Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 17 novembre 2015, n. 23487

Lavoro - Raggiungimento di determinati e specifici obiettivi - Compenso accessorio incentivante - Estensione ai lavoratori a tempo determinato

 

Svolgimento del processo

 

La Corte d’appello di Torino, in riforma della sentenza di primo grado (che, nei distinti giudizi poi riuniti introdotti da L.F. e A.B., dipendenti a tempo determinato più volte prorogati della C.R.I., ne aveva respinto le domande di pagamento del compenso incentivante attribuito ai lavoratori a tempo indeterminato), con sentenza 21 ottobre 2013, condannava l'ente datore al pagamento, in favore di ciascuno dei lavoratori al suddetto titolo, della somma di € 33.398,38, oltre rivalutazione ed interessi legali.

Preliminarmente ravvisata l'ammissibilità dell'appello dei lavoratori nel rispetto dei requisiti dell'art. 342 c.p.c. ed esclusa la necessità di estensione del contraddittorio anche ai dipendenti a tempo indeterminato, in quanto potenzialmente pregiudicati dall'accoglimento delle domande, la Corte territoriale ribadiva, secondo il proprio più recente orientamento, la spettanza (nei limiti della prescrizione, interrotta con richiesta del tentativo di conciliazione del 31 ottobre 2009) del trattamento accessorio incentivante anche ai dipendenti a tempo determinato, per giunta ripetutamente prorogati come incontestato tra le parti, in applicazione del principio di non discriminazione previsto dall'art. 6 d.lg. 368/2001, in attuazione della Direttiva 1999/70 CE (relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato), appunto contemplante quelle "condizioni di impiego" tra le quali esso rientrante, per il suo collegamento ai miglioramenti di efficienza dell'amministrazione e di qualità dei servizi secondo la programmazione di produttività dell'ente; in difetto poi di prova, a carico dell'ente datore a fronte delle puntuali allegazioni dei lavoratori, di elementi specifici e concreti giustificanti una diversità di trattamento rispetto ai dipendenti a tempo indeterminato, non ravvisabile nella mera circostanza della qualificazione dell'impiego come di ruolo in base all'ordinamento interno e di alcune caratteristiche proprie del pubblico impiego, attesa l'identità di mansioni svolte (di autisti barellieri) in funzione di compiti istituzionali dell'ente (quali quelli in regime di convenzione, ai sensi degli artt. 2 e 3 dello Statuto dell'ente) ed avuto riguardo al tenore dei contratti individuali sottoscritti tra le parti e della più recente evoluzione della contrattazione collettiva nazionale integrativa (per gli anni 2006/2009), specificamente contemplante l'estensione del sistema incentivante ai lavoratori a tempo determinato, sintomatica, ancorché non direttamente applicabile alla controversia, dell'inesistenza di un'oggettiva incompatibilità di assegnazione di obiettivi anche a tale personale, sottoponendone il raggiungimento a relativo controllo.

Con atto notificato il 10 dicembre 2013, C.R.I. ricorre per cassazione con unico motivo, cui resistono i lavoratori con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

Con unico motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 45 d.lg. 165/2001, 6 d.lg. 368/2001, 32 C.C.N.L. personale non dirigente enti pubblici non economici 1998/2001; 1, 25 C.C.N.L. personale non dirigente enti pubblici non economici 2002/2003; 3 C.C.N.I. personale dipendente CRI 1998/2001, parte economica 2001, in combinato disposto con l'art. 2697 c.c., nonché vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 c.p.c., per la destinazione del "compenso incentivante la produttività", avente natura di remunerazione del conseguimento di migliori risultati dell'Ente oggetto di obiettivi fissati su base annuale programmati a misura delle risorse umane in servizio, al solo personale a tempo indeterminato e non anche a tempo determinato, non coinvolto in tali obiettivi, per la temporaneità del suo impiego dipendente da esigenze di carattere straordinario, per l'adempimento di convenzioni volta a volta sottoscritte, ad incremento delle attività istituzionali della C.R.: in assenza, da una parte, di un principio di parità retributiva nell'ordinamento lavoristico e, dall'altra, di alcuna discriminazione, nonché di alcuna specifica allegazione dai lavoratori in tale senso e di solo generiche indicazioni di partecipazione al miglioramento di produttività dell'ente.

