Prassi - CONSIGLIO NAZIONALE DOTT COMM E ESP CON - Comunicato 02 novembre 2015

CRISI D'IMPRESA - Un documento del CN ne definisce i confini

 

Longobardi: "Forniamo un’indicazione degli elementi economico-aziendali qualificanti l’informativa e la valutazione della crisi d’impresa"

"Informativa e valutazione nella crisi d’impresa": è il titolo di un documento messo a punto dal Consiglio nazionale dei commercialisti, nato con la finalità di superare i limiti tuttora presenti, secondo la categoria, nella definizione di crisi d’impresa.

"Abbiamo ritenuto necessario predisporre questo documento - spiega il presidente nazionale della categoria, Gerardo Longobardi - in considerazione della crescente attenzione dimostrata negli ultimi anni dal legislatore per la disciplina delle procedure concorsuali, tanto da istituire una Commissione ministeriale di esperti per la riforma organica della materia e tanto da intervenire con continue modifiche sulla legge fallimentare". Al fine di fornire un’indicazione precisa degli elementi economico-aziendali qualificanti l’informativa e la valutazione della crisi d’impresa, "nel documento - spiega ancora Longobardi - abbiamo evidenziato le possibili conoscenze che gli operatori o i soggetti che hanno rapporti con un’impresa in difficoltà possano acquisire circa il suo reale rischio di default".

Anche perché, come spiega il Consigliere nazionale delegato alla materia, Raffaele Marcello, nel mondo degli aziendalisti c’è "opacità nella definizione di "crisi d’impresa" e, ancora più, c’è carenza di conoscenze da parte dei soggetti che non hanno dimestichezza con la gestione dinamica aziendale, sia sotto il profilo della governance di aziende in bonis che possano presentare tensione finanziaria, sia sotto quello dei dati informativi finanziari e di bilancio che permettono una rilevazione dei vari stadi di crisi che possono caratterizzare la vita, anche ordinaria, delle imprese".

Il documento del Consiglio nazionale, afferma ancora Marcello, "indica dunque le linee di indirizzo per i commercialisti che svolgono la propria attività in contatto con l’imprenditore, al fine di tentare una qualificazione della crisi aziendale, che ne consenta anche il monitoraggio e l’emersione, fornendo un eventuale paragone del concetto aziendalistico di crisi alla possibile definizione giuridica di crisi d’impresa e insolvenza attuale e in chiave prospettica".

"I lavori della "Commissione Rodorf", istituita dal Ministro della Giustizia - commentano i consiglieri nazionali Felice Ruscetta e Maria Rachele Vigani, anch’essi delegati alla materia, fanno emergere la volontà di prevedere normativamente la definizione di crisi e di insolvenza, cosa che può risultare utile per chiarire e garantire la migliore applicazione del diritto concorsuale. Ma va evitato il rischio che la definizione giuridica sia nuovamente inidonea ad esprimere concetti e situazioni non sempre univocamente identificabili".

 

LINEE GUIDA

"Informativa e valutazione nella crisi d’impresa"

 

Premessa

Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, in considerazione della sempre più accentuata crisi economica che coinvolge le imprese e che ha portato il legislatore ad avere, negli ultimi anni, una particolare attenzione alladisciplina delle procedure concorsuali, tanto da intervenire con continue modifiche sulla legge fallimentare e il Governo ad istituire di recente una nuova Commissione di esperti per la riforma organica delle discipline delle procedure concorsuali, ha ritenuto necessario predisporre il presente documento per definire quali siano gli elementi economicoaziendali qualificanti l’informativa e la valutazione della crisi d’impresa. Il documento evidenzia, quindi, le possibili conoscenze o conoscibilita che gli operatori o i soggetti che hanno rapporti con un’impresa in difficoltà possano acquisire circa il reale rischio di default della stessa impresa.

E infatti evidente, nel mondo degli aziendalisti, come vi sia molta "opacita" nella definizione di "crisi d’impresa" e, ancora più, carenza di conoscenze da parte dei soggetti che non hanno dimestichezza con la gestione dinamica aziendale, sia sotto il profilo della governance di aziende in bonis che possano presentare tensione finanziaria, sia sotto il profilo dei dati informativi finanziari e di bilancio che permettono una rilevazione dei vari stadi di crisi che possono caratterizzare la vita, anche ordinaria, delle imprese.

