Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 09 novembre 2015, n. 22807

Tributi - Contenzioso tributario - Compensazione delle spese di lite - Onere di motivazione in capo al giudicante - Decorrenza dai giudizi instaurati dopo il 4 luglio 2009 - Riscossione - Iscrizione di ipoteca - Soglia minima del debito pari a otto mila euro

 

Svolgimento del processo

 

Il sig. F.M. impugnò dinanzi alla CTP di Roma iscrizione ipotecaria su immobile di sua proprietà, essendo il relativo credito tributario, per il quale era stata iscritta da E.G. S.p.A. ipoteca, inferiore ad ottomila euro. L’adita CTP accolse il ricorso, ma compensò tra le parti le spese del giudizio. Avverso il capo di sentenza relativo alla disposta compensazione delle spese di lite il contribuente propose appello dinanzi alla CTR del Lazio, che, con sentenza n. 120/9/12, depositata il 5 giugno 2012, rigettò il gravame, osservando che l’iscrizione ipotecaria era del 2009, mentre solo a seguito della sentenza n. 4077/2010 dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, depositata il 22 ottobre 2010, poteva ritenersi definitivamente chiarito che l’ipoteca non può essere iscritta (secondo la normativa applicabile ratione temporis) se il debito non supera l’importo di € 8.000,00.

Avverso detta sentenza ricorre per cassazione il contribuente in forza di un solo motivo.

Equitalia Sud S.p.A. (subentrata ad E.G. S.p.A.) resiste con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

 

Motivi della decisione

 

1. Con l’unico motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per "violazione e falsa applicazione degli articoli 90, 91, 92, 93, 82, 83, 112, 132 c.p.c. e 139 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. ponendosi in contrasto con quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 5711 (recte 5771) del 12 aprile 2012, secondo cui "sono illegittime tutte le ipoteche iscritte per debiti inferiori agli ottomila euro, comprese quelle annotate prima del varo della L. n. 40/2010 che fissa esplicitamente il tetto minimo degli ottomila euro", a fronte della quale sarebbe dato evidenziare, secondo il ricorrente, "l’illogicità, inconsistenza ed erroneità che ha inficiato il processo di volontà decisionale del giudice dei precedenti gradi di giudizio".

1.1. Il motivo presenta plurimi profili d’inammissibilità.

Esso, pur formulato unicamente come censura per violazione plurima di norme di legge (processuale), sembra poi introdurre una doglianza per vizio di motivazione che, laddove fa riferimento all’illogicità ed all’inconsistenza delle argomentazioni svolte dal giudice di secondo grado, si pone in maniera contraddittoria con il motivo, inerente anche alla dedotta violazione dell’art. 132 (n. 4) c.p.c., che presupporrebbe la totale mancanza della motivazione come requisito strutturale della sentenza.

1.2. Ciò che appare comunque decisivo nel senso di ritenere l’inammissibilità del motivo così come formulato è la carenza di autosufficienza del ricorso in relazione al disposto dell’art. 366 n. 3 c.p.c. che, tra gli altri requisiti richiesti a pena d’inammissibilità, indica "l’esposizione sommaria dei fatti della causa".

In effetti l’unica norma, tra le molteplici indicate, della cui falsa applicazione il ricorrente in concreto si duole, è l’art. 92 c.p.c., precisamente del secondo comma, che disciplina l’ambito dell’esercizio della facoltà discrezionale del giudice di compensare le spese di lite tra le parti, in deroga al principio generale di cui all’art. 91 c.p.c. della condanna del soccombente al rimborso delle spese di lite in favore della controparte vittoriosa.

Nel caso di specie pacificamente non ricorre l’ipotesi della soccombenza reciproca e dunque occorre verificare se si sia nell’ambito della previsione della seconda ipotesi disciplinata dalla norma, la cui sussistenza può legittimamente indurre il giudice alla compensazione delle spese di lite tra le parti.

1.3. Come è noto, peraltro, l’art. 92 2° comma c.p.c. è norma che ha subito negli ultimi anni diversi interventi modificativi da parte del legislatore.

Al testo originario che si limitava a richiedere, in via alternativa all’ipotesi della soccombenza reciproca, unicamente la concorrenza di "altri giusti motivi", si è aggiunto, nel 2005 (in forza dell’art. 2 comma 1 lett. a della L. 28 dicembre 2005, n. 263), che essi fossero "esplicitamente indicati nella motivazione".