Esso è infondato, posto che la negazione della spettanza del compenso incentivante anche ai dipendenti della C.R.I. a tempo determinato, per giunta in virtù di contratti ripetutamente prorogati come incontestato tra le parti, si pone in contrasto con il principio di non discriminazione, alla luce della disciplina contrattuale collettiva in materia e tenuto conto dell'onere di allegazione e di prova a carico rispettivo di ciascuna delle parti.

Ed infatti, la clausola 4, punto 1 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato oggetto della Direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE stabilisce: "Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive. Tale disposizione ha trovato coerente recezione nell'ordinamento interno, sotto la medesima rubrica (Principio di non discriminazione), nell'art. 6 d.lg. 368/2001, secondo cui al prestatore di lavoro con contratto a tempo determinato spetta (oltre alle ferie, alla gratifica natalizia o alla tredicesima mensilità, al trattamento di fine rapporto, anche) "ogni altro trattamento in atto nell'impresa per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato comparabili" (intendendosi per tali quelli inquadrati nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dalla contrattazione collettiva) "in proporzione al periodo lavorativo prestato sempre che non sia obiettivamente incompatibile con la natura del contratto a termine. Nell'interpretazione della giurisprudenza della Corte di giustizia UE, la suddetta direttiva, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato e l’accordo quadro ad essa allegato si applicano ai contratti e rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi con le amministrazioni e gli altri enti del settore pubblico ed esigono che sia esclusa qualsiasi disparità di trattamento tra dipendenti pubblici di ruolo e dipendenti pubblici temporanei comparabili di uno Stato membro, per il solo motivo che questi ultimi lavorino a tempo determinato, a meno che la disparità di trattamento non sia giustificata da ragioni oggettive nell’accezione di cui alla clausola 4, punto 1 di detto accordo quadro (Corte giust. UE 8 settembre 2011, in causa C-177/10). E la nozione di "ragioni oggettive" richiede che la disparità di trattamento sia giustificata dalla sussistenza di elementi precisi e concreti che contraddistinguano il rapporto di impiego in questione, nel particolare contesto in cui si iscrive e in base a criteri oggettivi e trasparenti, al fine di verificare se tale disparità risponda ad una reale necessità, sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e risulti a tal fine necessaria (Corte giust. UE 13 settembre 2007, in causa C-307/05). Sicché, i lavoratori a tempo determinato possono opporsi ad un trattamento contrattuale di natura retributiva meno favorevole, al di fuori di qualsiasi giustificazione obiettiva, di quello riservato ai lavoratori a tempo indeterminato che si trovino in una situazione comparabile: non potendo il carattere temporaneo del rapporto di lavoro di taluni dipendenti pubblici costituire, di per sé, una ragione oggettiva ai sensi di tale clausola dell’accordo quadro, risolvendosi nella negazione, appunto discriminatoria, di una condizione di impiego (Corte giust. UE 22 dicembre 2010, in cause C-444/09 e C- 456/09, con specifico riferimento a un'indennità di servizio per anzianità).

La condizione di impiego dei lavoratori a tempo determinato della C.R.I. risulta dai contratti collettivi, cui rinvia, per la definizione del trattamento economico fondamentale ed accessorio dei dipendenti della P.A., l'art. 45, primo comma d.lg. 165/2001; con garanzia ai dipendenti della parità di trattamento contrattuale e comunque di trattamenti non inferiori a quelli previsti dai rispettivi contratti collettivi (art. 45, secondo comma d.lg. cit.).

I contratti collettivi definiscono quindi, secondo criteri obiettivi di misurazione, trattamenti economici accessori collegati alla produttività individuale e collettiva tenendo conto dell'apporto di ciascun dipendente (art. 45, terzo comma, lett. a, b d.lg. cit.): senza che tuttavia con ciò il citato art. 45 introduca, nell'ordinamento del pubblico impiego privatizzato, un principio di parità di trattamento retributivo (Cass. 20 gennaio 2014, n. 1037; Cass. 21 novembre 2013, n. 26140), di contro vigendo il principio di eguale remunerazione dei lavoratori che svolgano uguali mansioni (Cass. 28 febbraio 2012, n. 3034).

