Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 13 novembre 2015, n. 23214

Tributi - Tributo speciale per il deposito in discarica di rifiuti solidi - Materiali depositati - Terre e rocce da scavo - Qualificazione di rifiuti speciali

 

Svolgimento del processo

 

Il Consorzio C. (Consorzio per l’Alta Velocità Emilia Toscana) propose ricorso dinanzi alla CTP di Firenze avverso avvisi di accertamento ed irrogazione delle sanzioni nn. 148, 149, 150 e 151, aventi ad oggetto il pagamento del "tributo speciale per il deposito in discarica di rifiuti solidi, di cui all’art. 3 commi 24 e 25 della L. 28/12/1995, n. 549 e le sanzioni connesse a violazioni della disciplina del predetto tributo, per conferimenti, nei siti indicati con le sigle DT 25 "Il Casone" e DT 6 bis "Marzano", di terra e rocce da scavo nel periodo ottobre 1998 - settembre 2000, provenienti dai lavori di realizzazione della tratta Firenze - Bologna della linea ferroviaria dell’Alta Velocità.

Gli atti impositivi furono notificati dalla Regione Toscana sulla base di verbale della Polizia Provinciale di Firenze del 27 ottobre 2000, al Consorzio e, nella qualità di ritenuti coobbligati in solido, anche a tecnici ed amministratori del Consorzio (A.R., M.L., B.C., M.C., G.G., C.S., B.R.), e da loro impugnati ugualmente con separati ricorsi dinanzi alla CTP di Firenze.

Essa, riuniti i ricorsi, li accolse, escludendo che i materiali depositati potessero essere qualificati come rifiuti, trattandosi di materiali di riutilizzo non rientranti, inoltre, nella categoria dei rifiuti speciali, non essendo stati superati i limiti di concentrazione d’inquinanti.

Avverso detta pronuncia propose appello la Regione Toscana dinanzi alla locale Commissione tributaria regionale, che, con sentenza n. 5/1/09, depositata il 22 gennaio 2009, rigettò l’appello, confermando la sentenza impugnata.

Ricostruita la normativa succedutasi nel tempo, la CTR motivò il proprio convincimento in forza dell’essenziale considerazione che la normativa applicabile fosse quella, interna, desumibile dagli artt. 6, 7 e 8 del D.Lgs. n. 22/1997, come modificati dall’art. 1 del D.Lgs. n. 389/1997, alla stregua della quale assumeva che terre e rocce da scavo non potevano essere considerate rifiuti, se non pericolose.

Avverso detta sentenza ricorre per cassazione la Regione Toscana in forza di quattro motivi (rubricati come cinque).

Il Consorzio e gli altri intimati resistono ciascuno con controricorso e ricorso incidentale affidati per ciascuno a due motivi, ai quali segue la riproposizione delle questioni ulteriori già poste al giudice tributario sulle quali esso non si è pronunciato, per l’ipotesi che, accolto il ricorso principale e rigettati i ricorsi incidentali, la Corte ritenesse di poter decidere la controversia nel merito, con richiesta di annullamento degli atti fiscali in giudizio.

A detti ricorsi incidentali la ricorrente principale resiste a sua volta con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo la ricorrente principale deduce, in relazione all’art. 360 1° comma n. 3 c.p.c., "violazione degli artt. 6, 7 e 8 del D.Lgs. 22/1997, come modificato "dal D.Lgs. 8.11.1997, n. 389 ".

Con detta censura la ricorrente assume che, pur nell’ambito di quanto affermato dalla CTR, secondo cui, avuto riguardo al periodo di riferimento dei conferimenti di materiale (1998 - 2000), si debba applicare la disciplina degli artt. 6, 7 e 8 del D.Lgs. n. 22/1997, come modificata dal D.Lgs. n. 389/1997, per escludere le terre e rocce da scavo dalla categoria dei rifiuti occorre che il materiale non sia abbandonato, cioè è necessario che il produttore/ detentore del materiale medesimo abbia fornito la prova della riutilizzazione o della volontà di riutilizzazione del materiale, non essendo all’uopo sufficiente, come invece ritenuto dalla sentenza impugnata, la non pericolosità delle terre e rocce da scavo medesime.

