Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 09 novembre 2015, n. 22840

Previdenza - Inps - Indennità di disoccupazione agricola - Liquidazione - Spese giudiziali civili - Compensazione

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Salerno, pronunciando in sede di rinvio, in riforma parziale della sentenza di quella stessa Corte territoriale cassata nella parte relativa alla liquidazione delle spese processuali, condannava l'INPS appellato al pagamento, in favore della D.L. e della G. - relativamente al procedimento con il quale era stata dichiarata cessata la materia del contendere per avvenuta corresponsione della indennità di disoccupazione agricola per l'anno 2000 - delle spese del primo grado del giudizio liquidate in E. 1.134,00 di cui E. 767,00 per diritti ed E. 264,00 per onorario ed E. 103,00 per maggiorazione spese generali, oltre IVA e CNA e compensato le spese del giudizio di legittimità e di rinvio.

Avverso questa sentenza la D.L. e la G. ricorrono in cassazione sulla base di cinque censure.

La parte intimata rilascia delega in calce al ricorso e partecipa all'orale discussione.

 

Motivi della decisione

 

Con la prima censura le ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 384 cpc, pongono il seguente interpello :"Dica la Suprema Corte che, nel caso in esame, la Corte salernitana - quale giudice di rinvio, in violazione dell'art. 384 cpc, non si è uniformata al principio di diritto ed al criterio di seguire per la determinazione degli onorari in ipotesi di separate controversie riunite nel corso dei giudizi già enunciato dalla Suprema Corte nella sentenza nr. 7727/07 ed ha applicato norme (art. 151 disp. att. cpc e art. 5, punto 4, del DM 5/10/94 n.585) in maniera già ritenuta illegittima dalla Suprema Corte nella detta sentenza".

Con il secondo motivo le ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 91 cpc, dell'articolo unico della legge n.1051 del 1957, dell'art. 151 disp. Att. cpc, della tariffa adottata con delibera del Consiglio Nazionale Forense del 20/9/94 ed approvata con dm n. 585 del 1994 ed in particolare dell'art. 5, punto 4, della stessa, formula il seguente interpello: "Dica la Suprema Corte che, ai sensi dell'art. 151, secondo comma disp. att. cpc e dell'art. 5, punto 4, seconda parte della tariffa professionale di cui al D.M. 5/10/94 n. 585, in caso di cause iniziate distintamente e solo successivamente, come nel caso in esame, il giudice deve determinare per ogni causa l'onorario di avvocato fin quando sono trattate distintamente e, soltanto, dopo la riunione delle stesse, può procedere, in relazione alle sole attività poste in essere dopo la riunione, alla liquidazione di un onorario unico, in considerazione della trattazione unitaria, aumentato delle percentuali previste per ogni controversia, oltre la prima dalla tariffa professionale".

Con la terza critica le ricorrenti, allegando violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 92, 324 e 336, primo comma cpc, pongono il seguente quesito :"Dica la Corte Suprema di Cassazione che, a seguito di cassazione di una sentenza, il Giudice del rinvio, che riformi la sentenza di I grado, deve provvedere anche d'ufficio ad una nuova regolamentazione delle spese relative a tutto il giudizio e,quindi, anche con riferimento alle spese del giudizio svoltosi precedentemente dinanzi a diverso Giudice d'Appello - la cui decisione sia stata cassata per motivi diversi dalla regolamentazione delle spese di quel grado - non avendo alcuna influenza, a tal fine, la mancata impugnazione del regolamento delle spese disposto in quel grado di giudizio o la mancata esplicita cassazione di detto regolamento, in quanto l'onere delle spese va valutato e ripartito tenendo conto dell'esito finale e complessivo del giudizio".

Con la quarta censura le ricorrenti, prospettando vizio di motivazione, pongono il seguente quesito. "Dica la Corte che, come nel caso in esame, è immotivata o insufficientemente motivata la decisione che disponga la compensazione delle spese senza che nella sentenza stessa si trovino motivazioni implicite a supporto della disposta compensazione o che indichi un motivo giustificativo in modo apodittico e senza esplicitazione del percorso logico seguito dal giudice nel ritenere che quel motivo integrasse gli estremi dei giusti motivi per la compensazione".

Con la quinta critica le ricorrenti, allegando violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 92 e 132 cpc nonché 118 disp. att. cpc, formulano il seguente interpello:" Dica la Corte che, come nel caso in esame, in controversia avente ad oggetto rideterminazione delle spese processuali per la cui risoluzione non vengono trattate questioni particolari o di assoluta novità, non può ( e non poteva) il Giudice disporre la integrale compensazione delle spese processuali del grado di legittimità ed della fase di rinvio fondandola unicamente sulla natura delle questioni trattate essendo tale motivo, oltre che apodittico, errato ed illogico".

