Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 06 novembre 2015, n. 22733

Contratto a tempo determinato - Illegittimità dell'apposizione del termine - Nuovi processi produttivi - Esigenze eccezionali - Accertamento

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza depositata il 12.11.09 la Corte d’appello di Roma rigettava il gravame proposto da M.V. contro la sentenza con cui il Tribunale di Roma ne aveva respinto la domanda intesa ad ottenere la declaratoria di illegittimità dell'apposizione del termine al contratto di lavoro stipulato dalla V. medesima con P.I. S.p.A. il 1°.3.2000 per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali della società e in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi e sperimentazione di nuovi servizi.

Per la cassazione della sentenza ricorre M.V. affidandosi ad un solo articolato motivo.

P.I. S.p.A. resiste con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1 - Con unico articolato motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1372, 2727 e 2729 c.c., nonché vizio di motivazione, per avere la sentenza impugnata ravvisato nel contegno delle parti un'ipotesi di tacito mutuo consenso alla risoluzione del rapporto, considerato il tempo trascorso fra la scadenza del termine (30.6.2000) e la messa a disposizione delle proprie energie lavorative da parte della ricorrente (25.2.05), nonché la percezione del TFR da parte della medesima lavoratrice.

2 - Il ricorso è fondato.

Invero, la giurisprudenza di questa S.C. - cui va data continuità - è ormai consolidata nello statuire che nel rapporto di lavoro a tempo determinato la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine è di per sé insufficiente a far ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso. Affinché possa configurarsi una tale risoluzione è necessario che sia accertata - sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell'ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative - una chiara e certa volontà comune di porre fine ad ogni rapporto lavorativo, tenuto conto, altresì, del fatto che l'azione diretta a far valere l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro, per violazione delle disposizioni che individuano le ipotesi in cui è consentita l'assunzione a tempo determinato, si configura come azione di nullità parziale del contratto per contrasto con norme imperative ex artt. 1418 e 1419 cpv. c.c., per sua natura imprescrittibile pur essendo soggetti a prescrizione i diritti che discendono dal rapporto a tempo indeterminato risultante dalla conversione ex lege del rapporto cui era stato apposto illegittimamente il termine (cfr., ex aliis, Cass. 15.11.2010 n. 23057; conf. Cass. 1°.2.2010 n. 2279).

Ed ancora, afferma Cass. n. 9583/2011 che grava sul datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso, l’onere di provare le circostanze da cui ricavare la volontà chiara e certa delle parti far cessare definitivamente ogni rapporto di lavoro (v., sempre in senso conforme, Cass. 2.12.2002 n. 17070).

Tutte le sentenze citate hanno, nel caso concreto sottoposto all’esame di questa S.C., ritenuto giuridicamente corretta l’affermazione dei giudici di merito secondo cui la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto, anche se protratta per due o tre anni o più, non è sufficiente, in mancanza di ulteriori elementi di valutazione, a far ritenere la sussistenza dei presupposti della risoluzione del rapporto per tacito mutuo consenso.

Aggiunge icasticamente Cass. n. 23501/2010, cit.: "D'altra parte, come è noto, l’azione diretta a far valere la illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro, per violazione delle disposizioni che individuano le ipotesi in cui è consentita l'assunzione a tempo determinato, si configura come azione di nullità parziale del contratto per contrasto con nome imperative ex art. 1418 c.c. e art. 1419 c.c., comma 2. Essa, pertanto, ai sensi dell'art. 1422 c.c., è imprescrittibile, pur essendo soggetti a prescrizione i diritti che discendono dal rapporto a tempo indeterminato risultante dalla conversione ex lege per illegittimità del termine apposto. Ne consegue che il mero decorso del tempo tra la scadenza del contratto e la proposizione di siffatta azione giudiziale non può, di per sé solo, costituire elemento idoneo ad esprimere in maniera inequivocabile la volontà delle parti di risolvere il rapporto a tempo indeterminato risultante dalla conversione ovvero, in un ottica che svaluti il ruolo e la rilevanza della volontà delle parti intesa in senso psicologico, elemento obiettivo, socialmente e giuridicamente valutabile come risoluzione per tacito mutuo consenso (v. Cass., 15/12/97 n. 12665; Cass., 25/3/93 n. 824). Comunque, consentendo l’ordinamento di esercitare il diritto entro limiti di tempo predeterminati, o l'azione di nullità senza limiti, il tempo stesso non può contestualmente e contraddittoriamente produrre, da solo e di per sé, anche un effetto di contenuto opposto, cioè l'estinzione del diritto ovvero una presunzione in tal senso, atteso che una siffatta conclusione sostanzialmente finirebbe per vanificare il principio dell'imprescrittibilità dell'azione di nullità e/o la disciplina della prescrizione, la cui maturazione verrebbe contra legem anticipata secondo contingenti e discrezionali apprezzamenti. Per tali ragioni appare necessario, per la configurabilità di una risoluzione per mutuo consenso, manifestatasi in pendenza del termine per l'esercizio del diritto o dell'azione, che il decorso del tempo sia accompagnato da ulteriori circostanze oggettive le quali, per le loro caratteristiche di incompatibilità con la prosecuzione del rapporto, possano essere complessivamente interpretate nel senso di denotare "una volontà chiara e certa delle parti di volere, d'accordo tra loro, porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo" (v. anche Cass., 2/12/2000 n. 15403; Cass., 20/4/98 n. 4003). È, inoltre, onere della parte che faccia valere in giudizio la risoluzione per mutuo consenso allegare prima e provare poi siffatte circostanze (v. Cass. Sez. lav. n. 2279 dell'1/2/2010, n. 16303 del 12/7/2010, n. 15624 del 6/7/2007)." (v. altresì, Cass. n. 23499/2010 cit. ed altre ancora).

Riepilogando, per aversi tacito mutuo consenso inteso a risolvere o, comunque, a non proseguire il rapporto di lavoro non basta il mero decorso del tempo fra la scadenza del termine illegittimamente apposto e la relativa impugnazione giudiziale, ma è necessario il concorso di ulteriori e significative circostanze della cui allegazione e prova è gravato il datore di lavoro (ovvero la parte che eccepisce un tacito mutuo consenso).

Né è indicativa d’un intento risolutorio la condotta di chi sia stato costretto ad occuparsi o comunque a cercare un’occupazione dopo aver perso il lavoro per cause diverse dalle dimissioni (cfr. Cass. n. 839/2010, in motivazione, nonché, in senso analogo, Cass., n. 15900/2005, in motivazione) o abbia accettato il pagamento del TFR, trattandosi di comportamenti non interpretabili, per assoluto difetto di concludenza, come tacita dichiarazione di rinunzia ai diritti derivanti dall’illegittima apposizione del termine.

La gravata pronuncia non si è attenuta a tali principi.

3 - In conclusione, il ricorso è da accogliersi. Ne consegue la cassazione della sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che dovrà accertare la validità o meno del termine apposto al contratto de quo.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.