2. Con il secondo motivo la Regione Toscana deduce, sempre in relazione all’art. 360 1° comma, n. 3 c.p.c., "violazione degli arti. 6, 7 e 8 del D.Lgs. 22/1997, come modificato "dal D.Lgs. 8.11.1997, n. 389, anche in relazione a quanto disposto dalla direttiva 75/442/CE come modificata dalla direttiva 91/156/CE, nonché violazione dell’art. 249 del Trattato CE e dell’art. 11 e 117 co. 1 della Costituzione", nella parte in cui la decisione impugnata ha ritenuto applicabile la normativa interna come sopra richiamata, pur ritenendo che la stessa non sia conforme alla stessa direttiva alla quale avrebbe dovuto dare attuazione.

La sentenza impugnata, infatti, secondo l’Amministrazione regionale ricorrente, avrebbe dovuto, in applicazione degli artt. 11 e 117, comma 1 della Cost. e 249 3° comma del Trattato CE (ora 288 3° comma TFUE) o interpretare la norma italiana alla luce della normativa comunitaria, così da conseguire il risultato da questa perseguito, o disapplicare la norma nazionale non conforme, applicando direttamente la fonte comunitaria, chiara, precisa e dettagliata, ma non, come in concreto avvenuto, decidere la controversia esclusivamente "sulla scorta della normativa interna", sulla base dell’assunto della "inapplicabilità delle fonti comunitarie".

3. Con il terzo motivo la ricorrente principale censura la sentenza impugnata, sempre in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3 c.p.c., per "ulteriore violazione della direttiva 75/442/CE come modificata dalla direttiva 91/156/CE, nonché violazione dei commi 17, 18 e 19 dell’art. 1 della legge 443/2001, nel testo novellato dalla legge 306/2003", deducendo l’erroneità in diritto della tesi espressa dalla CTR, che, negando alla Legge n. 443/2001, nella sua prima versione, natura di legge d’interpretazione autentica, ritiene di non dovere tener conto della nuova versione dell’art. 1 commi 17, 18 e 19 della stessa legge nel testo modificato dall’art. 23 della L. n. 306/2003, alla luce della quale, in conformità alle fonti comunitarie, avrebbe dovuto essere verificata l’attribuzione o meno al materiale in oggetto della categoria di rifiuto.

4. Con il quarto motivo la ricorrente principale, in relazione all’art. 360 1° comma n. 5 c.p.c., deduce "omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio".

Nel ritenere - secondo la normativa considerata applicabile nella fattispecie - decisiva ai fini dell’esclusione della qualità di rifiuto la non pericolosità del materiale depositato nei siti in oggetto, la CTR non avrebbe esplicitato le ragioni della ritenuta non pericolosità delle rocce in oggetto, dando atto semplicemente del mancato assolvimento da parte dell’ente dell’onere della prova circa la natura non inquinata del materiale in questione.

5. Ciascuna controricorrente censura a propria volta la sentenza impugnata in forza di ricorso incidentale affidato a motivi di analogo tenore.

5.1. Con il primo il Consorzio e gli altri controricorrenti assumono la nullità della sentenza impugnata "nella parte in cui non si è pronunciata sulla doglianza formulata dal Consorzio in ordine all’esistenza di un giudicato esterno intervenuto in suo favore", essendo la sentenza in parte qua "viziata per violazione dell’art. 112, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c.", ciò con riferimento ad altra pronuncia della CTP di Firenze, la n. 95 depositata il 7 gennaio 2003 emessa tra le stesse parti in ordine al medesimo tributo, per la quale allegavano trattarsi di pronuncia fondata sui medesimi presupposti di fatto e di diritto.

5.2. Ulteriore motivo di nullità della sentenza impugnata è dedotto dai controricorrenti "nella parte in cui non si è pronunciata sulla doglianza" da ciascuno formulata in ordine all’illegittimità degli accertamenti impugnati per insufficiente indicazione delle modalità relative alla presentazione del ricorso", rilevandosi essere la sentenza in parte qua "viziata per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ .in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c.", segnatamente riguardo alla doglianza relativa al rigetto dei primi due motivi d’impugnazione proposti con i separati ricorsi dinanzi alla CTP di Firenze, motivi riproposti con l’atto di controdeduzioni ed appello incidentale, sia relativamente al "contenuto di garanzia" degli atti impugnati, sia al dedotto vizio di motivazione degli stessi.

