Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 04 novembre 2015, n. 22506

Tributi - Imposta di registro - Cessione d’azienda - Determinazione del valore di avviamento dell’azienda - Presenza di perdite negli esercizi degli anni precedenti ed in quello di cessione

 

Svolgimento del processo

 

Con atto 6-4-1987 la Nuova S. s.p.a. (Società editoriale romana e tipografica Colonna) cedette alla E.R. s.p.a. il complesso aziendale ed editoriale del quotidiano Il Tempo, per un valore dichiarato di lire 3.000.000.000.

L'ufficio del registro di Roma, con apposito avviso di accertamento, rettificò il valore di cessione in lire 62.151.025.012 come conseguenza, da un lato, della non ammissione di passività e, dall'altro, della rivalutazione in lire 21.312.525.000 della voce "avviamento-marchio-testata", che le parti avevano dichiarato pari a una lira.

Il criterio di valutazione fu quello dell' applicazione della percentuale di redditività del 16 % all'ammontare dei ricavi dichiarati dalla cedente, con l'aggiunta di una capitalizzazione pari a un tasso di interesse medio del 20%.

Le società impugnarono l'avviso di accertamento e l'adita commissione tributaria di I grado, in parziale accoglimento delle doglianze, ritenne di rideterminare il valore dell'azienda in lire 10.043.207.618.

In particolare la commissione tributaria confermò il metodo di determinazione dell'avviamento seguito dall'ufficio, ma valutò le immobilizzazioni e le passività in coerenza con quanto dichiarato dai contraenti.

La sentenza venne appellata da tutte le parti.

La commissione tributaria di II grado respinse l'appello dell'ufficio e accolse quello delle società, ritenendo la rettifica per un verso "errata materialmente", attesa la duplicazione di calcolo dell'attivo patrimoniale avendo l'ufficio incluso due volte il valore dell'avviamento, e per altro verso inattendibile sul piano della considerazione degli elementi passivi. L'ufficio difatti, secondo la commissione di II grado, non aveva tenuto conto della persistente inattitudine dell'azienda a produrre reddito, testimoniata dai risultati economici negativi anteriori e successivi, tali da far ritenere corretta la riduzione dell'avviamento a valore simbolico, praticamente corrispondente al suo annullamento.

Avverso la decisione l'ufficio propose ricorso alla commissione tributaria centrale, dinanzi alla quale si costituirono le società proponendo ricorsi incidentali.

La commissione tributaria centrale respinse entrambi i ricorsi dando piena conferma alla decisione di II grado.

L'agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza detta, depositata il 31-7-2009, affidandosi a sei motivi.

Le società hanno replicato con eguali controricorsi e proposto, ciascuna, un motivo - identico - di ricorso incidentale.

La società I., incorporante Nuova S., ha infine depositato una memoria.

 

Motivi della decisione

 

I. - Il ricorso principale dell'amministrazione finanziaria consta dei seguenti motivi.

Col primo motivo viene dedotta la nullità della sentenza per violazione dell'art. 112 c.p.c. A fronte della decisione di II grado, stando alla quale l'ufficio aveva incluso nell'attivo per due volte la posta "avviamento", la commissione tributaria centrale avrebbe dichiarato duplicata la valutazione non del solo avviamento ma anche della testata e del marchio; e in tal senso si sarebbe posta fuori dalla res in iudicium deducta, delimitata dalla domanda dell'appellante.

Col secondo motivo si denunzia la nullità della sentenza per violazione degli artt. 324 c.p.c.e 2909 c.c. in quanto, in ordine alla suddetta valutazione del giudice di II grado, circa la presunta duplicazione della sola posta afferente l'avviamento, si sostiene essersi formato un giudicato interno.

Col terzo mezzo si deduce l'insufficiente motivazione in ordine alla controversa e decisiva circostanza dell'esistenza e dell'entità delle perdite dichiarate, non avendo la commissione tributaria centrale indicato gli elementi istruttori finalizzati a sorreggere la corrispondente valutazione.

