Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 06 novembre 2015, n. 22729

Rapporto di lavoro - Collocazione in CIGS - Procedura - Illegittimità - Accertamento

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza depositata l'11 maggio 2009, la Corte d'appello di Torino respingeva l’appello di Fiat Group Automobiles (già Fiat Auto) s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, che, in accoglimento della domanda proposta da C. M., aveva condannato la società al risarcimento del danno subito dalla lavoratrice per l’illegittima collocazione in CIGS relativamente al periodo 12 dicembre 2002 - 22 aprile 2003, in misura pari alla differenza tra la normale retribuzione del suddetto periodo ed il percepito a titolo di CIGS.

La Corte distrettuale ribadiva la persistenza dell'obbligo di esplicitazione, nella comunicazione di apertura della procedura della CIGS, dei "criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere nonché delle modalità di rotazione", a norma dell'art. 1, settimo comma I. 223/1991, in quanto non abrogato né espressamente né implicitamente dall'art. 2, quinto comma d.p.r. 218/2000 (finalizzato alla semplificazione, in esecuzione della legge delega 59/1997, dei procedimenti amministrativi, senza alcuna pertinenza ai rapporti tra privati) e riteneva la genericità e l'indeterminatezza dei criteri (consistenti nelle "esigenze tecniche, organizzative e produttive" e nelle "esigenze professionali") indicati nella comunicazione iniziale del 31 ottobre 2002, pertanto viziante la regolarità dell’intera procedura e la legittimità del provvedimento conclusivo, non sanata (né sanabile, per la consumazione della situazione di illegittimità, per l'indisponibilità dalle oo.ss. dei diritti già acquisiti dai singoli: nella specie, di sanzione dell'illegittima condotta datoriale) dai successivi accordi sindacali del 18 marzo 2003 e del 22 luglio 2003.

Con atto notificato il 4 maggio 2010, Fiat Group Automobiles s.p.a. ricorre per cassazione con cinque motivi, cui resiste C. M. con controricorso. La società ricorrente ha altresì depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 20 I. 59/1997 in riferimento all’art. 1 I. 223/1991 e al d.p.r. 218/2000, nonché dell'art. 15 prel. c.c. per avere la sentenza erroneamente escluso che la procedura di autorizzazione della CIGS restasse disciplinata dal citato d.p.r., che ha abrogato la precedente normativa di cui agli artt. 1, commi 7 e 8 L. n. 223/91.

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c. e dell'art. 2 d.p.r. 218/2000, in relazione al verbale del Ministero del Lavoro 5.12.2002, nonché omessa motivazione circa la valenza di tale verbale, per avere la sentenza erroneamente escluso che l'esame congiunto costituisca una fase della più complessa procedura amministrativa e che il relativo verbale possa avere natura di atto amministrativo, dotato di efficacia certificativa, e per avere così negato al verbale di esame congiunto del 5.12.2002 ogni valenza probatoria, anziché attribuire allo stesso una presunzione di legittimità della procedura, con conseguente inversione dell'onere della prova.

Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 1, comma 7, L. n. 223/91, dell'art. 5, commi 4 e 5, L. n. 164/75 e dell'art. 2 d.P.R. 218/2000, nonché vizio di motivazione. Si chiede se, rispetto ad una procedura per la concessione di CIGS nella quale con l'apertura della procedura sono stati comunicati i criteri di scelta successivamente oggetto di esame congiunto con le OO.SS., costituisca violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto delle norme suddette ritenere, come affermato dalla Corte di appello, che la completezza dei criteri di scelta si debba valutare sulla base della sola comunicazione iniziale o, invece, come ritenuto dalla ricorrente, mediante valorizzazione del momento dell'esame congiunto. Sul punto la sentenza non aveva approfondito se, nel complesso della procedura come sopra configurata, fossero stati correttamente adempiuti gli obblighi di comunicazione ed informazione.

Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 1, settimo comma, I. 223/1991, dell'art. 5, quarto, quinto e sesto comma I. 164/1975 e dell'art. 2 d.p.r. 218/2000, nonché vizio di motivazione in ordine alla posizione soggettiva del singolo lavoratore collocato in mobilità. Si censura la sentenza per non avere fatto corretta applicazione delle suddette norme, le quali non consentono di sanzionare mere carenze formali della comunicazione, fatta salva l'ipotesi della radicale assenza, e dunque per avere ritenuto illegittima la procedura sulla base della genericità dei criteri di scelta comunicati in fase di apertura, a prescindere dall'esame e dalla valutazione della congruità della singola scelta rispetto alle ragioni della CIGS. In riferimento alla posizione soggettiva del lavoratore, ci si duole del difetto di verifica in concreto, senza alcuna attività istruttoria, della legittimità della scelta del lavoratore resistente.

Con il quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 1367, 1375 e 2697 c.c., nonché dell'art. 2697 c.c., in riferimento agli accordi sindacali 18 marzo 2003 e 22 luglio 2003, nonché dell'art. 1 I. 223/1991 e succ. mod. e vizio di motivazione, per avere la sentenza erroneamente negato agli accordi sindacali del 18 marzo e del 22 luglio 2003 una valenza di ratifica e di specificazione del criterio di cui alla comunicazione iniziale.

I motivi di ricorso investono questa Corte dell'esame di quattro questioni, così declinabili nel rispetto del loro gradato ordine logico-giuridico: a) rapporto tra il d.p.r. 218/2000 e l'art. 1 I. 223/1991, nel senso dell'avvenuta abrogazione o meno delle disposizioni della seconda legge ad opera di quelle della prima, con la conseguenza della non necessaria indicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da sospendere e delle modalità della loro rotazione nella comunicazione di avvio della procedura di CIGS, suscettibile di differimento all'esito dell'esame congiunto tra imprenditore e oo.ss. della crisi aziendale e delle esigenze di organizzazione della produzione; b) requisiti di specificità della comunicazione di richiesta di apertura della procedura, in ordine ai suddetti criteri di scelta dei lavoratori da sospendere e delle modalità della loro rotazione; c) eventuale efficacia sanante, in caso di inidoneità dei suddetti requisiti, di accordi sindacali raggiunti in corso di procedura e dell'attestazione, con verbale di esame congiunto del Ministero del Lavoro, di regolarità della stessa; d) verifica concreta della posizione del singolo lavoratore.

La questione sub a) è oggetto del primo motivo.

Le censure mosse alla sentenza con tale motivo sono infondate.

L'insegnamento di questa Corte è ormai attestato nell’escludere alcuna incompatibilità tra la normativa regolamentare introdotta con il d.p.r. 10 giugno 2000, n. 218 e le disposizioni della legge 23 luglio 1991 n. 223, limitandosi la disciplina regolamentare ad imporre all'imprenditore, che intenda chiedere l'intervento straordinario di integrazione salariale, l'obbligo di dare tempestiva comunicazione alle organizzazioni sindacali ed attenendo unicamente alla fase amministrativa di concessione dell’integrazione, senza nulla dire sul contenuto concreto della comunicazione, né dettando alcuna disciplina in ordine ai criteri di scelta: senza pertanto incidere sugli obblighi di rilevanza collettiva stabiliti dall'art. 1, settimo e ottavo comma legge n. 223 citata. E così pure esso è fermo nel negare che la normativa regolamentare abbia spostato l'informazione sui criteri di scelta e le modalità della rotazione dal momento iniziale della comunicazione datoriale di avvio della procedura di integrazione salariale a quello immediatamente successivo dell'esame congiunto: posto che, così opinando, il contenuto dell'art. 2 del d.p.r. 218/2000 non soddisferebbe l'esigenza di semplificazione del procedimento amministrativo, comportando solo l'alleggerimento degli oneri della parte datoriale con la compressione dei diritti d'informazione spettanti al sindacato, dando luogo ad un sistema di consultazione sindacale palesemente inadeguato.

