Giurisprudenza - TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE LAZIO - Sentenza 17 novembre 2015, n. 4733

Previdenza - Trattamento pensionistico denominato "Opzione Donna" - Erogazione - Requisito contributivo

 

Fatto

 

1. Con ricorso notificato all’INPS ed al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in data 27 marzo 2015 e depositato il successivo 13 aprile 2015, le ricorrenti propongono una class action per vedersi riconoscere l’obbligo giuridico delle due Amministrazioni ad erogare il trattamento pensionistico denominato "Opzione Donna" previsto in via sperimentale dall’art. 1, comma 9 della legge n. 243 del 2004 per le donne che avessero maturato il requisito contributivo pari o superiore a trentacinque anni ed un’età pari o superiore ai 57 anni per le lavoratrici dipendenti e pari o superiore ai 58 anni per le lavoratrici autonome o con contribuzione mista.

Espongono che tra le date del 27 ottobre 2014 e del 3 novembre 2014 hanno prodotto sia all’INPS sia al Ministero del Lavoro una diffida ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. n. 198 del 2009, chiedendo di revocare o modificare in autotutela le Circolari n. 35 e n. 37 del 2012 confermando l’applicazione dell’Opzione Donna entro giorni 90, rimanendo tuttavia l’INPS completamente inerte.

Anzi quest’ultimo adottava il messaggio interno n. 9340 del 2 dicembre 2014, con il quale evidenziandosi perplessità in ordine alla liquidazione del trattamento pensionistico di anzianità secondo regole di calcolo del sistema contributivo (cd regime sperimentale donna), anche a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 24, comma 14 del d.l. n. 201 del 2011 convertito con modificazioni dalla legge n. 214 del 2011 che ha fatto salva tale facoltà, l’Istituto disponeva che "Eventuali domande di pensione di anzianità in regime sperimentale presentate dalle lavoratrici che perfezionano i prescritti requisiti anagrafici e contributivi entro il 31 dicembre 2015, ancorché la decorrenza della pensione si collochi oltre la medesima data, non devono essere respinte, ma tenute in apposita evidenza" e concludeva riservandosi di fornire ulteriori istruzioni sulle modalità di lavorazione delle predette domande una volta ricevuti i chiarimenti dal Ministero del Lavoro.

2. Avverso tale disposizione oltre che le due circolari sopra citate le ricorrenti propongono le doglianze meglio oltre esposte ed esaminate.

Concludono con le domande indicate in epigrafe cui aggiungono l’accertamento della illegittimità incidenter tantum delle due circolari INPS n. 35 e n. 37 del 2012 e per disporre ex art. 4, comma 3 del d.lgs. n. 198/2009 la trasmissione della eventuale sentenza di accoglimento, dopo il suo passaggio in giudicato, agli organismi di regolazione e di controllo preposti al settore interessato, alla Commissione ex art. 13 e 14 del d.lgs. n. 150/2009 ed alla Procura regionale della Corte dei Conti nel caso in cui emergano profili di danno all’erario.

3. Hanno prodotto atto di intervento ad adiuvandum altre donne destinatarie della cd. Opzione Donna, sostenendo di trovarsi nella medesima situazione giuridica che ha originato l’azione collettiva e che si trovano cioè ad avere ricevuto una risposta negativa dall’INPS oppure vedono sospesa sine die la loro situazione per effetto del messaggio dell’INPS n. 9304 del 2014 e concludono argomentando sulla base delle stesse doglianze delle ricorrenti.

4. Si sono costituiti in giudizio il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, nonché l’INPS che ha eccepito vari profili di inammissibilità della class action ed ha rassegnato conclusioni opposte a quelle delle ricorrenti, nonché delle intervenienti ad adiuvandum.

5. Dopo ampia discussione il ricorso è stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 6 ottobre 2015.

 

Diritto

 

1. In via preliminare vanno esaminate le eccezioni proposte dall’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale.