I lavori della Commissione Ministeriale, c.d. "Commissione Rodorf", istituita dal Ministro della Giustizia con decreto 24 febbraio 2015 e s.i. per la predisposizione di un disegno di legge delega al Governo per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza, non ancora conclusi alla data di elaborazione del presente documento, fanno emergere ancora una volta la confusione che esiste nei concetti di "crisi d’impresa" e "insolvenza" e come vi sia una volontà e necessità di prevedere normativamente una definizione delle due fattispecie, evenienza che può divenire certamente utile per chiarire e garantire la migliore applicazione del diritto concorsuale, ma anche alimentare il rischio che la definizione giuridica sia nuovamente inidonea ad esprimere concetti e situazioni non univocamente sempre identificabili, così come l’economia aziendale ha più volte dato atto.

Il lavoro esprime, in definitiva, linee di indirizzo per gli iscritti che si trovano a svolgere la propria attività in stretto contatto con l’impresa, al fine di tentare una qualificazione della crisi aziendale, che ne consenta anche il monitoraggio e l’emersione, fornendo un eventuale paragone del concetto aziendalistico di crisi alla possibile definizione giuridica di crisi d’impresa e insolvenza attuale e in chiave prospettica.

Il documento risulta di utilita anche per gli organi di governance delle imprese collettive nell’ottica della tempestiva emersione della crisi d’impresa, utilizzando i migliori e più adeguati strumenti di controllo e valutazione.

 

PARTE I

 

La parte prima del documento si occupa di inquadrare il concetto di crisi d’impresa sotto il profilo giuridico quale prodromico framework per la definizione dello stesso concetto sotto il profilo aziendalistico; aspetto esaminato nella seconda parte del documento.

 

1. Inquadramento

Nel nostro ordinamento non si ritrova alcuna definizione giuridica di "crisi d’impresa" essendo disciplinato esclusivamente il concetto di "stato di insolvenza" che l’art. 5 della legge fallimentare (R.D. 16 marzo 1942 n. 267), declinandolo quale presupposto per la dichiarazione di fallimento degli imprenditori commerciali, definisce come quello stato che "si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni". La procedura concorsuale, pertanto, ha inizio quando la crisi dell’impresa è ormai irreversibile e, dunque, quando la crisi d’impresa è già entrata in una fase acuta e grave.

La dottrina ha già avuto modo di rilevare che la crisi d’impresa non è uno stato statico e univocamente identificabile, bensi "una perturbazione o improvvisa modificazione di un’attività economica organizzata, prodotta da molteplici cause ora interne al singolo organismo, ora esterne, ma comunque capaci di minarne l’esistenza o la continuità (NOTA 1)"

La legge fallimentare ha tuttavia enfatizzato il concetto di crisi quale presupposto per l’attivazione degli strumenti alternativi al fallimento come il piano di risanamento (ex art. 67, comma terzo, lett. d), l’accordo di ristrutturazione dei debiti (ex art. 182-bis) e il concordato preventivo (ex art. 160). Proprio l’art. 160 della legge fallimentare ha incrementato l’incertezza di parificare la crisi d’impresa allo stato d’insolvenza, poiche la predetta disposizione prevede che "ai fini di cui al primo comma per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza" (NOTA 2).

Non risulta di aiuto il decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, recante la Nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, che invero ha portato ulteriore confusione relativamente alla qualificazione dei concetti di stato di insolvenza e di crisi reversibile delle imprese (NOTA 3). L’art. 1, indicante la natura e le finalità dell’amministrazione straordinaria, prevede, infatti, che la procedura concorsuale, dedicata alla grande impresa commerciale insolvente, ha finalità conservativa del patrimonio produttivo, mediante prosecuzione, riattivazione o riconversione delle attività imprenditoriali, cosicche gli operatori giuridici possono essere indotti a credere che un’impresa insolvente sia in crisi e un’impresa in crisi sia insolvente, tanto da essere possibile un recupero e una continuazione dell’attività imprenditoriale (NOTA 4).

Il concetto di stato d’insolvenza declinato nell’amministrazione straordinaria, tuttavia, non è quello puramente statico dell’art. 5 della legge fallimentare, bensi piùttosto quello della insolvenza potenziale o della temporanea difficoltà ad adempiere, come era definita ed identificata nella abrogata disciplina dell’amministrazione controllata.