6. La complessità della materia rende opportuno premettere agli esami dei rispettivi motivi di ricorso e controricorso incidentale una disamina del quadro normativo di riferimento, nei limiti in cui rileva ai fini della presente decisione.

Il tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi fu istituito dall’art. 3, commi 24 e 25 della L. 28 dicembre 1995, n. 549, "al fine di favorire la minore produzione di rifiuti e il recupero dagli stessi di materia prima ed energia". La norma in oggetto, a seguito della quale la Regione Toscana provvedeva ad istituire la c.d. ecotassa nel proprio territorio con L.R. n. 60 del 1996, rinviava, quindi, alla definizione dei rifiuti solidi quale contenuta dall’art. 2 del D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915.

La relativa disciplina dei rifiuti solidi urbani fu innovata dall’approvazione del c.d. decreto Ronchi (D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22), che all’art. 6 stabiliva che s’intende per rifiuto "qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi"; le tre attività alternativamente previste in capo al detentore sono state oggetto d’intervento d’interpretazione autentica da parte del legislatore, con l’art. 14 del D.Lgs. 8 luglio 2002, n. 138.

L’art. 7 del citato decreto n. 22/1997, in particolare, al comma 3° lett. b) qualificava come rifiuti speciali "I rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione, nonché i rifiuti pericolosi che derivano dalle attività di scavo".

L’art. 8 comma 2 lett. c) del D.Lgs. n. 22/1997 escludeva, peraltro, nella sua originaria formulazione, dalla categoria dei rifiuti "i materiali non pericolosi che derivano dall’attività di scavo", ma, a seguito di osservazioni al c.d. decreto Ronchi di cui alla nota della Commissione europea del 29 settembre 1997, n. 6465, con l’art. 1 comma 9 del D.Lgs. 8 novembre 1997, n. 389, fu disposta l’abrogazione del citato art. 8 comma 2 del D.Lgs. n. 22/1997. Successivamente, con l’art. 10 della L. 23 marzo 2001, n. 93, fu modificato l’art. 8 dello stesso decreto, disciplinante le ipotesi di esclusione dall’applicazione della predetta normativa, aggiungendosi tra queste, con l’inserzione della lettera f- bis) dopo la lettera f), quella riferita alle "terre e rocce da scavo destinate all’effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati, con esclusione di materiali provenienti da siti inquinati e da bonifiche con concentrazione di inquinanti superiore ai limiti di accettabilità stabiliti dalle norme vigenti.

L’art. 7 comma 3 lett. b) e l’art. 8 Io comma lett. f- bis) del D.Lgs. n. 22/1997 sono stati quindi oggetto d’interpretazione autentica dall’art. 1 commi 17, 18 e 19 della L. 21 dicembre 2001, n. 443, quale modificata dall’art. 23 della L. 31 ottobre 2003, n. 306.

Conviene, quindi, per chiarezza, espositiva, riportarne il testo, dapprima nella sua originaria formulazione e, di seguito, nel testo come novellato dal menzionato art. 23 della L. 31 ottobre 2003, n. 306.

Testo originario:

Comma 17. "Il comma 3, lettera b), dell’art. 7 ed il comma 1, lettera f- bis dell’articolo 8 del decreto legislativo n. 22 del 1997, si interpretano nel senso che le terre e rocce da scavo, anche gallerie, non costituiscono rifiuti e sono, perciò, escluse dall’ambito di applicazione del medesimo decreto legislativo, anche quando contaminate, durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle attività di escavazione, perforazione e costruzione, sempreché la composizione media dell’intera massa non presenti una concentrazione di inquinanti superiore ai limiti massimi previsti dalle norme vigenti.

Comma 18. "Il rispetto dei limiti di cui al comma 17 è verificato mediante accertamenti sui siti di destinazione dei materiali da scavo. I limiti massimi accettabili sono individuati dall’allegato 1, tabella 1, colonna B, del decreto del Ministero dell’Ambiente 25 ottobre 1999, n. 471, e successive modificazioni, salvo che la destinazione urbanistica del sito non richieda un limite inferiore".

Comma 19. "Per i materiali di cui al comma 17 si intende per effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati anche la destinazione a differenti cicli di produzione industriale, ivi incluso il riempimento delle cave coltivate, nonché la ricollocazione in altro sito, a qualsiasi titolo autorizzata dall’autorità amministrativa competente, a condizione che siano rispettati i limiti di cui al comma 18 e la ricollocazione sia effettuata secondo modalità di rimodellazione ambientale del territorio interessato".

