Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 23 novembre 2015, n. 23848

Inps - Omessa contribuzione - Illecita intermediazione di manodopera - Rilascio del Durc - Insussistenza del requisito della subordinazione - Prova

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza del 19 novembre 2008, la Corte d’Appello di Torino, riformava la decisione resa dal Tribunale di Torino e respingeva la domanda proposta dalla C.T. S.p.A. nei confronti dell’INPS avente ad oggetto l’accertamento della non debenza e la restituzione delle somme alla stessa addebitate dall’Istituto ed a questo versate ai soli fini del rilascio del DURC a titolo di omessa contribuzione e relative sanzioni a seguito della contestazione di illecita intermediazione di manodopera elevatale dalla Guardia di Finanza con il verbale ispettivo del 21.10.2005.

La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto non assolto dalla Società, la cui domanda era fondata soltanto sul provvedimento di archiviazione dell’Agenzia delle Entrate, non opponibile all’Istituto, l’onere, su di essa incombente, della prova dell’insussistenza del requisito della subordinazione e, quindi, della natura indebita del versamento effettuato all’Istituto medesimo.

Per la cassazione di tale decisione ricorre la Società, ora rappresentata da nuovo difensore munito di procura rilasciata in calce all’atto di costituzione, affidando l’impugnazione a sette motivi, cui resiste, con controricorso, l’INPS.

 

Motivi della decisione

 

I sette motivi su cui la Società ricorrente articola l’impugnazione proposta sono tutti intesi a rilevare la non conformità a diritto e l’incongruità logica della pronunzia resa dalla Corte territoriale sotto il profilo della esatta ripartizione dell’onere della prova e comunque della rilevanza e della corretta valutazione dei presupposti di fatto emergenti dal verbale elevato a carico della Società dalla Guardia di Finanza per essere questa incorsa in fattispecie di illecita intermediazione di manodopera legittimanti il credito contributivo azionato dall’INPS.

In particolare, la Società ricorrente con i primi tre motivi, tutti posti sotto la rubrica "Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.", lamenta, con riferimento al regime dell’onere della prova operante in relazione all’azione di ripetizione dell’indebito con accertamento negativo circa la sussistenza della pretesa creditoria dell’Ente previdenziale, l’erroneità dell’attribuzione dell’onere della prova in capo ad essa attrice in difetto della ravvisabilità nel verbale ispettivo di fatti concreti a fondamento della pretesa dell’Istituto (primo motivo), della ritenuta inversione dell’onere della prova a fronte del mero rinvio operato dall’Istituto ai fatti oggetto di ispezione quali risultanti dal relativo verbale (secondo motivo), dell’imputazione ad essa Società del mancato assolvimento dell’onere della prova a fronte dell’evenienza qui verificata che le risultanze istruttorie comunque acquisite al processo fossero insufficienti a provare i fatti posti a fondamento della pretesa.

I motivi dal quarto al settimo sono, dal canto loro, sostanzialmente intesi a sollevare la medesima censura sotto il profilo del vizio di motivazione, dedotto con riguardo all’accollo dell’onere probatorio in capo alla Società a fronte della specificazione degli elementi di fatto per relationem al verbale ispettivo operato prescindendo dalla circostanza che nella specie questo proveniva non dallo stesso Istituto bensì della Guardia di Finanza (quarto motivo); con riguardo all’omessa valutazione, a fronte dell’accolto orientamento volto ad onerare essa Società della prova dell’insussistenza dei fatti posti a fondamento della pretesa dell’Istituto, dei contrari rilievi svolti dalla Società medesima nei propri atti difensivi (quinto motivo); con riguardo, alla mancata valutazione delle difese in diritto svolte da essa Società in ordine alla valenza degli indici presuntivi della subordinazione indicati nel verbale ispettivo (sesto motivo); con riguardo alla conclusione cui approda di ritenere sufficienti le risultanze del verbale ispettivo a fondare la pretesa dell’Istituto a motivo della mancata offerta da parte della Società della prova negativa dell’insussistenza dell’obbligo contributivo.

Tutti i motivi formulati, che, per la loro stretta connessione come sopra evidenziata, ben possono essere trattati congiuntamente, devono ritenersi infondati, risultando l’applicazione della regola sulla ripartizione dell’onere della prova operata dalla Corte territoriale, in relazione all’azione de qua, di ripetizione dell’indebito con accertamento negativo delle pretese dell’ente previdenziale, conforme all’orientamento in merito espresso da questa Corte (cfr. Cass. 9.6.2008, n. 15162) secondo cui "chi agisce nei confronti di ente previdenziale per ottenere, previo accertamento negativo della natura subordinata dei rapporti di lavoro con lui intercorsi, la ripetizione dei contributi previdenziali, che risultano di conseguenza, indebitamente versati, ha l’onere di provare il fatto negativo, quale, appunto, la negazione della natura subordinata degli stessi rapporti di lavoro, sul quale riposa la inesistenza della causa debendi, che concorre ad integrare la fattispecie costitutiva dell 'azione di ripetizione di indebito oggettivo" non soffrendo la regole generale di cui all’art. 2697 c.c. eccezione alcuna in relazione alla circostanza che la prova abbia ad oggetto un fatto negativo, atteso che la dimostrazione di un fatto non avvenuto ben può essere fornita mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario o mediante presunzioni dalle quali possa desumersi il fatto negativo (cfr., a riguardo, Cass. 18487/2003).

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 100,00 per esborsi ed euro 5.000,00 per compensi, oltre accessori di legge.