E’ noto che nella passata concezione, la temporanea difficoltà, quale momento patologico autonomo rispetto all’insolvenza, fosse per taluni versi assimilabile al concetto di illiquidita, ossia all’attuale e momentanea carenza finanziaria rispetto alle necessità correnti. La temporanea difficoltà ricorre quando l’imprenditore commerciale versi nella situazione di non essere temporaneamente (vale a dire momentaneamente) in grado di adempiere (NOTA 5) in modo regolare ai propri debiti, nonostante egli disponga di un patrimonio che gli consenta di poterlo fare nel tempo. La temporanea difficoltà, a differenza dell’insolvenza, rappresenta una tipologià di crisi economica sanabile e che, pertanto, non comporta necessariamente la cessazione dell’attività e la conseguente eliminazione dell’imprenditore dal mercato. Dunque, il concetto di temporanea difficoltà di adempiere previsto dall’abrogato art. 187 della legge fallimentare definisce una situazione certamente più coerente è simile a quella del concetto di crisi previsto per le procedure alternative al fallimento. Presupposto quello della temporanea difficoltà ad adempiere (ovvero di crisi) che non è sufficiente per la dichiarazione di fallimento.

 

2. Il concetto di insolvenza e pregiudizio patrimoniale nel codice civile

Il nostro diritto comune evoca più volte il termine insolvenza attribuendo ad esso un significato non univoco - ovvero solo talvolta coincidente - con quello dell’art. 5 della legge fallimentare: tale circostanza mostra con una certa evidenza come l’insolvenza giuridica - almeno nell’attuale quadro normativo - sia non chiaramente identificabile e, quindi, ancora più distante dal concetto di crisi d’impresa.

Solo con intenti ricognitivi, va messo in luce che secondo l’art. 2221 del codice civile "gli imprenditori che esercitano un’attività commerciale, esclusi gli enti pubblici e i piccoli imprenditori, sono soggetti, in caso di insolvenza, alle procedure del fallimento e del concordato preventivo, salve le disposizioni delle leggi speciali". Nonostante la dizione letterale sia diversa rispetto all’art. 5 della legge fallimentare ("in caso di insolvenza" e "stato di insolvenza"), le nozioni contenute nelle due norme non differiscono, identificando entrambe l’impossibilità per un soggetto di far fronte con regolarità alle proprie obbligazioni.

Il riferimento all’insolvenza e all’insolvente, poi,è comune in altre disposizioni. Si pensi all’art. 562 del codice civile, all’art. 755 del codice civile o più precisamente all’art. 1186 del codice civile il quale prevede che "Quantunque il termine sia stabilito a favore del debitore, il creditore può esigere immediatamente la prestazione se il debitore è divenuto insolvente ... ". Il pensiero corre ancora all’insolvenza del nuovo debitore nelle ipotesi di accollo ex art. 1274 del codice civile, all’insolvenza del debitore in solido ai sensi dell’art. 1299 del codice civile o all’insolvenza di un condebitore in caso di rinunzia alla solidarieta ex art. 1313 del codice civile od anche alla particolare definizione che si rinviene nell’art. 1959 del codice civile dell’insolvenza sopravvenuta del mandante o del terzo nel mandato di credito.

In particolare, in tale ultima disposizione la situazione di insolvenza coincide con il sopravvenire di condizioni patrimoniali che, rispetto alla data di conclusione del mandato, siano divenute tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito.

Nello stesso senso va letto l’art. 1943 del codice civile quando recita che "Il debitore obbligato a dare un fideiussore deve presentare persona capace, che possieda beni sufficienti a garantire l’obbligazione ... Quando il fideiussore è divenuto insolvente, deve esserne dato un altro ... ".

Le norme citate da ultimo, allora, consentono di ricondurre alla nozione di insolvenza la situazione patrimoniale che non permette di adempiere integralmente le obbligazioni contratte e di soddisfare i creditori.

Gli evocati concetti di insolvenza e di insolvente, infatti, pur essendo utilizzati nell’ambito di istituti o vicende negoziali differenti gli uni dagli altri (NOTA 6), si riferiscono a situazioni di incapacita di adempimento di un soggetto debitore.

In termini di squilibrio e non di insolvenza, si esprime, invece, l’art. 2467 del codice civile che si occupa dei finanziamenti dei soci e della postergazione degli stessi rispetto agli altri creditori. La menzionata disposizione prevede che "Il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito. Ai fini del precedente comma s’intendono finanziamenti dei soci quelli, ... , che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento."

Quest’ultima disposizione è l’unica che non evoca il concetto di insolvenza, come stato irreversibile dell’incapacita di adempimento, bensi si aggancia ad un concetto di difficoltà e crisi prospettica, legata alla situazione finanziaria ed agli equilibri economici, dimostrando che il concetto di insolvenza è un elemento statico e desumibile da fatti esteriori manifesti e "storici", mentre la potenziale incapacita finanziaria è individuabile solo con proiezione in avanti dei possibili risultati dei rischi connessi ad una riduzione delle riserve finanziarie e nette della societa.