Testo dell’art. 1 commi 17, 18 e 19 della L. n. 443/2001, novellato ex art. 23 della L. 31 ottobre 2003, n. 306.

Comma 17. "Il comma 3, lettera b), dell’art. 7 ed il comma 1, lettera f- bis) dell’art. 8 del decreto legislativo n. 22 del 1997, si interpretano nel senso che le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, non costituiscono rifiuti e sono, perciò, escluse dall’ambito di applicazione del medesimo decreto legislativo solo nel caso in cui, anche quando contaminate, durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle attività di escavazione, perforazione e costruzione siano utilizzate, senza trasformazioni preliminari, secondo le modalità previste nel progetto sottoposto a VIA" (valutazione d’impatto ambientale) "ovvero, qualora non sottoposto a VIA, secondo le modalità previste nel progetto approvato dall’autorità amministrativa competente previo parere dell’ARPA" (Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente) "sempreché la composizione media dell’intera massa non presenti una concentrazione di inquinanti superiore ai limiti massimi previsti dalle norme vigenti.

Comma 18. "Il rispetto dei limiti di cui al comma 17 può essere verificato in accordo alle previsioni progettuali anche mediante accertamenti sui siti di destinazione dei materiali da scavo. I limiti massimi accettabili sono individuati dall’allegato 1, tabella 1, colonna B, del decreto del Ministro dell’ambiente 25 ottobre 1999, n. 471, e successive modificazioni, salvo che la destinazione urbanistica del sito non richieda un limite inferiore".

Comma 19. "Per i materiali di cui al comma 17 si intende per effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati anche la destinazione a differenti cicli di produzione industriale, purché sia progettualmente previsto l’utilizzo di tali materiali, intendendosi per tale anche il riempimento delle cave coltivate, nonché la ricollocazione in altro sito, a qualsiasi titolo autorizzata dall’autorità amministrativa competente previo, ove il relativo progetto non sia sottoposto a VIA, parere dell’ARPA, a condizione che siano rispettati i limiti di cui al comma 18 e la ricollocazione sia effettuata secondo modalità di rimodellazione ambientale del territorio interessato. Qualora i materiali di cui al comma 17 siano destinati a differenti cicli di produzione industriale, le autorità amministrative competenti ad esercitare le funzioni di vigilanza e controllo sui medesimi cicli, provvedono a verificare, senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, anche mediante l’effettuazione di controlli periodici, l’effettiva destinazione all’uso autorizzato dei materiali; a tal fine l’utilizzatore è tenuto a documentarne provenienza, quantità e specifica destinazione".

L’art. 23-octies del D.L. 24 dicembre 2003, n. 355, convertito, con modificazioni nella L. 27 febbraio 2004, n. 47, ha poi stabilito che "l’art. 23 della legge 31 ottobre 2003, n. 306 si applica ai lavori in corso alla data del 30 novembre 2003 a decorrere dal 31 dicembre 2004".

Ancora il D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36, nel dare attuazione alla direttiva 1999/31/CEE relativa alle discariche di rifiuti, all’art. 2 comma 1 lett. g) ha previsto che per "discarica" s’intende l’area adibita a smaltimento rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo, compresa la zona interna al luogo di produzione dei rifiuti adibita allo smaltimento dei medesimi da parte del produttore degli stessi, nonché qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno".

L’art. 3 2° comma dello stesso decreto prevede che lo stesso non si applichi (lett. d) "al deposito di terra non inquinata ai sensi del decreto del Ministro dell’ambiente 25 ottobre 1999, n. 471 o di rifiuti inerti non pericolosi derivanti dalla prospezione ed estrazione, dal trattamento e dallo stoccaggio di minerali, nonché dall’esercizio di cave".

Giova ancora subito premettere che la CTR aveva ritenuto di sollevare, in pendenza del giudizio, poi deciso dalla sentenza in questa sede impugnata, questione di legittimità costituzionale del successivo art. 186 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, che, nel contesto del nuovo Codice dell’ambiente, aveva ridisciplinato la materia delle "terre e rocce da scavo". Il giudice delle leggi, con ordinanza 30 aprile 2008, n. 121, aveva rimesso al giudice remittente la controversia per la valutazione della sopravvenienza delle ulteriori modifiche introdotte dall’art. 2 comma 23 del D.Lgs. n. 4 del 16 gennaio 2008 (cui sono succedute ulteriori modifiche sulle quali non occorre soffermarsi).

