Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 04 novembre 2015, n. 22475

Tributi - Accertamento - Amministratore di fatto di società - Personalizzazione della sanzione - Responsabilità diretta delle persone fisiche che hanno la rappresentanza di un soggetto passivo di imposta

 

Ritenuto in fatto

 

1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, basato su unico motivo, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, indicata in epigrafe, con la quale, rigettando l’appello dell’Ufficio, è stata confermata l’illegittimità degli avvisi di accertamento emessi, per IRPEG ed ILOR in relazione agli anni 1995, 1996 e 1997, nei confronti della S.I.E. s.r.l., e, per quanto qui interessa, notificati anche a E.P., identificato quale amministratore di fatto della società.

E giudice d’appello ha osservato che dal p.v.c. posto a base degli avvisi di accertamento emergono precisi elementi indiziari di una irregolare gestione della società S. e di uno strano modus operandi di E.F., legale rappresentante della stessa, nei quali risulta coinvolto il P. per una serie di circostanze documentate, quali quella di essere stato padre del proprietario dei locali in cui aveva sede la società e di avere movimentato denaro contante e titoli di credito per incarichi frequenti e di ausilio per la F.: ad avviso del giudice, ciò configura un "interesse obliquo" del P. negli affari della società anzidetta, ma formalmente egli non può ritenersi il dominus dell’azienda, risultando sconosciuto come membro della stessa, per cui la responsabile delle violazioni è la sola F. e la tesi, espressa nel p.v.c., della responsabilità del P. quale amministratore di fatto non rimane, all’esito degli accertamenti, che un "parere", o un "apparente convincimento".

2. E.P. resiste con controricorso e propone ricorso incidentale articolato in due motivi e illustrato con memoria, concernente il regolamento delle spese di primo e di secondo grado.

 

Considerato in diritto

 

1. I ricorsi vanno preliminarmente riuniti ex art. 335 cod. proc. civ.

2. Le eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate dal resistente sono infondate: l’Agenzia delle entrate, infatti, non sottopone a questa Corte una diversa valutazione dei fatti rispetto a quella compiuta dal giudice di merito (prima eccezione), né deduce inammissibilmente per la prima volta in questa sede la tesi della cogestione, da parte del P., della società sopra indicata (seconda eccezione), bensì, come subito si vedrà, pone la questione giuridica della nozione di amministratore di fatto.

3. Con l’unico motivo del ricorso principale, è denunciata la violazione degli artt. 2487 e 2397 cod. civ. e dell’art. 11 del d.lgs. n. 472 del 1997 ed è formulato, in conclusione, il quesito "se la nozione di amministratore di fatto, rilevante ai fini della responsabilità prevista dall’art. 11 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, si riferisca esclusivamente al soggetto che, in via di fatto, assuma su di sé in forma esclusiva la gestione dell’ente, ponendosi quale dominus di esso, ovvero anche al soggetto che, senza estromettere del tutto gli amministratori dalla gestione, eserciti in modo non occasionale funzioni demandate ad essi dalla legge, con il loro consenso espresso o tacito e comunque senza alcuna opposizione da parte loro", con la conseguenza che debba configurarsi un rapporto di amministrazione di fatto in relazione a un soggetto "nei cui confronti sia provata la sussistenza di elementi sintomatici di gestione o cogestione in via sistematica della società", quali quelli accertati nei confronti del P..

Il motivo è inammissibile, poiché la ricorrente lamenta la violazione del citato art. 11 del d.lgs. n. 472 del 1997 (non menzionato nella sentenza impugnata), senza fornire, nemmeno nella parte narrativa del ricorso, alcuna specifica indicazione dei presupposti fattuali e giuridici dai quali discenda l’applicabilità, ratione temporis, alla fattispecie della disciplina di cui alla norma medesima.

