Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 04 novembre 2015, n. 22490

Tributi - Dichiarazione dei redditi - Errore commesso nella redazione - Assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli dovuti - Emendabilità e ritrattabilità della dichiarazione al di fuori della presentazione di una dichiarazione integrativa

 

Svolgimento del processo

 

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, con quattro motivi, avverso la sentenza della CTR dell’Emilia-Romagna che, in riforma della sentenza di primo grado, ha annullato la cartella esattoriale ex art. 36 bis Dpr 600/73 relativa all’anno 1990 emessa a carico del contribuente F.F..

La CTR, in particolare, affermava che, in conseguenza dell’evidente errore commesso dal contribuente nella compilazione della dichiarazione dei redditi relativa all’anno 1990, sussistevano i presupposti per la ritrattazione della dichiarazione. La documentazione prodotta evidenziava infatti che il reddito relativo all’anno 1990 doveva ritenersi pari a lire 5.448.000 con conseguente riliquidazione dell’imposta in misura corrispondente.

Il contribuente resiste con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia denunzia l’insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 n.5) cpc, censurando la statuizione della CTR che ha affermato il diritto del contribuente alla rittrattabilità della dichiarazione.

Il motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366 bis ultima parte cpc applicabile ratione temporis.

Esso risulta infatti privo di un apposito ed autonomo momento sintesi, vale a dire un’indicazione riassuntiva e sintetica che circoscriva puntualmente i limiti della questione e costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, consentendo alla Corte di valutare immediatamente, mediante la sola lettura del quesito, l’ammissibilità del ricorso (Cass. Ss.UU. 12339/2010).

Con il secondo motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 comma 8 bis Dpr 322/1998, nonché dell’art. 9 comma 8 Dpr 600/73 e 38 Dpr 602/73 in relazione all’art. 360 n.3) cpc censurando la statuizione della sentenza che ha affermato la ritrattabilità della dichiarazione dei redditi al di fuori della presentazione di una dichiarazione integrativa da presentare entro un preciso limite temporale.

Il motivo è infondato.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, infatti, nel sistema vigente anteriormente all’introduzione dell’art. 2 comma 8 bis Dpr 322/1998, la dichiarazione dei redditi del contribuente, affetta da errore, sia esso di fatto che di diritto, commesso dal dichiarante nella sua redazione, doveva ritenersi - in linea di principio - emendabile e ritrattabile, quando dalla medesima poteva derivare l'assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico, in forza del Dpr. n. 600 del 1973, nel testo applicabile "ratione temporis".(Cass. Ss.Uu. 15063/2002)

Ciò in quanto:

- la dichiarazione dei redditi non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell'acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti, e costituisce un momento dell'iter procedimentale volto all'accertamento dell'obbligazione tributaria;

- l'art. 9, commi settimo e ottavo, del Dpr n. 600 del 1973, nel testo vigente in quel tempo, non poneva alcun limite temporale all'emendabilità e alla ritrattabilità della dichiarazione dei redditi risultanti da errori commessi dal contribuente.

Deve dunque affermarsi che/anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 2 comma 8 bis del d.p.r. n. 322/1998, che ha previsto, a decorrere dal 1 gennaio 2002, l’onere di presentare una dichiarazione integrativa anche per il caso in cui il contribuente abbia dichiarato maggiori redditi rispetto a quelli che doveva dichiarare, l'emenda alla dichiarazione dei redditi era consentita al contribuente, e tale facoltà di rettifica poteva essere esercitata, come verificatosi nel caso di specie, pure in sede di impugnazione di una cartella di pagamento (Cass. 2725/2011).

La dichiarazione dei redditi del contribuente, affetta da errore, sia esso di fatto che di diritto, anche se non direttamente rilevabile dalla stessa dichiarazione, è infatti una mera esternazione di scienza o di giudizio ed è quindi emendabile e ritrattabile, quando dalla medesima possa derivare l'assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico, con il limite temporale derivante dall'esaurimento, provocato dal trascorrere del tempo o dal sopravvenire di decadenze, del rapporto tributario cui inerisce la dichiarazione, ovvero, in assenza di tali evenienze, anche dopo l'emissione di un provvedimento impositivo, nell'ambito del processo tributario.

Da ciò la conseguenza che l'emenda era possibile pure in sede di impugnazione di una cartella di pagamento, non essendo di ostacolo il limite previsto dal comma 3 dell'art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 (secondo cui la cartella sarebbe impugnabile solo per vizi "propri"), poiché non si verte su di un vizio della cartella medesima, ma sulla deduzione di un errore da parte del contribuente (Cass. 2725/2011).

Con il terzo motivo di ricorso si denunzia la violazione degli artt. 2709, 2710 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 n.3) cpc con il seguente quesito di diritto:

" Dica la Corte se in presenza di una dichiarazione dei redditi ai fini Irpef 1991, nella quale è stato dichiarato un reddito maggiore di quello asseritamente conseguito, la stessa possa essere ritrattata anche se la parte ammetta che il maggior reddito fu dichiarato al solo scopo di evitare un giudizio penale, e non dimostri che si è trattato di errore nella dichiarazione."

Il motivo è inammissibile.

Si osserva infatti che, come questa Corte ha già affermato, la deduzione, in sede di legittimità, della violazione del disposto dell'art. 2709 cod. civ. per mancata attribuzione, nel giudizio di merito, di efficacia probatoria contro l'imprenditore alle scritture contabili obbligatorie dallo stesso tenute, richiede la specifica indicazione delle partite contabili oggetto della valutazione censurata, non essendo sufficiente, al riguardo, una generica denuncia (Cass. 1624/2000).

Nel caso di specie, tale specifica elencazione non risulta effettuata.

Anche sotto altro profilo, il motivo , come formulato, difetta di pertinenza avuto riguardo alla ratio della sentenza impugnata, che ha affermato, in generale, che l’errore della compilazione della dichiarazione dei redditi risultava dalla "documentazione prodotta dal contribuente".

Non è dunque pertinente lo specifico riferimento ai principi posti dagli artt. 2709 e 2710 c.c. sollevato nel motivo in esame, atteso che, da un lato, la statuizione della sentenza non è limitata alla contabilità ma concerne il più vasto ambito dei documenti prodotti in giudizio, e dall’altro che, ferma la presunzione semplice di veridicità delle ss.cc. contraria all’imprenditore, ne è comunque sempre consentita al giudice la valutazione, secondo il suo prudente apprezzamento (Cass. 11912/2009).

Con il quarto motivo si denunzia l’insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 n.5) cpc in quanto il giudice di appello non avrebbe specificato da quali scritture era stato desunto il minor reddito conseguito dal contribuente.

Pure tale motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366 bis ultima parte cpc, vigente ratione temporis, in quanto sprovvisto del quesito.

In ogni caso, a fronte dell’accertamento di fatto contenuto nella sentenza impugnata, in ordine all’accertamento del reddito della contribuente relativo all’anno 1991 di £ 5.448.000, la censura risulta generica , in quanto non vengono indicati i contrari elementi, rilevanti ai fini della decisione, la cui valutazione sarebbe stata omessa o effettuata in modo inadeguato da parte della CTR.

Il ricorso va dunque respinto e l’Agenzia va condannata alla refusione delle spese del presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Respinge il ricorso.

Condanna l’Agenzia delle Entrate alla refusione in favore del contribuente delle spese del presente giudizio, che liquida in 2.600,00 € per compensi oltre ad accessori, nonché rimborso forfettario spese generali in misura del 15%.