Detta questione si poneva in effetti in realtà ab origine come irrilevante, stante la chiara inapplicabilità di detta normativa alla controversia in esame, riguardante deposito di terra e rocce da scavo nel periodo ottobre 1998 - settembre 2000, nei sopra indicati siti autorizzati, cui ha fatto seguito la notifica degli avvisi di accertamento e degli atti d’irrogazione delle sanzioni il 29 ottobre 2001.

Sicché il vero nodo della controversia s’innesta sull’applicabilità o meno della disciplina interna seguita all’approvazione della legge d’interpretazione autentica di cui alla L. n. 443/2001 (art. 1 commi 17, 18 19), se nell’originaria formulazione, ovvero nelle versioni di seguito susseguitesi e sopra riportate.

Ed in proposito è dato subito cogliere che il giudice tributario d’appello, pur confermando la decisione di primo grado che aveva accolto i ricorsi del Consorzio e dei suoi amministratori e tecnici, se ne è discostato nella parte motiva, atteso che, mentre la CTP aveva ritenuto applicabile nella fattispecie in esame la succitata normativa del 2001 nella sua originaria versione, a conclusione diversa è pervenuta la decisione della CTR, che ha ritenuto, in effetti, che la decisione dovesse ancorarsi ad una nozione di rifiuto desumibile dalla sola disciplina interna alla luce del D.Lgs. n. 22/1997, come modificato dall’art. 1 comma 9 del D.Lgs. n. 389/1997.

Detta statuizione - che ha condotto la decisione impugnata a concludere nel senso che, alla luce della sola normativa nazionale ritenuta applicabile, costituita dagli artt. 6, 7 e 8 del D.Lgs. n. 22/1997, come modificati dall’art. 1 del D.Lgs. n. 389/1997, le terre e rocce da scavo di cui alla presente controversia, non potendo qualificarsi rifiuti speciali pericolosi secondo l’anzidetta normativa, fossero di per ciò solo non sussumibili nella generale categoria normativa di "rifiuti" - è erronea in diritto.

7. La relativa valutazione va condotta nel quadro dell’esame del terzo motivo posto a base del ricorso principale, erroneamente rubricato come quarto.

Ed invero questa Corte, con la sentenza Cass. civ. sez. V 7 settembre 2010, n. 19145, resa tra alcune delle stesse parti del presente giudizio, tra le quali Regione e Consorzio, riguardo ad attività di deposito in siti autorizzati di terre e rocce da scavo in periodo (1998 -1999) in parte coincidente con quello oggetto di accertamento nella presente controversia, ma in diverso sito (DT 29 Capannina), espressamente ebbe ad affermare l’applicabilità delle correlative disposizioni del c.d. decreto Ronchi come innanzi richiamate alla luce dell’interpretazione autentica fattane dall’art. 1 commi 17, 18 e 19 della L. n. 443/2001 nella sua originaria formulazione come sopra riportata, riconoscendo un contenuto innovativo alle disposizioni del 2003 che ne hanno modificato il contenuto.

Nella fattispecie in esame si tratta di attività di deposito, nei siti sopra indicati DT 25 "Il Casone" e DT 6 bis "Marzano", del materiale costituito da terre e rocce da scavo proveniente dai lavori dell’Alta Velocità nella tratta Firenze - Bologna avvenuta tra l’ottobre 1998 ed il settembre 2000, con emanazione degli atti impositivi il 29 ottobre 2001.

