Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 05 novembre 2015, n. 22639

Lavoro - Assunzione di lavoratori in mobilità - Benefici contributivi - Verbale di accertamento INPS - Decadenza

 

Svolgimento del processo

 

1. La Corte d’Appello di Venezia, con la sentenza n.706/10, in accoglimento dell’appello proposto dall’INPS in proprio e quale mandatario della (...) nei confronti della società (...) avverso la sentenza n. 390/07 emessa tra le parti dal Tribunale di Verona, rigettava l’opposizione al verbale per la ritenuta decadenza dai benefici contribuitivi per cui era causa e rigettava l’opposizione alla cartella di pagamento relativa agli stessi.

2. Il Tribunale di Verona, decidendo sui ricorsi riuniti proposti dalla (...), il primo relativo a verbale di accertamento del 25 marzo 2000 redatto dagli ispettori INPS in materia di durata del beneficio contributivo, il secondo avente ad oggetto opposizione avverso l’iscrizione a ruolo e la cartella esattoriale con la quale veniva ingiunto il pagamento della somma di euro 18.358,23, a titolo di contributi e somme aggiuntive, accoglieva le domande e dichiarava l’illegittimità del verbale di accertamento INPS del 25 febbraio 2000 in relazione alla posizione del lavoratore (...) nonché delle conseguenti iscrizione a ruolo e cartella esattoriale.

3. La Corte di Appello di Venezia, nell’accogliere il terzo motivo di ricorso dell’INPS, statuiva che la durata massima delle agevolazioni contributive di cui all’art. 8, comma 2, non poteva superare i dodici mesi computandosi anche i periodi già goduti da altri datori di lavoro per lo stesso lavoratore.

4. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre la società prospettando due motivi di ricorso.

5. L’INPS ha depositato delega in calce alla copia del ricorso notificato ed ha partecipato alla discussione orale.

6. La ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’udienza pubblica.

 

Motivi della decisione

 

1. Occorre premettere in fatto, prima di passare all’esame dei motivi di ricorso che (...) iscritto nelle liste di mobilità dal 1° settembre 1996, veniva assunto a tempo determinato dalla ditta (...) nel periodo 19 maggio 1997 - 22 gennaio 1998. Il rapporto di lavoro, per il quale si usufruiva dei contributi di cui all’art. 8 della legge n. 223 del 1991, cessava per licenziamento.

Successivamente, in data 2 febbraio 1998, il (...) veniva assunto con contratto a tempo determinato della durata di dodici mesi dalla società convertito in contratto di lavoro a tempo indeterminato dal febbraio 1999, usufruendo dei benefici connessi ai lavoratori iscritti nelle Uste di mobilità sino al 31 dicembre 1999.

La Corte d’Appello ha statuito che "la durata massima delle agevolazioni contributive di cui all’art. 8, comma 2, della legge n. 223 del 1991, non può superare i dodici mesi, computandosi anche i periodi già goduti da altri datori di lavoro per lo stesso lavoratore, sia pure in forza di contratti a tempo determinato posti in essere nello stesso arco temporale".

Ha affermato il giudice di secondo grado che il (...) iscritto in mobilità il 1° settembre 1996, con la sospensione per il periodo di rioccupazione presso la ditta dal 19 maggio 1997 al 22 gennaio 1998, nel maggio 1998 aveva raggiunto il suo periodo massimo d’iscrizione e, non essendo avvenuta la trasformazione in rapporto a tempo indeterminato entro tale periodo, non potevano essere attribuiti i benefici contributivi fonte di causa, legittimamente disconosciuti, essendo non pertinente la giurisprudenza richiamata dalla società appellata sull'irrilevanza del ritardo nella comunicazione di trasformazione del rapporto a tempo indeterminato, non essendo questa la circostanza dell’avvenuto disconoscimento dei benefici, derivante dal raggiungimento del periodo massimo, non seguito alla scadenza da trasformazione del rapporto a tempo indeterminato.

2. Con il primo motivo di ricorso tale statuizione è censurata per violazione e falsa applicazione dell’art. 8, comma 2, della legge n. 223 del 1991, in riferimento all’art. 360, n. 3, cpc.