1.1. L’Istituto ha opposto che l’azione disciplinata dall’art. 1 del d.lgs. 20 dicembre 2009, n. 198 è volta a perseguire l’obiettivo di "ripristinare il corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un servizio" ed è giustificata dalla "lesione diretta, concreta ed attuale dei propri interessi", laddove le ricorrenti non offrono alcuna dimostrazione del loro interesse ad agire né del fatto di avere subito una lesione dei loro diritti addebitabile all’INPS.

L’eccezione va respinta in quanto agli atti di causa le ricorrenti. che hanno tutte maturato l’età anagrafica per poter usufruire della cd. Opzione Donna come dimostrato dal codice fiscale a fianco di ognuna riportato, hanno anche prodotto l’estratto conto contributivo e le domande di pensione presentate e corredate o meno dalla eventuale risposta da parte dell’INPS.

1.2. Ma va respinta anche la seconda eccezione con la quale l’Istituto ha contestato che dal ricorso non emerge se le donne che hanno sottoscritto la diffida richiamata in ricorso sono le stesse che hanno presentato la class action, con conseguente sua improcedibilità.

Infatti la condizione per la presentazione della speciale impugnativa è costituita dalla diffida che il ricorrente preventivamente deve notificare all’amministrazione o al concessionario affinché questi ultimi, nel termine di novanta giorni, attuino gli interventi utili alla soddisfazione degli interessati ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. n. 198 del 2009.

Ora la diffida richiamata in ricorso è stata notificata da 261 donne in date varie a partire tra il 27 ottobre 2014 fino al 3 novembre 2014 e la circostanza opposta che i soggetti che l’hanno inoltrata possono non coincidere con quelli che hanno ricorso non può giungere a penalizzare, all’interno del gruppo di questi ultimi, coloro che invece l’hanno presentata, oltre che essere smentita ad un primo sommario raffronto tra i nominativi del ricorso e quelli della diffida allegata in atti: A. D. M., A. I., A. R., B. D., B. M. R., B. M. G., B. C., C. P., C. P., D. M. G., Z. V. sono presenti sia nella diffida del 27 ottobre 2014, sia nel ricorso.

La norma di cui all’art. 3 d.lgs. n. 198 non prescrive che tutti coloro che intendono promuovere una class action debbano coincidere con tutti quelli che hanno presentato la diffida, ma stabilisce che quest’ultima è condizione necessaria e sufficiente per la proposizione del ricorso, laddove potrebbe benissimo verificarsi che una parte dei soggetti che hanno presentato la diffida poi non sottoscriva il ricorso.

1.3. L’Istituto ha poi eccepito l’inammissibilità del ricorso siccome derivante dal tenore dell’art. 1 del decreto legislativo citato stante il quale la class action può essere proposta per "la mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento" e poiché non è dato sapere quale regolamento o atto amministrativo generale l’istituto avrebbe avuto il dovere di emanare, né in ricorso viene specificato alcunché, appunto ne discenderebbe l’inammissibilità dell’azione collettiva.

L’eccezione sarà contestata unitamente all’unica doglianza che appare accoglibile e con essa verrà esaminata anche la quarta eccezione di inammissibilità con la quale l’Istituto ha opposto che non sussisterebbe neppure la lesione diretta, concreta ed attuale degli interessi di alcun soggetto come derivante dalla violazione degli obblighi contenuti nella Carta di Servizi.

2. Ciò premesso in ordine alle eccezioni proposte, il ricorso va accolto come nel prosieguo esaminato.

2.1. Con la prima doglianza le ricorrenti fanno valere la violazione di legge e la contraddittorietà con precedenti atti dello stesso istituto.

Rappresentano che la illegittima applicazione delle circolari n. 35 e n. 37 del 2012, pur in presenza del regime pensionistico sperimentale di cui all’art. 1, comma 9 della legge n. 243 del 2004, finisce per modificare il termine del 31 dicembre 2015 di accesso al trattamento pensionistico nei confronti di lavoratrici che maturano il requisito contributivo di 35 anni e quello anagrafico di 57 anni (per le lavoratrici dipendenti) o di 58 anni (per le lavoratrici autonome), applicando illegittimamente le finestre mobili e la speranza di vita con l’effetto di anticipare la maturazione dei requisiti di età e contributivi al 2014, in spregio del termine dalla norma stabilito per il regime sperimentale detto Opzione donna.