Le prime tre censure sono inammissibili per violazione dell'art. 366 bis cpc.

La giurisprudenza di questa Corte, infatti, ha chiarito che il quesito di diritto, previsto dalla richiamata norma di rito, ha lo scopo precipuo di porre in condizione la Cassazione, sulla base della lettura del solo quesito - non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo - di valutare immediatamente il fondamento della dedotta violazione (Cass. 8 marzo 2007 n. 5353) ed a tal fine è imposto al ricorrente di indicare, nel quesito, anche l'errore di diritto della sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (Cass. S.U. 9 luglio 2008 n. 18759), in modo tale che dalla risposta - negativa od affermativa - che ad esso si dia, discenda in maniera univoca l'accoglimento od il rigetto del ricorso (Cass. S.U. 28 settembre 2007 n. 20360 e da ultimo Cass. S.U. 5 luglio 2011 n. 14661).

Pertanto questa Corte ha rimarcato che il quesito di diritto di cui all'art. 366 bis cpc deve comprendere l'indicazione sia della regula iuris adottata nel cd provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo con la conseguenza che la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile (Cass. SU 30 settembre 2008 n. 24339 e Cass. 19 febbraio 2009 n. 4044). L'affermazione di un principio di diritto da parte di questa Corte, del resto, non è fine a sé stessa, ma è necessariamente strumentale, pur nella funzione nomofilattica, alla idoneità o meno del principio da asserire a determinare la cassazione della sentenza impugnata.

Conseguentemente se il principio di cui si chiede l'affermazione non è correlato alla fattispecie concreta - rectius alla diversa regula iuris applicata dal giudice del merito - il relativo motivo è inidoneo al raggiungimento dello scopo e come tale è inammissibile.

Applicando tali principi al caso di specie emerge che i quesiti tutti prescindono dall'indicazione, e dell'errore di diritto in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata - ovverosia della diversa regula iuris posta a base della decisione dei giudici di appello -, e della fattispecie concreta cui ineriscono risolvendosi, dunque, in interpelli del tutto astratti che come tali non consentono alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dalle ricorrenti.

Gli ultimi due motivi sono infondati. Nella specie la Corte del merito ha proceduto alla compensazione delle spese del giudizio di legittimità e del giudizio di rinvio ricorrendo giusti motivi desumibili dalla natura delle questioni tratte.

Orbene questa Corte in fattispecie relativa proprio alla riliquidazione delle spese del giudizio ha ritenuto che nel regime anteriore a quello introdotto dall'art. 2, comma 1, lett. a) della legge 28 dicembre 2005, n. 263, il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese "per giusti motivi" deve trovare un adeguato supporto motivazionale, anche se, a tal fine, non e necessaria l'adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento, purché, tuttavia, le ragioni giustificatrici dello stesso siano chiaramente e inequivocamente desumibili dal complesso della motivazione posta a sostegno della adottata statuizione. Ne consegue che, ove l’oggetto del giudizio di secondo grado sia limitato alla riliquidazione delle spese del giudizio di primo grado, asseritamente liquidate sotto i minimi tariffari, e il valore del credito in discussione sia esiguo, il provvedimento di compensazione delle spese è adeguatamente motivato con il riferimento alla "natura della controversia" e all'unicità della questione devoluta (Cass. 23 marzo 2009 n. 6970).

Devesi, quindi, ritenere, anche alla luce della sentenza n. 20598 del 2008 delle Sezioni Unite di questa Corte che il provvedimento di compensazione delle spese del giudizio di legittimità e di rinvio adottato dalla Corte territoriale sia corretto in diritto ed adeguatamente motivato con la considerazione della "natura delle questioni trattate", la quale, d'altra parte, trova riscontro anche nella motivazione che ha determinato la soluzione della controversia strettamente inerente alla interpretazione di norme processuali.

In conclusione il ricorso va rigettato.

Nulla deve disporsi per le spese del giudizio di legittimità ai sensi del previgente art. 152 Disp. Att. cpc non trovando applicazione ratione temporis la nuova disciplina delle spese nei procedimenti in materia di previdenza e assistenza, introdotta dall’art. 42, comma undicesimo, decreto legge 30 settembre 2003 n. 269, convertito con modificazioni nella legge 24 novembre 2003 n. 326.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di legittimità.