Assume la società ricorrente che l’interpretazione della norma pone in luce come al datore di lavoro, qualora assuma lavoratori in mobilità, spetta il beneficio contributivo per dodici mesi e, in caso di conversione del rapporto di lavoro a tempo determinato, per ulteriori dodici mesi. La tesi della Corte d’Appello avrebbe potuto essere accettata in presenza sempre dello stesso datore di lavoro che assume il lavoratore con successivi contratti di lavoro a tempo determinato, ma tale circostanza non ricorreva nella fattispecie in esame.

2.1. Il motivo è fondato e deve essere accolto.

2.2. L’art. 8, comma 2, della legge n. 223 del 1991 stabilisce «i lavoratori in mobilità possono essere assunti con contratto di lavoro a termine di durata non superiore a dodici mesi. La quota di contribuzione a carico del datore di lavoro è pari a quella prevista per gli apprendisti dalla legge 19 gennaio 1955, n. 25, e successive modificazioni. Nel caso in cui, nel corso del suo svolgimento, il predetto contratto venga trasformato a tempo indeterminato, il beneficio contributivo spetta per ulteriori dodici mesi in aggiunta a quello previsto dal comma 4», che a sua volta, al primo periodo stabilisce «al datore di lavoro che, senza esservi tenuto ai sensi del comma 1, assuma a tempo pieno e indeterminato i lavoratori iscritti nella lista di mobilità è concesso, per ogni mensilità di retribuzione corrisposta al lavoratore, un contributo mensile pari al cinquanta per cento della indennità di mobilità che sarebbe stata corrisposta al lavoratore».

2.3. La giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di affermare (Cass., n. 2776 del 2014) che il termine di dodici mesi previsto nel primo inciso dell’art. 8, comma 2, della legge n. 223 del 1991, non è riferito alla durata dell’agevolazione contributiva, ma alla durata massima del contratto a tempo determinato per il quale l’agevolazione opera; nel caso poi che il contratto venga trasformato a tempo indeterminato, l’agevolazione spetta per l’ulteriore durata di un anno, che si somma a quella precedentemente riconosciuta.

In precedenza, questa Corte aveva già avuto modo di precisato che, l’art. 8, comma 2, della legge n. 223 del 1991, ha introdotto una fattispecie di assunzione a tempo determinato autonoma ed ulteriore rispetto alle ipotesi contemplate dalla legge 18 aprile 1962, n. 230, pertanto estranea ai penetranti limiti oggettivi previsti dall’art. 1, di tale legge, in quanto connessa ad una causale di carattere prettamente soggettivo riferita al lavoratore e relativa alla condizione in cui questi si trovi di iscritto nelle liste di mobilità, realizza nei confronti di tali soggetti la liberalizzazione del lavoro a termine, con l’unico limite di carattere temporale riferito alla sua durata massima del contratto, che non potrà essere superiore ai dodici mesi. La ragione di tale disciplina separata risiede nell’intento di favorire per il lavoratore in mobilità nuove opportunità di impiego, ancorché temporaneo, ma in vista di possibili successive trasformazioni in (o di assunzioni con) contratto di lavoro a tempo indeterminato, con un limite, rappresentato dalla durata massima del contratto, legato alla necessità di evitare il consolidamento di una situazione di precarizzazione del rapporto di lavoro del dipendente in mobilità, ritenuta favorita dal prolungamento o dalla reiterazione di successivi contratti a termine col medesimo datore di lavoro.

2.4. Pertanto, erroneamente, la Corte d’Appello ha ritenuto che il termine di 12 mesi costituisse termine massimo per l’attribuzione del beneficio e non limite per la durata del contratto a termine stipulato con il medesimo datore di lavoro. Qualora il contratto a termine, stipulato in presenza delle condizioni fissata dall’art. 8, comma 2, è trasformato, entro il termine massimo di durata di dodici mesi, in contratto di lavoro a tempo indeterminato, deve essere, altresì, riconosciuto l’ulteriore beneficio contributivo di cui alla citata disciplina sopra richiamata.

2.5. In ragione dell’accoglimento del primo motivo di ricorso, il secondo motivo, con il quale è prospettato il vizio di violazione dell’art. 8, comma 2, della legge n. 223 del 1991 e dell’art. 9 - bis, del decreto-legge n. 510 del 1996, conv. dalla legge 608 del 1996; nonché vizio di insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, è assorbito.

3. Il ricorso deve accolto quanto al primo motivo, assorbito il secondo e la sentenza della Corte d’Appello va casata con riguardo al motivo accolto con rinvio alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo motivo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.