Venendo ora al compenso incentivante in esame, esso è previsto quale elemento della struttura della retribuzione (art. 28, primo comma, lett. e CCNL del personale degli enti pubblici non economici 1998/2001 del 16 febbraio 1999) ed è alimentato dal Fondo appunto costituto per i trattamenti accessori del personale (art. 31, primo comma CCNL cit.), prioritariamente finalizzato a promuovere reali e significativi miglioramenti nei livelli di efficienza/efficacia dell’amministrazione e di qualità dei servizi istituzionali, mediante la realizzazione, attraverso la contrattazione integrativa, di piani produttivi annuali e pluriennali e di progetti strumentali e di risultato, basati su sistemi di programmazione e di controllo quali-quantitativo dei risultati per il personale ricompreso nelle Aree A, B e C (art. 32, primo comma C.C.N.L. cit.). E con erogazione degli incentivi da attribuire a livello di contrattazione integrativa per la realizzazione degli obiettivi e programmi di incremento della produttività dopo la necessaria verifica del raggiungimento dei risultati secondo le vigenti disposizioni (art. 31, secondo comma CCNL cit.).

Se l'ambito previsionale di applicazione del suddetto contratto collettivo riguardala) tutto il personale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, esclusi i dirigenti, dipendente dagli enti del comparto di cui all'art. 4 del Contratto collettivo quadro relativo alla definizione dei comparti di contrattazione sottoscritto il 2 giugno 1998, ivi compreso il personale della C.R.I. di cui alla legge n. 730/1986 (art. 1 C.C.N.L. cit), già il successivo C.C.N.L. del personale non dirigente degli enti pubblici non economici 2002/2003 del 9 ottobre 2003, applicabile ai rapporti qui controversi, disciplina tutto il personale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato o a tempo determinato (art. 1, primo comma).

E così pure il C.C.N.L. del personale non dirigente degli enti pubblici non economici 2006/2009 del 1° ottobre 2007 ribadisce l'applicazione a tutto il personale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato o a tempo determinato (art. 1, primo comma), pure prevedendo politiche di incentivazione della produttività, con progetti-obiettivo, piani di lavoro e altre iniziative, anche pluriennali, in funzione del miglioramento organizzativo e gestionale (art. 25, primo comma), prioritariamente orientati al conseguimento dei risultati specificamente indicati (art. 25, secondo comma, lett. a - e), con adibizione da parte del dirigente dei "dipendenti" in relazione alla loro collocazione organizzativa e professionale e alla funzionalità della loro partecipazione ai singoli progetti e obiettivi, con attribuzione di obiettivi individuali e collettivi (art. 25, terzo comma) e graduazione dei compensi incentivanti, in relazione alla percentuale di raggiungimento degli obiettivi assegnati e definizione dei criteri di erogazione dalla contrattazione integrativa (art. 25, quarto e quinto comma), nonché corresponsione di tali compensi ai "lavoratori" in unica soluzione a seguito di verifica dei risultati conseguiti rispetto agli obiettivi predefiniti (art. 25, sesto comma). Appare evidente come dalla richiamata normativa contrattuale del settore, applicabile come detto anche ai dipendenti della C.R. a tempo determinato, non emerga alcuna distinzione tra questi e i dipendenti a tempo indeterminato, in merito al compenso incentivante in questione: ricorrendo, in riferimento a tale istituto retributivo accessorio, le locuzioni normative dipendenti e lavoratori, comprensive di prestazione di attività lavorative tanto a tempo indeterminato, quanto a tempo determinato.

E allora, deve essere esclusa in radice un'incompatibilità, per così dire, ontologica del compenso incentivante, legato al raggiungimento di determinati e specifici obiettivi debitamente programmati in dipendenza del rapporto di lavoro, con una sua modulazione a tempo determinato (tra l'altro nel caso di specie protratto per anni, per la reiterazione dei contratti a termine senza soluzione di continuità) ed avente ad oggetto compiti di istituto (e pertanto di natura né straordinaria né eccezionale) in regime convenzionato con altri enti, secondo la previsione (artt. 2 e 3 del suo Statuto) dei fini istituzionali della C.R.