Col quarto motivo di ricorso viene dedotta la nullità della sentenza per violazione degli artt. 324 c.p.c.e 2909 c.c. a proposito, questa volta, del giudizio circa la non avvenuta sottrazione delle indicate passività dal valore aziendale. La commissione tributaria centrale avrebbe reso la decisione in contrasto col giudicato costituito dalla sentenza di questa corte n. 7126-03, che aveva stabilito che un conferimento di circa lire 29 mld. era stato compiuto col fine di ripianare le perdite senza previa delibera di azzeramento o di riduzione del capitale. Sicché in tal modo la corte aveva ritenuto formalmente inesistente quella stessa perdita qui ritenuta dalla commissione centrale, con consequenziale correttezza della sottoposizione a imposta proporzionale del conferimento per circa lire 19 mld.

Col quinto mezzo l'amministrazione deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 48 del d.P.R. n. 634 del 1972 e dell'art. 51, 4° comma, del d.P.R. n. 131 del 1986. La decisione impugnata si sarebbe basata sull'erroneo assunto che, in presenza di perdite, l'avviamento non potesse avere valore positivo, mentre la circostanza che l'impresa fosse in perdita negli anni precedenti la cessione d'azienda non esauriva l'oggetto dell'indagine, essendo in generale ben possibile che un'impresa, benché in perdita, possieda un avviamento consistente.

Infine col sesto motivo l'amministrazione denunzia l'insufficiente motivazione della sentenza in ordine alla valutazione dell'avviamento, non avendo la commissione tributaria centrale indicato gli elementi istruttori in forza dei quali erano state valutate l'esistenza e l'entità delle perdite, né l'iter logico attraverso il quale era stata desunta la sostanziale nullità del valore di avviamento in presenza di perdite.

II. - Con unico, identico motivo di ricorso incidentale, le società denunziano invece la violazione dell'art. 26 del d.P.R. n. 636 del 1972 per avere la commissione tributaria centrale considerato ammissibile l'avverso ricorso dell'ufficio per questioni di fatto relative a valutazioni estimative, al contrario di quanto da esse eccepito con l'impugnazione incidentale in quella sede.

III. - Deve preliminarmente osservarsi che le società controricorrenti sostengono che il ricorso principale dell'agenzia abbia fatto sorgere l'interesse al ricorso incidentale in ordine alla questione pregiudiziale appena detta.

A loro avviso, il ricorso incidentale sarebbe da considerare non condizionato all'accoglimento del ricorso principale, ma unicamente alla sua valida proposizione, ovverosia alla sua ammissibilità, da tanto discendendo l'interesse a nuovamente sollevare la questione pregiudiziale pur non essendo state le società soccombenti nel merito.

Da tale premessa le società sollecitano la corte a esaminare la questione con priorità rispetto all'esame del ricorso principale, giacché l'accoglimento del ricorso incidentale "renderebbe privo di oggetto il ricorso dell'agenzia delle entrate".

In contrario può osservarsi che le sezioni unite della corte hanno da tempo affermato che "anche alla luce del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, secondo cui fine primario di questo è la realizzazione del diritto delle parti ad ottenere risposta nel merito, il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni pregiudiziali di rito (..) o preliminari di merito, ha natura di ricorso condizionato, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, e deve essere esaminato con priorità solo se le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, rilevabili d'ufficio, non siano state oggetto di decisione esplicita o implicita (ove quest'ultima sia possibile) da parte del giudice di merito. Qualora, invece, sia intervenuta detta decisione, tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte di cassazione, solo in presenza dell'attualità dell'interesse, sussistente unicamente nell'ipotesi della fondatezza del ricorso principale" (v. Sez. un. n. 5456-09, subito seguita da Sez. un. n. 23318-09).

L'enunciazione del principio non ha sopito - come noto - le discussioni dottrinali.

Ma è decisivo osservare che il principio è stato ulteriormente ribadito da Sez. un. n. 7381-13, sicché allo stesso il collegio intende adeguarsi, non essendo state prospettate argomentazioni nuove di segno contrario.