I controricorrenti contestano che le disposizioni dell’art. 1 commi 17, 18 e 19 della L. n. 443/2001 possano trovare applicazione nella presente controversia, sia pure nella loro originaria formulazione, poiché, anche ove in ipotesi si convenga (ciò che in realtà essi contestano) sulla natura d’interpretazione autentica, di dette disposizioni, degli artt. 7 e 8 del D.Lgs. n. 22/1997, si tratterebbe pur sempre di norme, quelle della L. n. 443/2001, non ancora entrate in vigore all’epoca dei fatti di cui si discute. La tesi non merita di essere condivisa, dovendo ribadirsi l’orientamento sopra richiamato espresso nella citata Cass. n. 19145/2010. In realtà la normativa del 2001, con il duplice succitato intervento di cui alla L. 93/2001 (art. 10) ed all’art. 1 commi 17, 18 e 19 della L. n. 443/2001, fu emanata al chiaro scopo d’intendere in senso più restrittivo l’ambito di esclusione dalla normativa dei rifiuti dei materiali costituiti da terre e rocce da scavo. Il mero precedente intervento normativo di cui al D.Lgs. n. 389/1997, che aveva disposto l’abrogazione dell’art. 8 2° comma del c.d. decreto Ronchi, pur originato, come si è visto, dalla richiamata nota della Commissione europea, aveva in realtà creato le condizioni per ampliare il divario tra la normativa nazionale del D.Lgs. n. 22/1997, pur emanato, espressamente, per quanto qui rileva, in attuazione delle direttive 91/156/CEE, modificativa della direttiva 75/442/CEE, sui rifiuti, e della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi, e la normativa comunitaria, non essendo chiaro se, in conseguenza della disposta abrogazione dell’art. 8 2° comma del D.Lgs. n. 22/1997, le terre e rocce da scavo dovessero essere considerati rifiuti solo se pericolosi o anche se non pericolosi.

In tale quadro, diversamente da quanto argomentato dai controricorrenti, deve riconoscersi l’effettiva portata di norme d’interpretazione autentica delle disposizioni di cui all’art. 7 3° comma lett. b) ed 8 comma 1 lett. f- bis del D.Lgs. n. 22/1997, da attribuirsi all’art. 1 comma 17 e comma 19 della L. n. 443/2001 nel suo testo originario, sicché ne è legittima l’applicazione retroattiva sin dall’entrata in vigore delle disposizioni interpretate in via autentica dal legislatore, nel rispetto dei limiti generali, in primo luogo il parametro di ragionevolezza, che renda conformi a Costituzione ed all’art. 6 della Convenzione europea della salvaguardia dei diritti le norme con efficacia retroattiva, nel consolidato insegnamento della Corte costituzionale. La sentenza impugnata - pur dando atto che nelle more, in procedura d’infrazione contestata all’Italia dalla Commissione europea proprio per la lamentata insufficienza anche dell’originario intervento normativo del 2001 con riferimento all’obbligo di assicurare i risultati propri delle ricordate direttive comunitarie (sfociata in sentenza di condanna dell’Italia da parte della Corte di Giustizia CE del 18 dicembre 2007, in causa C - 194/05, quanto alla distinzione tra sottoprodotto e rifiuto) non solo ha escluso l’applicabilità della normativa del 2001 ai fini della riconducibilità, o meno, nella fattispecie in esame, dei materiali (terre e rocce da scavo) depositati nel periodo di riferimento, alla categoria di "rifiuto", ma ha omesso altresì (ciò che costituisce oggetto delle doglianze dei primi due motivi, rubricati come secondo e terzo), nell’escludere tout court, in assenza dell’accertata pericolosità, la natura di rifiuto di detti materiali, di seguire il canone dell’interpretazione adeguatrice della norma di diritto nazionale alla norma di diritto comunitario (la menzionata direttiva 91/156/CEE) anche alla luce dei principi espressi in materia dalla Corte di Giustizia europea (tra le molteplici pronunce di questa Corte, sia pure riguardo a fattispecie diverse, cfr. Cass. civ. sez. lav. 13 aprile 2011, n. 8460; Cass. civ. sez. lav. 8 ottobre 2007, n. 21023; quanto alla specifica normativa ambientale, sia pure con riferimento ad altra tipologia di rifiuti, si veda Corte di Giustizia CE 11 novembre 2004, in causa C-457/02, N.), al fine di assicurare un’interpretazione del diritto interno conforme al diritto comunitario.

8. Resta assorbito il quarto motivo del ricorso principale, atteso che la motivazione della sentenza impugnata è stata basata sull’affermato presupposto, ritenuto da questa Corte errato in diritto, dell’esclusione dell’applicabilità alla fattispecie in esame della succitata normativa d’interpretazione autentica del 2001 nella sua originaria formulazione.