Rappresentano che la situazione è da considerarsi molto più grave in quanto molte di loro sono prive di occupazione o perché esodate o in quanto dipendenti di ditte fallite e quindi non guadagnano né lo stipendio né la pensione.

Rappresentano ancora che l’INPS viola palesemente il termine di concludere il procedimento stabilito dall’art. 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241.

2.2. Con la seconda doglianza sostengono la violazione degli obblighi contenuti nella Carta dei Servizi INPS.

Le ricorrenti rappresentano che a pagina 17 della Carta dei Servizi, l’INPS ha diramato l’istruzione secondo cui "i tempi indicati nelle tabelle allegate decorrono dalla data di presentazione agli Uffici INPS della domanda/istanza o dalla data di decorrenza se successiva e si riferiscono a domande/istanze correttamente compilate e complete della documentazione necessaria. Le Direzioni regionali, tenuto conto delle realtà socio ambientali e dei carichi di lavoro, sentite le parti sociali coinvolte, potranno proporre tempi per l’emanazione del provvedimento, diversi da quelli prospettati in tabella ma in ogni caso sempre inferiori a quelli stabiliti dalla legge e dal regolamento di attuazione della legge n. 241/1990."

Rilevano che la Tabella che segue detta istruzione stabilisce che il termine per la pensione di anzianità è fissato in 30 giorni dalla decorrenza della prestazione, i termini per la certificazione del diritto a pensione e quello per l’estratto conto certificativo sono di 15 giorni dalla domanda, mentre l’INPS li sta violando tutti in special modo con il messaggio interno a prot. n. 9304/2014 di atipica, abnorme sospensione sine die della lavorazione delle pratiche del regime sperimentale.

2.3. Con la terza deducono la violazione degli standard di accessibilità, tempestività e trasparenza, affidabilità e utilità di cui all’Allegato 3 della determinazione INPS n. 67 del 4 maggio 2012 recante "Standard di qualità dei servizi 2012".

Le interessate osservano che, anche a seguito del messaggio interno n. 9304 del 2 dicembre 2014 la condotta serbata dall’INPS viola gli standards in epigrafe, avendo fornito risposte di reiezione ad alcune delle domande di pensione, quando il detto messaggio disponeva di tenerle sospese, ancorché illegittimamente.

2.4. Con la quarta doglianza infine sostengono la violazione del generale canone di buon andamento imparzialità dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 della Costituzione.

Le interessate lamentano che nella interpretazione ed applicazione del regime sperimentale di cui all’art. 1, comma 9 della legge n. 243 del 2004 fatto dall’INPS in base alle circolari del 2012 si ha che la data del 31 dicembre 2015 dovrebbe intendersi come termine ultimo per la liquidazione del trattamento pensionistico e non come termine entro il quale debbano essere raggiunti i requisiti di legge, anagrafico e contributivo a prescindere dall’apertura della finestra di decorrenza. Fanno l’esempio che se una lavoratrice dipendente raggiunge il requisito anagrafico dei 57 anni il 25 agosto 2015, oltre il requisito contributivo dei 35 anni di lavoro, applicando la finestra mobile di 12 mesi della legge n. 78 del 2010 la decorrenza della sua pensione si collocherebbe oltre il 31 dicembre 2015 e quindi non potrebbe accedere al regime sperimentale, con conseguente disparità di trattamento rispetto alle lavoratrici che hanno potuto beneficiare del regime sperimentale di Opzione Donna fino alla emanazione delle due circolari dell’INPS del 2012.

3. Il ricorso va accolto limitatamente alla seconda doglianza con cui le interessate fanno valere la violazione della Carta dei Servizi per avere l’Istituto del tutto inopinatamente collocato in sospensione sine die le domande delle richiedenti l’applicazione del particolare regime sperimentale denominato "Opzione Donna" di cui all’art. 1, comma 9 della legge n. 243 del 2004.