All'esame del ricorso incidentale va quindi anteposto in ogni caso l'esame di quello principale, rilevando l'incidentale come ricorso condizionato.

IV. - I primi due motivi del ricorso principale, che attengono a questione processuale rispetto alla quale la corte è giudice del fatto, sono infondati, non ravvisandosi il vizio di ultrapetizione imputato alla sentenza né, tantomeno, l'eccepito giudicato interno.

La motivazione dell'accertamento, riportata nel ricorso per cassazione, evidenzia che nella descrizione dell'attivo l'ufficio aveva considerato in voce unitaria

"il valore dell' avviamento-marchio-testata II Tempo", determinandolo in lire 21.312.525.000.

La sentenza della commissione tributaria di II grado aveva ritenuto la valutazione errata materialmente "per la duplicazione di calcolo dell'attivo patrimoniale", avendo l'ufficio "incluso fra le attività due volte il valore dell'avviamento".

La sentenza, dinanzi alla commissione tributaria centrale, era stata impugnata dall'ufficio (oltre che, incidentalmente, dalle società contraenti) sul rilievo apicale dell'aderenza, invece, del giudizio di congruità effettuato sul bene oggetto dell'atto di trasferimento ai criteri stabiliti dall'art. 48 del d.P.R. n. 634 del 1972; era stato inoltre affermato che destituita di fondamento doveva ritenersi "la presunta duplicazione di calcolo dell'attivo patrimoniale", in quanto nell'avviso era stata evidenziata l'esistenza di un avviamento come componente essenziale dell'azienda accanto a un ulteriore valore, non solo per le immobilizzazioni materiali e tecniche ma anche per le partecipazioni in altre società e per altre attività aziendali.

E' agevole desumere che nessun giudicato interno si era formato, in quanto alla commissione centrale era stata devoluta, in esatta sintonia con l'oggetto iniziale del processo, l'intera questione afferente la conformità a legge del calcolo dell'attivo patrimoniale.

La commissione centrale, mantenendosi nell'ambito di petitum e causa petendi, ha confermato la decisione di II grado osservando che l'avviso di accertamento conteneva "una inesattezza nella determinazione della voce "immobilizzazioni", nel senso che era stato "addizionato il valore dell'avviamento-testata-marchio a quello delle immobilizzazioni materiali e partecipazioni", mentre tali voci andavano tenute distinte.

Ha quindi respinto il gravame dell'ufficio su codesto punto.

Consegue che neppure l'ultrapetizione si apprezza, avendo la commissione tributaria centrale semplicemente messo in risalto, nella motivazione, elementi di fatto che ha ritenuto risultare dagli atti, ancorché non considerati, o non espressamente mentovati, dal giudice a quo.

V. - Va poi esaminato in ordine logico il quarto motivo, col quale si intende far valere un ulteriore vizio processuale asseritamente implicante nullità della sentenza.

Il vizio sarebbe costituito dall'avere la commissione tributaria centrale deciso sulla residua questione dell'esistenza o meno delle passività in contrasto col giudicato rappresentato dalla sentenza di questa corte n. 7126-03.

Il motivo - anche a voler tacere della scarsa perspicuità del riferimento alla sentenza appena citata - è inammissibile perché la sentenza è sopravvenuta nel corso del giudizio di cui si tratta, e l'esistenza del giudicato non è stata ivi eccepita.

Secondo un principio consolidato, in tema di impugnazioni, ove il giudicato esterno si sia formato nel corso del giudizio di secondo grado e la sua esistenza non sia stata eccepita nel corso dello stesso dalla parte interessata, la sentenza di appello che si sia pronunciata in difformità da tale giudicato è impugnabile con il ricorso per revocazione e non con quello per cassazione (v. per tutte Sez. un. n. 21493-10).