Com’è noto, infatti, la detta disposizione, unitamente all’art. 2, comma 2, del medesimo decreto (secondo il quale "la sanzione è riferibile alla persona fisica che ha commesso o concorso a commettere la violazione"), ha introdotto, in tema di sanzioni amministrative per violazione delle norme tributarie, il principio di personalizzazione della sanzione, in base al quale le persone fisiche che hanno la rappresentanza di un soggetto passivo di imposta sono direttamente responsabili delle sanzioni per violazione delle norme tributarie commesse ad opera o nell’interesse della parte rappresentata o amministrata (la quale è comunque obbligata in solido al pagamento di una somma pari alla sanzione irrogata, salvo il diritto di regresso nei confronti dell’autore della violazione, ai sensi del citato art. 11, comma 1); e tale nuovo regime si applica alle sole violazioni commesse dopo l'entrata in vigore della stessa, cioè dopo l’1 aprile 1998, così come stabilito dall'art. 27 del d.lgs. citato, mentre delle violazioni commesse in epoca precedente continuano a rispondere la società, l’associazione o l’ente, con responsabilità solidale della persona fisica, secondo la disciplina dettata dall'abrogato art. 98, sesto comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (in tal senso, tra le altre, Cass. nn. 18160 del 2002, 5714 del 2007, 23333 del 2013, 25096 del 2014). Va aggiunto, per completezza, che l’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003 (convertito in legge n. 326 del 2003) ha posto esclusivamente a carico delle persone giuridiche le sanzioni amministrative tributarie, per le violazioni non ancora contestate o per le quali la sanzione non sia stata irrogata alla data di entrata in vigore del decreto legge (2 ottobre 2003).

Per quanto qui interessa, quindi, l’invocato art. 11 del d.lgs. n. 472 del 1997 ha introdotto, per le violazioni tributarie commesse dopo il 1° aprile 1998, un regime di responsabilità a carico dei rappresentanti ed amministratori delle società di capitali ben diverso dà quello previgente; e ciò tanto più ove si consideri che, in base alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, il principio di solidarietà sancito dal citato art. 98, sesto comma, del d.P.R. n. 602 del 1973 si applica(va) alle sole sanzioni civili previste dal titolo III di quest'ultimo decreto, con la conseguenza che l'amministratore o legale rappresentante di società di capitali non era solidalmente responsabile per il pagamento di soprattasse o pene pecuniarie irrogate alla società per violazioni, ad essa direttamente imputabili, di norme relative all'accertamento delle imposte sui redditi contenute nel d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Cass. nn. 5055 del 1993, 2984 e 18160 del 2002, 19857 del 2005, 22464 del 2008).

4. Con il primo motivo del ricorso incidentale, è denunciata la violazione dell’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ., per avere il giudice d’appello compensato le spese del grado con esclusivo riferimento a "giusti motivi".

Con il secondo, ci si duole della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia sull’appello incidentale col quale il P. aveva chiesto la riforma della sentenza di primo grado nella parte in cui, a sua volta, aveva disposto la compensazione delle spese.

Premesso che quest’ultimo motivo è inammissibile per totale mancanza del quesito di diritto, il primo è infondato.

Alla stregua del testo dell’art. 92 anteriore alla modifica apportata dall’art. 2, comma 1, lett. a), della legge n. 263 del 2005 (applicabile ai procedimenti instaurati in primo grado dopo il 1° marzo 2006, laddove il presente è stato introdotto nel 2003), va infatti ribadito che la scelta di compensare totalmente o parzialmente le spese processuali è riservata al prudente apprezzamento del giudice sulla base di un adeguato supporto motivazionale, che può anche desumersi dal complesso delle, considerazioni giuridiche o di fatto enunciate a sostegno della decisione di merito o di rito (da ult., Cass. n. 1997 del 2015, sulla base di Cass., sez. un., n. 20598 del 2008): nella fattispecie, le argomentazioni svolte dal giudice di appello ai fini della decisione si rivelano idonee, nella parte in cui si accertano condotte del contribuente tali da configurare un interesse "obliquo" del contribuente negli affari della società S., a giustificare la statuizione di compensazione delle spese.

5. In conclusione, entrambi i ricorsi vanno rigettati.

6. La reciproca soccombenza e la peculiarità della fattispecie inducono a disporre la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Riunisce i ricorsi e li rigetta.

Compensa le spese.