Riportandola alla previsione normativa, la class action proposta consente ai "titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per un pluralità di utenti e consumatori" di agire in giudizio nei confronti delle amministrazioni pubbliche e dei concessionari di servizi pubblici, se derivi una lesione diretta, concreta ed attuale dei propri interessi dalla violazione, tra le altre, di obblighi contenuti nelle carte di servizi.

Le ricorrenti, per come dimostrato in atti col cospicuo deposito delle domande di pensione, sono titolari ratione temporis del cd. regime pensionistico speciale denominato "Opzione Donna" del quale chiedono la corretta applicazione anche alle loro fattispecie in attuazione di quanto espressamente stabilito dalla Carta di Servizi INPS.

In particolare il regime dalle stesse invocato era attivato dall’art. 1, comma 9 della legge n. 243 del 2004 che stabiliva quanto segue: "In via sperimentale, fino al 31 dicembre 2015, è confermata la possibilità di conseguire il diritto all’accesso al trattamento pensionistico di anzianità, in presenza di un’anzianità contributiva pari o superiore a trentacinque anni e di un’età pari o superiore a 57 per le lavoratrici dipendenti e a 58 anni per le lavoratrici autonome, nei confronti delle lavoratrici che optano per una liquidazione del trattamento medesimo secondo le regole di calcolo del sistema contributivo previste dal decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 180. Entro il 31 dicembre 2015 il Governo verifica i risultati della predetta sperimentazione, al fine di una eventuale prosecuzione".

La disposizione è molto chiara nella sua previsione di un sistema sperimentale di pensionamento delle lavoratrici dipendenti ed autonome al raggiungimento di determinati requisiti di età e contributivi ed è anche molto chiara nel termine di prima applicazione che è il 31 dicembre 2015, la cui estensione avrebbe dovuto essere valutata dal Governo.

L’Istituto, invece, a fronte di tale chiara disposizione normativa e pur riconoscendo che l’art. 24, comma 14 del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 convertito con modificazioni in legge 22 dicembre 2011, n. 214 (noto come decreto salva Italia) "ha fatto salva tale facoltà" di cui all’art. 1, comma 9/L. n. 243, con la nota a prot. 9304 del 2 dicembre 2014 ha diramato l’istruzione secondo cui le "eventuali domande di pensione di anzianità in regime sperimentale presentate dalle lavoratrici che perfezionano i prescritti requisiti anagrafici e contributivi entro il 31 dicembre 2015, ancorché la decorrenza della pensione si collochi oltre la medesima data, non devono essere respinte ma tenute in apposita evidenza."

Fermo restando che l’Istituto su questa "sospensione" non ha chiarito nulla e che appare abbastanza evidente dall’ultimo periodo dell’art. 1, comma 9 della L. n. 243/2004 sopra riportato, che tale manchevolezza possa essere stata determinata dalla esigenza di valutare l’estensione temporale del termine dal 31 dicembre 2015 (come parrebbe dall’Appunto per il Capo di Gabinetto prodotto dal competente direttore generale del Ministero del lavoro depositato all’odierna udienza), tuttavia il mantenimento in evidenza delle domande presentate in base al regime sperimentale di che trattasi finisce gioco forza per violare i termini dettati dalla Carta dei Servizi dell’INPS che prevedono per il rilascio della pensione di vecchiaia trenta giorni dalla decorrenza della prestazione o dalla presentazione della domanda se successiva e per la pensione di anzianità sessanta giorni dalla decorrenza della prestazione; e termini ancor più brevi per il rilascio dell’estratto conto certificativi e per la certificazione del diritto a pensione che sono ridotti a quindici.

Né l’Istituto ha fornito alcun riscontro alla diffida presentata dalle ricorrenti e non si può considerare tale la citata nota n. 9304 del 2 dicembre 2014 ancorché successiva alla diffida collettiva presentata in date comprese tra il 27 ottobre 2014 ed il 3 novembre 2011, perché la citata istruzione non recava alcun riferimento ad essa, anche se esprimeva il sorgere di perplessità in merito alla portata della norma di cui al d.l. 201 del 2011 il cui articolo 24 dettava disposizioni in materia pensionistica introducendo modificazioni al previgente sistema ed in alcuni casi anche confermando, appunto, i requisiti contributivi e di età dei richiedenti.

