Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 06 novembre 2015, n. 22730

Previdenza - Inps - Indennità di accompagnamento - Spettanza - Condizioni

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza del 7 febbraio 2008, la Corte d’Appello di Messina, confermava la decisione resa dal Tribunale di Barcellona P. G. e rigettava la domanda proposta dai Sig.ri A. e M. A. in qualità di eredi della Sig.ra M. Lo P. nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze nonché dell’INPS, avente ad oggetto il riconoscimento del diritto della loro dante causa a beneficiare dell’indennità di accompagnamento, compensando tra le parti le spese di lite.

La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto i rilievi sollevati con riguardo alla CTU, cui il giudice di prime cure si era conformato, fondando su questa la propria pronunzia, privi di supporti documentali e riscontri clinici tali da contrastare le conclusioni raggiunte in quella sede e denotare la sussistenza, ivi non ravvisata, di patologie ulteriori di tale entità e consistenza da indurre una diversa valutazione della situazione di fatto.

Per la cassazione di tale decisione ricorre M. A. con atto di impugnazione articolato su due motivi, ora ritualmente notificato, in conformità all’ordinanza resa da questa Corte all’udienza del 28 gennaio 2015, all’Avvocatura generale dello Stato, nonché, ad integrazione del contraddittorio, alla coerede A. A.

A seguito di tale impugnazione l’INPS ha rilasciato delega per la difesa nel corso dell’udienza, il Ministero dell’Economia e delle Finanze è rimasto intimato ed anche la A. non risulta costituita.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo, il ricorrente, nella sua qualità di coerede della defunta Sig.ra M. Lo P., che aveva proposto il ricorso introduttivo, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e la conseguente nullità dell’impugnata sentenza, imputa alla Corte territoriale l’essere incorsa nel vizio di omessa pronunzia in relazione al solo profilo di censura che, in sede di gravame, lo stesso ricorrente aveva avanzato avverso la decisione di prime cure e concernente la data di decorrenza della rivendicata indennità di accompagnamento, dal medesimo individuata come la sola ragione per la quale il primo giudice aveva rigettato la domanda, atteso che, nella presunta ricorrenza dei presupposti medico-legali per il riconoscimento del diritto, la data indicata, marzo 2004, in luogo di febbraio 2004, cadendo in epoca successiva al decesso dell’interessata, 28 febbraio 2004, risultava evidentemente impeditiva dell’attribuzione alla medesima del beneficio richiesto. In sostanza, la censura in questa sede avanzata dal ricorrente muove dal presupposto che il solo thema decidendum oggetto del giudizio di gravame fosse quello da lui stesso introdotto con l’atto d’appello relativo alla decorrenza del beneficio e che quel giudizio non involgesse la problematica complessiva della sussistenza o meno del diritto in capo all’interessata, evidentemente data per risolta, per quanto il ricorrente nulla deduca espressamente in questa sede circa il carattere definitivo dell’accertamento in ordine alla sussistenza dei presupposti medico-legali legittimanti il riconoscimento del diritto cui ha proceduto il giudice di primo grado.

Sennonché così non è e l’equivoco in cui cade il ricorrente è sufficiente a sostenere la conclusione cui qui la Corte intende pervenire in ordine all’inammissibilità del presente motivo di impugnazione, atteso che le ragioni in base alle quali la Corte territoriale, correttamente ritenutasi investita della questione originaria relativa alla verifica complessiva delle condizioni legittimanti la spettanza dell’indennità di accompagnamento, ha escluso in apicibus la ricorrenza di tali condizioni, ragioni incentrate sul carattere acuto della patologia sofferta e la non ravvisabilità della preesistenza di altra patologia invalidante, non sono state fatto oggetto di impugnazione alcuna.

Ne consegue l’assorbimento del secondo motivo, intitolato alla violazione dell’art. 91 c.p.c., con il quale il ricorrente l’erroneità della pronuncia di entrambi i giudici del merito circa la compensazione tra le parti delle spese di lite.

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento in favore dell’INPS delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 1000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge. Nulla spese per la parte rimasta intimata.