Il principio rileva anche in rapporto al giudizio che si è svolto, nella disciplina anteriore al d.lgs. n. 546-92, dinanzi alla commissione tributaria centrale, notoriamente regolato come un ordinario giudizio di merito a cognizione piena, riconducibile (salve le limitazioni dall'art. 26 d.P.R. n. 636-72, di cui si dirà) al modello dell'appello (v. ex aliis Sez. 6^ n. 10569-14; Sez. 5A n. 373-06).

VI. - I restanti motivi del ricorso principale (terzo, quinto e sesto) si presentano connessi e possono essere unitariamente considerati.

Sono fondati il quinto e il sesto motivo, con conseguente assorbimento delle questioni prospettate nel terzo.

Nella parte in cui denuncia congiuntamente la violazione di legge (quanto agli artt. 48 del d.P.R. n. 634 del 1972 e 51, 4° comma, del d.P.R. n. 131 del 1986) e l'insufficiente motivazione della sentenza impugnata in punto di determinazione del valore di avviamento, il ricorso principale evidenzia un' effettiva lacuna dell'impugnata sentenza, a misura del fatto che la commissione tributaria centrale ha desunto la "persistente inattitudine dell'azienda alla produzione di un reddito", e quindi l'esclusione di un valore di avviamento superiore a quello simbolico di una lira, dal mero fatto delle perdite intervenute negli anni precedenti e in quello di cessione.

Ad avviso della commissione tributaria centrale tale circostanza in sé e per sé non poteva comportare un valore positivo dell'avviamento, stante "la persistenza anche dopo la vendita delle perdite".

Sennonché una simile affermazione concretizza un errore giuridico, in quanto, costituendo una qualità dell'azienda, l'avviamento possiede un valore che si somma a quello degli altri beni che compongono l'azienda stessa, e tale operazione, anche considerando il testo della norma applicata, deve precedere la detrazione delle passività. Sicché il valore di avviamento non può essere aprioristicamente escluso, né dall'esistenza né dall'ammontare delle perdite (v. Sez. 6^ n. 2747-12, Sez. 5^ n. 613-06, n. 2702-02).

In altre parole, tanto la norma del d.P.R. n. 131 del 1986 (art. 51), quanto quella previgente del d.P.R. n. 634 del 1972 (sopra citata) è nel senso che per gli atti che hanno per oggetto aziende o diritti reali rileva il valore complessivo dei beni che compongono l'azienda, compreso l'avviamento, al netto delle passività.

Il che traduce un dato coerente con la natura stessa dell'avviamento, che è un valore patrimoniale e che, come tale, non configura un valore dell'attività d'impresa ma dell'azienda (obiettivamente considerata); un valore che non necessariamente risente dell'esito (in termini di utili o di perdite) dell'attività d'impresa.

Consegue che la circostanza che un'impresa abbia prodotto delle perdite negli anni precedenti alla cessione dell'azienda, pur potendo esser rilevante e meritevole di attenta considerazione ai fini della determinazione dell'avviamento commerciale, non esaurisce (non può esaurire) l'oggetto dell'indagine perché è ben possibile che l'impresa sia in perdita per ragioni che nulla hanno a che fare con l'avviamento aziendale (l'insufficiente liquidità, il peso degli oneri finanziari, le consistenza di perdite su crediti e così via), sebbene l'azienda - correttamente gestita - persista nel possesso di un considerevole valore di avviamento.

VII. - La fondatezza, in parte qua, del ricorso principale, impone quindi di cassare l'impugnata sentenza.

Ciò determina la necessità di esaminare i ricorsi incidentali.

VIII. - Le identiche doglianze delle società ricorrenti incidentali sono infondate.

Viene in rilievo la disciplina processuale anteriore al d.lgs. n. 546-92, nella quale - come già si è detto - il giudizio dinanzi alla commissione tributaria centrale è regolato come un ordinario giudizio di merito a cognizione piena, salve le limitazioni stabilite dall'art. 26 del d.P.R. n. 636 del 1972.

Gli artt. 26 e 40 del d.P.R. cit., nel rispetto dei principi fissati con l'art. 10 n. 14 della l. delega 9 ottobre 1971, n. 825, escludono, fra i motivi deducibili con il ricorso alla commissione tributaria centrale, le "questioni di fatto relative a valutazione estimativa".