Ma non si giustifica la disposta sospensione neppure se si voglia aver riguardo alle numerose disposizioni normative che tra l’entrata in vigore del cd. Decreto salva Italia e la data di adozione della nota a prot.n. 9304 del 2 dicembre 2014 si sono succedute andando anche a modificare i termini o le modalità di attribuzione dei trattamenti pensionistici a partire dall’art. 1, comma 231 della legge finanziaria del 24 dicembre 2012, n. 228, dall’art. 1, comma 194 della legge di stabilità 2014 del 27 dicembre 2013, n. 147 e dall’art. 2 comma 1 della legge 10 ottobre 2014, n. 147 recante "Modifiche alla disciplina dei requisiti per la fruizione delle deroghe riguardanti l’accesso al trattamento pensionistico" tutte ratione temporis certamente conosciute dall’INPS alla data del 2 dicembre 2014 e che potevano indirizzare l’azione amministrativa o quanto meno consentire una risposta alle istanze delle ricorrenti anche se negativa. Il che comporta che la fattispecie dedotta in giudizio sia precisamente inquadrabile tra quelle per le quali il legislatore del 2009 ha introdotto nel nostro ordinamento la class action, secondo i parametri individuati dall’art. 1 ed allo scopo di raggiungere una sempre maggiore efficienza delle amministrazioni, principio - quello di efficienza - già peraltro canonizzato dalla legge n. 241 nel lontano 1990.

4. Per il resto le rimanenti prospettazioni non possono essere condivise siccome rivolte ad ottenere la disapplicazioni di due circolari la n. 35 e la n. 37 del 2012 più volte richiamate dalle ricorrenti, laddove, varrà forse la pena di rammentare che il sindacato di legittimità del giudice amministrativo è rivolto proprio all’annullamento dell’atto amministrativo, in special modo se costituito da un provvedimento a carattere generale che riguarda istruzioni e chiarimenti che dovrebbero applicarsi ad una pluralità indistinta di soggetti.

E tale profilo esula dalla class action, come esula pure quello prospettato per quarto con il quale le ricorrenti mirano ad ottenere dal giudicante una pronuncia di accertamento del loro diritto a pensione in quanto in possesso dei requisiti per il regime sperimentale dell’Opzione Donna, profilo sul quale per altro essendo cessato il rapporto di lavoro delle interessate si palesa l’inammissibilità della censura per difetto di giurisdizione.

5. Non può darsi luogo alle pur richieste sanzioni previste dall’art. 4, comma 3 del d.lgs. n. 198 del 2009 quali l’invio agli organismi di regolazione e controllo del settore interessato, alla Commissione ed all’Organismo di cui alla legge n. 150 del 2009, alla procura regionale della Corte dei Conti per i casi in cui emergono ipotesi di danno all’erario per l’eventuale adozione dei provvedimenti di competenza, a causa del susseguirsi delle norme che hanno interessato il settore pensionistico finendo per coinvolgere anche il particolare regime sperimentale dell’Opzione Donna introdotto dall’art. 1, comma 9 della legge n. 243/2004, confermato dal d.l. n. 201/2011 cd. Decreto salva Italia a seguito del quale si è succeduta una non semplice sequenza di disposizioni normative pure sopra citate.

Ciò fermo restando, il ricorso va accolto in parte con l’effetto che l’INPS dovrà adottare i necessari provvedimenti per fornire una risposta alle istanze delle interessate a mente della Carta di Servizi della quale lo stesso Istituto si è peraltro dotato.

5. L’accoglimento solo parziale del ricorso consente di ritenere equi i motivi per la compensazione delle spese di giudizio tra le parti costituite.

 

P.Q.M.

 

Definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte e per l’effetto dispone come in motivazione indicato e per il resto lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.