Sicché, in proposito appare sufficiente, per la piena adesione ad esso prestata, richiamare il seguente principio di diritto, assolutamente consolidato (così anche da ultimo: Cass. 11 marzo 2015, n. 4886 e, con affermazione ai sensi dell'art. 360 bis, primo comma c.p.c.: Cass. 9 giugno 2015, n. 11957), secondo cui: "In tema di scelta dei lavoratori da porre in cassa integrazione guadagni, la L. n. 223 del 1991, art. 1 prescrive al comma settimo da parte del datore di lavoro, a seguito della sua ammissione alla cassa integrazione guadagni straordinaria, la comunicazione alle organizzazioni sindacali dei criteri di scelta dei lavoratori da sospendere, in base a quanto previsto dalla L. n. 164 del 1975. Tale disposizione, che pone a carico del datore di lavoro un preciso onere, va osservata come tutte le restanti disposizioni della suddetta L. n. 223 del 1991, volte a tutelare, nella gestione della cassa integrazione, i diritti dei singoli lavoratori e le prerogative delle organizzazioni sindacali, anche dopo l'entrata in vigore del D.P.R. 10 giugno 2000, n. 218 (contenente norme per la semplificazione del procedimento per la concessione del trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria e di integrazione salariale a seguito della stipula di contratti di solidarietà), atteso che tale disciplina non incide con effetto abrogativo o modificativo sulle suddette disposizioni ma è volta unicamente a diversamente regolamentare il procedimento amministrativo, di rilevanza pubblica, di concessione di integrazione salariale" (Cass. n. 28464 del 2008; adde: Cass. n. 13240 del 2009; successivamente conformi, Cass. nn. 2155, 2156, 2157, 4151, 4152 del 2011, oltre Cass. nn. 25949, 25229, 25047, 23492, 23491, 23454, 23399, 15879, 15741 del 2014; Cass. nn. 25100, 22540, 22247, 21814 del 2013)".

Correttamente ha pertanto deciso sul punto la Corte territoriale, che a tale principio si è uniformata.

La seconda questione, relativa ai requisiti di specificità della comunicazione di richiesta di apertura della procedura, è oggetto del terzo e del quarto motivo.

Anche questi motivi sono infondati.

Premesso che la valutazione della rispondenza in concreto della comunicazione di avvio della procedura di cassa integrazione oggetto dell'esame giudiziale ai requisiti suindicati investe il merito in ordine al contenuto dell'atto negoziale, sicché è nella competenza esclusiva del giudice di merito e come tale insindacabile nel giudizio di legittimità, quando esso abbia motivato la sua decisione in modo sufficiente e privo di contraddizioni (Cass. 11 marzo 2015, n. 4886; Cass. 6 maggio 2014, n. 9705; Cass. 2 ottobre 2013, n. 22540), nel caso di specie la Corte territoriale ha esaurientemente e coerentemente argomentato il proprio convincimento, in esatta applicazione delle norme di diritto denunciate.

Ed, infatti, da esse sono stati enucleati i principi secondo cui: a) la specificità dei criteri di scelta consiste nell'idoneità dei medesimi ad operare la selezione e nel contempo a consentire la verifica della corrispondenza della scelta ai criteri; b) la comunicazione di apertura della procedura di trattamento di integrazione salariale, la cui genericità renda impossibile qualunque valutazione coerente tra il criterio indicato e la selezione dei lavoratori da sospendere, viola l'obbligo di comunicazione previsto dall'art. 1, settimo comma I. 223/1991; c) la mancata specificazione dei criteri di scelta (o la mancata