Con tale locuzione le norme si riferiscono alle questioni di fatto attinenti alla quantificazione del cespite (o del reddito) costituente la base imponibile del tributo.

E' vero che, come rammentato dalle società, in caso di trasferimento di un'azienda la determinazione del valore di avviamento integra una questione di fatto, interamente devoluta al merito. Sicché non sarebbe possibile, in base al combinato delle norme evocate, devolvere alla commissione tributaria centrale la questione relativa alla quantificazione del valore di avviamento, perché si tratta di una questione di fatto.

In altre parole, è vero che sulla quantificazione dell'avviamento (o in generale dell'attivo o del passivo aziendale) la commissione centrale non è competente a pronunciarsi, trattandosi di questione di valutazione estimativa che non rientra nella sua sfera di cognizione ex art. 26 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636.

Ma è anche vero che diversa dalla valutazione estimativa è la questione che investe l'individuazione o l'attribuzione di significato della norma che richiama l'avviamento tra le componenti dell'azienda.

Codesta è una questione giuridica, siccome rivolta a stabilire se esiste un vizio in rapporto alla portata precettiva delle norme che attengono al concetto.

Nel caso di specie, al fondo dell'impugnazione dell'ufficio non vi era (o comunque non vi era soltanto) una questione relativa alla determinazione del valore di avviamento in sé e per sé considerato.

Vi era anche una questione giuridica relativa all'aderenza o meno del giudizio di congruità espresso dalla commissione tributaria di II grado al concetto di avviamento inteso come potenzialità di reddito secondo i criteri stabiliti dalla legge.

In particolare l'ufficio, dopo aver richiamato la tesi del giudice di II grado circa la duplicazione delle poste, la mancata considerazione di elementi passivi e la conseguente (asserita) inattitudine dell'azienda a produrre utili, aveva obiettato che una simile valutazione confondeva due realtà economiche da tenere ben distinte, giacché "l'avviamento commerciale è una potenzialità di reddito che, in quanto tale, deve essere valutata separatamente dalle altre componenti dell'azienda costituite dalle immobilizzazioni nonché dalle partecipazioni eventuali della medesima in altri esercizi d'impresa".

Il profilo correttamente era stato tradotto sotto forma di violazione di legge (segnatamente dell'art. 48 del d.P.R. n. 634-72 allora vigente), in quanto finalizzato a sollecitare un sindacato di sussunzione.

Compendiato nell'interrogativo sostanziale se ai fini dell'avviamento fosse corretto dedurre una duplicazione dall'essere state oltre all'avviamento considerate le immobilizzazioni e le partecipazioni in altre società, e se fosse corretta l'inferenza tra i risultati negativi di esercizio e l'inattitudine dell'azienda a produrre reddito, quel profilo investiva non la questione di fatto concernente la determinazione (il quantum) della base imponibile - e dunque la valutazione estimativa - ma la qualificazione giuridica del fatto, così come considerato dalla commissione tributaria di II grado. E dunque non era precluso dinanzi alla commissione tributaria centrale, rimanendo attratto alla sua cognizione ai sensi dell'art. 26 del d.P.R. n. 636-72.

IX. - In conclusione il ricorso principale va accolto per quanto di ragione e l'incidentale rigettato.

La sentenza deve essere cassata con rinvio alla commissione tributaria regionale del Lazio, che deciderà attenendosi al seguente principio di diritto: "In tema di imposta di registro, l'esistenza di un valore di avviamento dell'azienda, costituente l'oggetto di un giudizio di fatto rimesso al prudente apprezzamento del giudice di merito, non può essere esclusa sulla base della sola circostanza che l'impresa abbia subito delle perdite negli esercizi degli anni precedenti e di quelli successivi".

Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il quinto e il sesto motivo del ricorso principale, assorbito il terzo; rigetta i restanti motivi del ricorso detto; rigetta i ricorsi incidentali; cassa l'impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla commissione tributaria regionale del Lazio.