9. Ed in proposito l’accertamento dei presupposti di fatto, perché operi o meno nella fattispecie la causa di esclusione dal novero dei rifiuti dei materiali terre e rocce da scavo depositate nel periodo ottobre 1998 - settembre 2000 nei siti summenzionati, deve essere demandato in sede di rinvio, tenuto conto anche di quanto tra breve esposto riguardo ai motivi di ricorso incidentale, a diversa sezione della CTR della Toscana, dovendo ritenersi l’accertamento in proposito compiuto dalla sentenza di primo grado della CTP di Firenze, favorevole al Consorzio e agli altri coobbligati pur nel contesto della ritenuta applicabilità della normativa del 2001, contraddetto dalla motivazione della decisione di secondo grado, pur confermativa, quanto al dispositivo, della decisione della CTP.

La decisione della CTR, infatti, premessa l’inapplicabilità, in contrasto con quanto ritenuto dal giudice di primo grado, della succitata normativa autentica del 2001, aveva anzi affermato che alla luce della normativa italiana sopravvenuta all’accertamento per cui è causa "le terre e le rocce prodotte dal Consorzio Cavet avrebbero dovuto considerarsi veri e propri rifiuti", poiché "in tal senso depongono il conferimento in discarica; la loro permanenza in tali luoghi per lungo tempo; la originaria genericità del programma di reimpiego.

La sentenza della CTR in questa sede impugnata va cassata, alla stregua di quanto sopra osservato, ma ciò non comporta che possa ritenersi formato il giudicato interno sull’accertamento di fatto compiuto dalla sentenza di primo grado, pur nel quadro delle disposizioni interpretative del 2001, avendo la ricorrente Regione impugnato la sentenza della CTR per vizio di motivazione sotto l’unico profilo che la decisione di secondo grado le consentiva, nel quadro dell’affermata non riconducibilità delle terre e rocce da scavo alla categoria dei rifiuti sulla base del solo diritto interno, quale derivante dal menzionato intervento del D.Lgs. n. 389/1997 sull’originario D.Lgs. n. 22/2007 - cioè con riferimento alla non pericolosità.

10. L’accoglimento del ricorso principale determina la necessità di pronunciarsi sul ricorso incidentale proposto dal Consorzio CAVET e dagli altri controricorrenti, parti vittoriose nel giudizio di merito, dovendo qualificarsi ciascun ricorso - che investe in primis la denuncia di omessa pronuncia sulla previa eccezione di giudicato esterno, riproposta in grado d’appello - come ricorso incidentale condizionato, l’attualità del cui interesse si pone appunto in conseguenza della ritenuta fondatezza del ricorso principale (cfr. Cass. civ. sez. un. 6 marzo 2009, n. 5456; Cass. civ. sez. un. 25 marzo 2013, n. 7381).

11. Il motivo, con il quale il Consorzio censura in via incidentale la sentenza impugnata, è formulato con riferimento all’omessa pronuncia sull’eccepito giudicato esterno in forza della sentenza n. 95 del 2003 della CTP di Firenze, depositata il 7 gennaio 2003, la quale ha accolto i ricorsi proposti dal Consorzio avverso avviso di accertamento n. 144 e avverso l’atto d’irrogazione di sanzioni n. 145, relativi al tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi urbani riguardante il sito DT 30 Rio Cucco, per gli anni 1997-2000.

12. Con il secondo motivo di ricorso incidentale i controricorrenti deducono, come si è visto, nullità della sentenza impugnata "nella parte in cui non si è pronunciata sulla doglianza formulata dal Consorzio in ordine all’illegittimità degli accertamenti impugnati per insufficiente indicazione delle modalità relative alla presentazione del ricorso", rilevandosi essere la sentenza in parte qua "viziata per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c. relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c." segnatamente riguardo alla doglianza relativa al rigetto dei primi due motivi d’impugnazione proposti con i separati ricorsi dinanzi alla CTP di Firenze, motivi riproposti con l’atto d’appello, sia relativamente al "contenuto di garanzia" degli atti impugnati, sia al dedotto vizio di motivazione degli stessi.

13. Entrambi i motivi sono infondati. Quanto al primo, dovendo intendersi che la sentenza, che ha pronunciato sul merito delle questioni addotte, abbia implicitamente rigettato l’eccezione di giudicato esterno, che avrebbe precluso il riesame nel merito della questione, sicché, alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa Corte in materia (tra le molte, si vedano Cass. civ. sez. I 9 maggio 2007, n. 10636 e Cass. civ. sez. V 1° aprile 2003, n. 4972), il fatto che non vi sia stata una pronuncia espressa non è sufficiente ad integrare il vizio di omessa pronuncia.

