenza della comunicazione di tale portata da vanificarne qualunque efficacia". Ha argomentato a sostegno che "le generiche ragioni addotte, ed in particolare la cessazione della produzione di alcuni modelli e di alcune attività, di per sé sole non sorreggono affatto la scelta di non adottare meccanismi di rotazione essendo facilmente ipotizzabile in un'azienda delle dimensioni della Fiat auto l'esistenza di professionalità omogenee e la conseguente possibilità di utilizzare i lavoratori nella produzione di modelli diversi da quelli ai quali sono abitualmente addetti"; che "in ogni caso non sono stati neppure indicati né i modelli la cui produzione sarebbe cessata, né che tipo di attività sarebbe terminata né tanto meno in che cosa sarebbe consistita la revisione dei processi di funzionamento dell'azienda"; che "se il legislatore ha imposto l'obbligo di indicare le ragioni tecnico organizzative della mancata adozione di meccanismi di rotazione la ragione è certamente quella di consentire alle organizzazioni sindacali di controllare la sussistenza o meno delle ragioni addotte, finalità evidentemente impedita da una comunicazione quale quella in oggetto, adattabile a qualunque realtà aziendale".

Si tratta di motivazione congruamente espressa, che sorregge in modo adeguato l'assunto della violazione dell'obbligo di indicare le ragioni che impediscono il ricorso alla rotazione, il quale determina l'inefficacia dei provvedimenti aziendali che può essere fatta valere giudizialmente dai lavoratori, in quanto la regolamentazione della materia è finalizzata alla tutela, oltre che degli interessi pubblici e collettivi, soprattutto di quelli dei singoli lavoratori (Cass. 11 marzo 2015, n. 4886; Cass. 8 settembre 2014, n. 18895; Cass. 14 maggio 2012, n. 7459).

7. - La seconda questione, riguardante l'efficacia sanante di accordi sindacali raggiunti in corso di procedura e dell'attestazione di sua regolarità, con verbale di esame congiunto del Ministero del Lavoro, è oggetto del nono e decimo motivo, per tale ragione congiuntamente esaminabili.

Essi sono infondati.

Anche qui occorre premettere che la valutazione di adeguatezza, nell'accordo sindacale, della specificazione dei criteri di individuazione dei lavoratori da porre in cassa integrazione e delle modalità di rotazione si risolve nella formulazione di un giudizio di merito, al pari di quella concernente la comunicazione di avvio della procedura, spettante in via esclusiva al giudice di merito e censurabile in cassazione solo negli stretti limiti del giudizio di legittimità (Cass. 29 maggio 2014, n. 12096; Cass. 6 maggio 2014, n. 9705): nel caso in esame travalicati, in riferimento ad una decisione immune da incoerenze o contraddizioni logiche.

In ogni caso, questa Corte intende ribadire la recente affermazione secondo cui, in riferimento "alla possibilità di una efficacia sanante di un accordo sindacale sui criteri di scelta, occorre pure rammentare che essa è stata ammessa solo in casi particolari e circoscritti, ma non nell'ipotesi in cui la comunicazione è strettamente funzionale a mettere in grado le organizzazioni sindacali di partecipare al confronto con la controparte adeguatamente informate e ai lavoratori di avere contezza delle prospettazioni aziendali. Né può essere ammessa, con effetto retroattivo, rispetto a scelte in concreto già operate." (Cass. 11 marzo 2015, n. 4886, anche per richiamo di: Cass. 12 dicembre 2011, n. 26587; Cass. 9 giugno 2009, n. 13240; Cass. 1 luglio 2009, n. 15393).

Quanto alle attestazioni ministeriali di corretto svolgimento della procedura ed in particolare del verbale di esame congiunto del Ministero del Lavoro 5 dicembre 2002, esse difettano di rilevanza, posto che, ove si ritenga che criteri di individuazione e modalità di rotazione debbano essere indicati ab initio nella comunicazione di avvio, è superfluo esaminare la tesi che assegna valore asseverativo ad un documento che attesta che quell'indicazione è avvenuta solo in un momento successivo, e cioè in sede di esame congiunto (Cass. 8 giugno 2015, n. 11754; Cass. 2 ottobre 2013, n. 22540; Cass. 12 dicembre 2011, n. 26587).

8.- La terza questione, riguardante la verifica concreta della posizione della singola lavoratrice, è oggetto del dodicesimo motivo in premessa descritto, parimenti infondato.

Ed infatti la ritenuta genericità, per inidoneità dei criteri previsti dall'art. 1, settimo comma L. 223/1991, della comunicazione datoriale 31 ottobre 2002, di avvio della procedura di autorizzazione della CIGS, ravvisata da questa Corte in esito all'esame dei mezzi di impugnazione sul punto respinti, confermando il vizio genetico della procedura, esclude la possibilità di verificare la corrispondenza della scelta ai criteri (Cass. 10 dicembre 2014, n. 25949).

9.- Poiché una autonoma ratio decidendi, di per sé sola idonea a sorreggere la pronuncia impugnata, ha resistito ai rilievi che le sono stati mossi, non occorre esaminare anche gli altri motivi di ricorso dal primo al quarto i quali, anche ove fossero accolti, non consentirebbero la cassazione della sentenza impugnata.

Infatti, per costante insegnamento di questa Corte regolatrice, ove una sentenza (o un capo di questa) si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario - per giungere alla cassazione della pronunzia - non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l'accoglimento di tutte le censure, affinché si realizzi lo scopo stesso della impugnazione. Questa, infatti, è intesa alla cassazione della sentenza in toto, o in un suo singolo capo, id est di tutte le ragioni che autonomamente l'una o l'altro sorreggano. è sufficiente, pertanto, che anche una sola delle dette ragioni non formi oggetto di censura, ovvero che sia respinta la censura relativa anche ad una sola delle dette ragioni, perché il motivo di impugnazione debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni (tra le altre: Cass. n. 23931 del 2007; Cass. n. 12372 del 2006; Cass. n. 10420 del 2005; Cass. n. 2274 del 2005; Cass. n. 10134 del 2004; Cass. n. 5493 del 2001).

10.- In ordine all'undicesimo motivo del ricorso principale, con cui si denuncia un vizio di ultrapetizione per violazione dell'art. 112 c.p.c., con conseguente nullità della sentenza a mente dell'art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., esso è inammissibile per radicale mancanza del quesito di diritto prescritto dall'art. 366-bis c.p.c. pro tempore vigente.

11.- Conclusivamente il ricorso principale deve essere respinto; quello incidentale espressamente qualificato come "subordinato" va dichiarato assorbito.

Le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo, con attribuzione ai procuratori dichiaratisi anticipatari.

 

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale; dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato; condanna parte ricorrente principale al pagamento delle spese di lite liquidate in euro 3.100,00, di cui euro 100,00 per esborsi, oltre accessori secondo legge e spese generali al 15%, con distrazione.