Detta disposizione, applicabile ai processi instaurati successivamente al primo marzo 2006, ai sensi dell’art. 2 comma 4 della medesima legge, come modificato dall’art. 39 quater del D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, convertito, con modificazioni, nella L. 23 febbraio 2006, n. 51, è stata a sua volta sostituita dall’art. 45 comma 11 della L. 18 giugno 2009, n. 69, che ha introdotto le parole: "o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione, applicabili, per effetto dell’art. 58 1° comma della medesima L. n. 69/2009, ai giudizi instaurati dopo il 4 luglio 2009, data di entrata in vigore della legge da ultimo citata.

Infine la seconda ipotesi giustificativa del potere di compensazione delle spese di lite, nel testo attuale dell’art. 92 2° comma c.p.c., quale sostituito dall’art. 13, comma 1 del D.L. 1 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, in L. 10 novembre 2014, n. 162, applicabile ai procedimenti introdotti a decorrere dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione, è espressa ora dalle seguenti parole: "ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti".

Nel ricorso del contribuente manca ogni riferimento all’epoca d’introduzione del giudizio d’impugnazione dell’iscrizione ipotecaria (né esso è, in ogni caso, deducibile dalla sentenza impugnata).

L’unico riferimento è all’anno, il 2009, dell’iscrizione d’ipoteca, ciò che non consente, di per sé, di verificare se sia applicabile nella fattispecie in oggetto, quale norma che disciplina il potere giudiziale di compensazione delle spese, l’art. 92 2° comma c.p.c. nella sua formulazione dovuta alla riforma del 2005- 2006 o nel testo introdotto dalla successiva riforma del 2009.

La carente esposizione, pur sommaria, dei fatti di causa, segnatamente riguardo al tempo della notifica del ricorso di primo grado, non consente di verificare quale sia il testo della norma che si assume violata applicabile nella fattispecie, se l’art. 92 2° comma c.p.c. quale formulato a seguito della riforma del 2005 - 2006 o quello introdotto ex L. n. 69/2009.

La differenza non è di poco conto. La prima modifica aveva, infatti, inciso unicamente sugli oneri motivazionali del giudice, d’incidenza peraltro non particolarmente significativa rispetto alla formulazione previgente, atteso che già l’approdo cui era giunta la giurisprudenza più avvertita, che aveva ricevuto l’avallo delle Sezioni Unite (cfr. Cass. civ. sez. unite 30 luglio 2008, n. 20598), era nel senso che gli altri giusti motivi, nella cui concorrenza era legittimo compensare le spese di lite, dovessero comunque emergere, chiaramente ed inequivocamente, dal contesto della motivazione della decisione assunta di merito o di rito.

La successiva riforma del 2009 ha, invece, riguardato i presupposti stessi dell’istituto, laddove ha richiesto la necessità del concorso di "gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione", facendo il legislatore in tal modo ricorso ad una norma elastica, quale clausola generale, funzionale ad essere adeguata, in via interpretativa, da parte del giudice di merito, con giudizio censurabile in sede di legittimità, ad un dato contesto storico - sociale o a speciali situazioni non esattamente determinabili a priori (cfr. in tal senso, Cass. civ., sez. unite 22 febbraio 2012, n. 2572).

Da quanto sopra esposto consegue che il ricorso - carente nell’esposizione dei fatti di causa che consentano d’individuare esattamente la norma assunta violata dal giudice di merito e, conseguentemente, nel riferimento all’interpretazione fattane dalla giurisprudenza di questa Corte, con la quale la decisione del giudice di merito si sarebbe posta irrimediabilmente in contrasto;

- non consente alla Corte di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunciata violazione (cfr., in punto di autosufficienza del ricorso per cassazione con riferimento alla denuncia del vizio di violazione di legge, tra le altre, Cass. civ. sez. IlI 18 aprile 2007, n. 9245; Cass. civ. sez. IlI 31 maggio 2006, n. 12984).

1.4. Infine deve sottolinearsi come, nella prospettazione della censura, la denuncia di violazione di legge, quanto alla disposta compensazione delle spese di lite operata dal giudice di merito, sia stata costruita dal ricorrente (oltre che ribadita in memoria) in maniera evidentemente erronea, come conseguenza diretta del fatto che la domanda proposta nel merito dal contribuente, volta alla declaratoria dell’illegittimità dell’ipoteca iscritta per essere l’esposizione debitoria inferiore al valore di € 8.000,00, fosse fondata.

La sentenza impugnata, nel respingere l’appello del contribuente, ha invece legittimamente individuato nell’incertezza giurisprudenziale esistente all’epoca sulla questione, risolta solo con la citata sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 4077/2010, l’elemento sufficiente a determinare la compensazione delle spese pronunciata in primo grado (cfr. in fattispecie analoga Cass. civ. sez. VI - II ord. 9 24 aprile 2015, n. 8377).

2. Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione in favore di E.G. S.p.A. delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 500,00 per compenso, oltre rimborso spese forfettarie ed oneri accessori, se dovuti.