Né può dirsi che sul punto, in conseguenza della cassazione della sentenza della CTR, possa costituire giudicato l’affermazione della pronuncia di primo grado che, dopo aver esaminato la questione nel merito, risolvendola in senso favorevole per i contribuenti, aveva, con evidente argomentazione ad abundatiam, da intendersi quindi non come autonoma e concorrente ratio decidendi, ritenuto la valenza della sentenza n. 95 del 2002 della CTP della Toscana, come idonea a fare stato tra le parti, sicché non incombeva alla Regione uno specifico onere d’impugnazione di detta affermazione costituente un mero obiter dictum.

13.1. Quanto al secondo motivo di ricorso incidentale, giova richiamare ancora una volta sul punto la succitata Cass. n. 19145/2010, che su detto specifico analogo motivo di ricorso incidentale proposto dai contribuenti ebbe ad osservare - ciò che si rinviene anche nella presente controversia - che, anche a prescindere dalla formulazione non sufficientemente chiara della censura, la mancata o erronea indicazione nell’atto impugnato della Commissione tributaria competente delle forme o del termine per proporre ricorso, non comporta la nullità dell’atto, non essendo una simile sanzione prevista né dall’art. 3 della L. n. 241/1990, né dall’art. 7 della L. n. 212/2000, ma solo il non verificarsi di eventuali conseguenze negative a carico del contribuente, nel caso di specie neppure allegate.

I ricorsi incidentali devono, pertanto, essere rigettati.

14. La sentenza impugnata va dunque cassata in accoglimento del ricorso principale, rigettati i ricorsi incidentali, e la causa rinviata per nuovo esame, anche in relazione alle ulteriori questioni assorbite e riproposte nel presente giudizio da ciascuno dei controricorrenti, a diversa sezione della CTR della Toscana, che pronuncerà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità, attenendosi ai seguenti principi di diritto:

"Ai fini della qualifica di rifiuto delle terre e rocce da scavo depositate nei siti autorizzati nell'indicato periodo di riferimento, il giudice di rinvio applicherà il disposto degli artt. 6, 7 e 8 del D.Lgs. n. 22/1997, nelle richiamate, nella parte motiva, disposizioni vigenti ratione temporis, avuto riguardo alla richiamata normativa d'interpretazione autentica di cui all’art. 1 commi 17 - 19 della L. n. 443/2001 nell’originaria formulazione. In ogni caso dovrà essere privilegiata, ove possibile (cioè fino a che l’obbligo di applicare integralmente il diritto comunitario non comporti la necessità di disapplicazione della norma interna con essa contrastante) dal giudice di merito un’interpretazione del diritto interno conforme al diritto comunitario". "A tal fine, riguardo alla controversa qualificazione dei siti come "discarica", trattandosi di prova relativa al presupposto per la legittimità dell’imposizione, spetta all’Amministrazione, nel caso di specie alla Regione, provare che il detentore dei materiali in questione si sia disfatto o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi dei medesimi (cfr. Cass. n. 19145/2010). Quanto al riutilizzo dei materiali, trattandosi di prova relativa ad una causa di esenzione dall’applicazione del relativo tributo, spetta ai contribuenti provare l’effettivo riutilizzo dei materiali secondo un progetto ambientalmente compatibile (oltre alla citata Cass. n. 19145/2010, cfr. Cass. civ. sez. V 25 luglio 2012, n. 13115). Infine, con riferimento al grado di contaminazione dei materiali che può escluderne, a determinate condizioni, il riutilizzo, trattandosi di prova relativa alle ragioni di esclusione della deroga al normale regime dei rifiuti, l’onere probatorio di dimostrare una presenza d’inquinanti in misura tale da escludere la possibilità del riutilizzo dei materiali incombe all’Amministrazione (cfr. sempre Cass. n. 1945/2010)".

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso principale in relazione ai primi tre motivi (rubricati come secondo terzo e quarto), assorbito il quarto (rubricato come quinto) e rigetta i ricorsi incidentali.

Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti del ricorso principale e rinvia la causa per nuovo esame a diversa sezione della CTR della Toscana anche in ordine alla pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.