Non solo, ma dalla contrattazione collettiva citata risulta, in parte, la piena compatibilità, per le ragioni dette, dell'istituto retributivo in questione con il contratto di lavoro a tempo determinato, per applicazione diretta ratione temporis e, in parte, la non incompatibilità in via interpretativa, per argomentazione dalle medesime disposizioni contrattuali, ove non applicabili pro rata temporis.

Né alcun probante elemento argomentativo in senso contrario emerge dal precedente di questa Corte (Cass. 3 marzo 2014, n. 4911) invocato dalla ricorrente, in sede di memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c. e di discussione alla pubblica udienza. Esso riguarda, infatti, l'ipotesi ben diversa di esclusione del riconoscimento, per lavoratori assunti dall'impresa con contratto a termine o di formazione e lavoro, di un premio di produttività (per conseguire il quale il lavoratore a tempo indeterminato o assunto con contratto di formazione e lavoro, che avesse superato la prova, doveva aver riportato nell'anno di riferimento una nota di qualifica superiore al giudizio di "mediocre"), premio fondato sul presupposto di una continuità di impegno il cui apprezzamento non sarebbe compatibile con la durata dì pochi mesi del vincolo a termine, stante la necessaria sussistenza di un sinallagma fondato sulla qualità del rendimento e dell'apporto nel tempo del lavoratore (considerato altresì che il contratto collettivo riservava le note di qualifica, per il giudizio annuale da comunicarsi agli interessati nel primo semestre dell'anno successivo, ai lavoratori assunti a tempo indeterminato).

Nel caso di specie, invece, ben più ampia di pochi mesi è stata la durata dei contratti a tempo determinato stipulati con i lavoratori (pure ripetutamente prorogati) e con tal durata essendo del tutto compatibile la finalità incentivante di risultati da conseguire nell'ambito di obiettivi oggetto di programmi, da cui non possono pertanto essere esclusi i predetti contratti, alla luce della scrutinata disciplina contrattuale collettiva applicata.

Quanto, infine, alla denunciata violazione dell'art. 2697 c.c. per la supposta non corretta ripartizione del regime probatorio tra le parti, la Corte territoriale ha fatto buon governo dei principi in materia: avendo essa escluso avere la difesa della C.R. offerto alcuna prova, di cui pure era onerata, in ordine alla sussistenza di elementi precisi e concreti tali da giustificare la disparità di trattamento nel trattamento dei propri dipendenti.

Ed infatti, i lavoratori, nell'agire per l'adempimento dell'obbligo datoriale di corresponsione del compenso incentivante, hanno provato, quale fonte negoziale integrante fatto costitutivo del proprio diritto, la prestazione lavorativa a tempo determinato e l’inquadramento ricevuto, neppure contestati dall'ente datore e ne hanno allegato l'inadempimento, non avendo invece la C.R. assolto alla prova, a suo carico, del fatto impeditivo della pretesa ex adverso azionata (Cass. 15 marzo 2010, n. 6205; Cass. 3 luglio 2009, n. 15677; Cass. s.u. 30 ottobre 2001, n. 13533): tal fatto essendo semmai rappresentato dall'obiettiva incompatibilità (nella specie smentita per le superiori argomentazioni) del compenso incentivante rivendicato dai lavoratori con i compiti ad essi assegnati e, prima ancora, dalla corresponsione dell'emolumento accessorio nell'effettiva ricorrenza di specifici requisiti contrattuali prescritti (e non "a pioggia", senza alcuna programmazione né pianificazione di obiettivi per la promozione di reali e significativi miglioramenti nei livelli di efficienza/efficacia dell'amministrazione e di qualità dei servizi istituzionali).

Dalle superiori argomentazioni discende allora coerente il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza; con esclusione del versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater d.p.r. 115/2002, da parte della ricorrente, in quanto parte istituzionalmente esonerata, per valutazione normativa della sua qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass. 14 marzo 2014, n. 5955).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la C.R.I. alla rifusione, in favore dei controricorrenti in solido, delle spese del giudizio, che liquida in € 100,00 per esborsi e € 3.000,00 per compenso professionale, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater d.p.r. 115/2002, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dell’art. 13, comma 1bis d.p.r. cit.