indicazione delle ragioni che impediscono il ricorso alla rotazione) determina l'inefficacia dei provvedimenti aziendali che può essere fatta valere giudizialmente dai lavoratori, in quanto la regolamentazione della materia è finalizzata alla tutela, oltre che degli interessi pubblici e collettivi, soprattutto di quelli dei singoli lavoratori (Cass. 11 marzo 2015, n. 4886; Cass. 8 settembre 2014, n. 18895; Cass. 14 maggio 2012, n. 7459). E con particolare riferimento al requisito di specificità, si è precisato (Cass. 2 ottobre 2013, n. 22540; Cass. 7 novembre 2013, n. 25100) che l'aggettivazione "non individua una specie nell'ambito del genere criterio di scelta ma esprime la necessità che esso sia effettivamente tale, e cioè in grado di operare da solo la selezione dei soggetti da porre in cassa integrazione", atteso che "un criterio di scelta generico non è effettivamente tale, ma esprime soltanto, non un criterio, ma un generico indirizzo nella scelta" (Cass. 1 luglio 2009 n. 15393, richiamante Cass. 23 aprile 2004 n. 7720 e in chiaro riferimento a Cass. S.U. 11 maggio 2000, n. 302).

La (quarta) questione riguardante la verifica concreta della posizione del singolo lavoratore è parimenti infondata.

Ed infatti la ritenuta genericità, per inidoneità dei criteri previsti dall'art. 1, settimo comma I. 223/1991, della comunicazione datoriale 30 ottobre 2002, di avvio della procedura di autorizzazione della CIGS, ravvisata da questa Corte in esito all'esame del quinto mezzo (per tale ragione respinto), esclude la possibilità di verificare la corrispondenza della scelta ai criteri (Cass. 10 dicembre 2014, n. 25949).

La terza questione, riguardante l'efficacia sanante, nell'ipotesi di inidoneità dei suddetti requisiti, di accordi sindacali raggiunti in corso di procedura e dell'attestazione di sua regolarità, con verbale di esame congiunto del Ministero del Lavoro, è oggetto del secondo e del quinto motivo, per tale ragione congiuntamente esaminabili.

Essi sono tutti infondati.

Anche qui occorre premettere che la valutazione di adeguatezza, nell'accordo sindacale, della specificazione dei criteri di individuazione dei lavoratori da porre in cassa integrazione e delle modalità di rotazione si risolve nella formulazione di un giudizio di merito, al pari di quella concernente la comunicazione di avvio della procedura, spettante in via esclusiva al giudice di merito e censurabile in cassazione solo negli stretti limiti del giudizio di legittimità (Cass. 29 maggio 2014, n. 12096; Cass. 6 maggio 2014, n. 9705): nel caso in esame travalicati, in riferimento ad una decisione immune da incoerenze o contraddizioni logiche.

In ogni caso, questa Corte intende ribadire, per intima convinzione, la recente affermazione secondo cui, in riferimento "alla possibilità di una efficacia sanante di un accordo sindacale sui criteri di scelta, occorre pure rammentare che essa è stata ammessa solo in casi particolari e circoscritti, ma non nell'ipotesi in cui la comunicazione è strettamente funzionale a mettere in grado le organizzazioni sindacali di partecipare al confronto con la controparte adeguatamente Informate e ai lavoratori di avere contezza delle prospettazioni aziendali. Né può essere ammessa, con effetto retroattivo, rispetto a scelte in concreto già operate" (Cass. 11 marzo 2015, n. 4886, anche per richiamo di: Cass. 12 dicembre 2011, n. 26587; Cass. 9 giugno 2009, n. 13240; Cass. 1 luglio 2009, n. 15393).

Quanto alle attestazioni ministeriali di corretto svolgimento della procedura ed in particolare del verbale di esame congiunto del Ministero del Lavoro 5 dicembre 2002, esse difettano di rilevanza, posto che, ove si ritenga che criteri di individuazione e modalità di rotazione debbano essere indicati ab initio nella comunicazione di avvio, è superfluo esaminare la tesi che assegna valore asseverativo ad un documento che attesta che quell'indicazione è avvenuta solo in un momento successivo, e cioè in sede di esame congiunto (Cass. 8 giugno 2015, n. 11754; Cass. 2 ottobre 2013, n. 22540; Cass. 12 dicembre 2011, n. 26587).

Dalle superiori argomentazioni discende allora coerente il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e distrazione al difensore antistatario, secondo la sua richiesta.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in € 100,00 per esborsi e € 2.500,00 per compensi, oltre 15% per rimborso per spese generali e accessori di legge, da distrarsi in favore del procuratore antistatario.