Si noti, peraltro, come la disposizione in esame (art. 2467 del codice civile) sia la più recente, poiche il legislatore l’ha introdotta solo con la riforma del diritto delle societa commerciali intervenuta a cura del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6. Cio dimostra come anche i concetti giuridici diano evidenza di fenomeni da sempre considerati ma che nel tempo possono essersi evoluti e modificati, meritando una definizione non solo statica ma prospettica e più adeguata alla moderna impresa commerciale.

 

3. Il concetto di temporanea illiquidità o rischio di insolvenza

La temporanea illiquidita e il rischio di insolvenza rappresentano possibili fattispecie di crisi che non bisogna assolutamente confondere con il concetto di insolvenza previsto dall’art. 5 della legge fallimentare.

Secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte (NOTA 7) la temporanea illiquidita, presupponendo la capacita dell’imprenditore commerciale di acquisire, in un ragionevole lasso di tempo, quei mezzi normali di pagamento, idonei ad estinguere le passivita non più dilazionabili, consiste, al contrario dell’insolvenza, in una crisi economica momentanea e reversibile. Da quanto precede consegue che l’insolvenza, quale stato di illiquidita assoluto e definitivo, costituisce di fatto l’aggravamento irreversibile della temporanea illiquidita (e dunque, attualizzando, dello stato di crisi). Concretandosi sostanzialmente in una situazione economica che, sulla base degli elementi sintomatici raccolti, volgerà allo stato di decozione, il rischio di insolvenza non può certamente essere confuso con il presupposto oggettivo del fallimento o di un’altra procedura concorsuale.

 

4. La crisi e l’insolvenza nel disegno di legge delega della Commissione Rodorf

Come si è anticipato, in data 24 febbraio 2015 è stata istituita la Commissione Ministeriale, c.d. "Commissione Rodorf", per la predisposizione di un disegno di legge delega al Governo per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza.

Nel disegno di legge (di seguito d.d.l.) viene espressamente proposto di "introdurre una specifica definizione della "crisi", quale presupposto - così come l’insolvenza reversibile -  del concordato preventivo, coordinandola con la nozione di insolvenza di cui al vigente art. 5, regio decreto 1942, n. 267, quale presupposto delle procedure liquidatorie".

In base alla bozza di relazione del d.d.l. viene chiarito come sia intenzione della Commissione Rodorf proporre "una prima fondamentale scelta: quella di disegnare un quadro normativo nel quale siano ben delineati i principi giuridici comuni al fenomeno dell’insolvenza, come tali idonei a fungere da chiari punti di riferimento per l’intera gamma delle procedure di cui si discute, sia pure con le differenziazioni di disciplina di volta in volta rese necessarie dalla specificità delle diverse situazioni in cui l’insolvenza può manifestarsi. L’imperativo della semplificazione ed armonizzazione delle procedure non deve infatti travolgere le esistenti peculiarità oggettive, da salvaguardare all’interno di percorsi secondari, ad esse appositamente dedicati. In quest’ottica si renderà necessario che vengano definite in modo non equivoco alcune nozioni fondamentali nella materia in esame, a cominciare da quella di "crisi" (che non equivale all’insolvenza in atto, ma implica un pericolo di futura insolvenza) e di "insolvenza" (che è peraltro nozione già sufficientemente collaudata da molti decenni di esperienza giurisdizionale, onde non parrebbe necessario modificarla rispetto all’attuale formulazione normativa)."

Ed ancora si legge nella bozza di relazione al d.d.l. che "La profonda e generalizzata crisi economica degli ultimi tempi giustifica il ricorso ad una nozione omnicomprensiva d’insolvenza, come evento che può presentarsi ad ogni livello di svolgimento dell’attività economica, sia essa in forma organizzata, professionale o personale: cambiano infatti le dimensioni del fenomeno e la natura degli strumenti per affrontarlo, ma l’essenza resta la stessa, in ogni sua manifestazione.".

Ebbene, pur se è sicuramente apprezzabile l’intenzione e lo sforzo del d.d.l., appare di una certa evidenza come l’articolato si basi su concetti e definizioni del fenomeno della crisi aziendale che, facendo leva sulle nozioni giuridiche poc’anzi ricordate, sembrano difficilmente conciliabili con il reale e dinamico concetto aziendalistico, al quale però il legislatore dovrebbe prestare maggiore attenzione e ispirarsi, soprattutto per regolare il diritto della crisi d’impresa.

La non univocita dei concetti emerge dall’utilizzo - a nostro avviso - non particolarmente coordinato di termini che sono di normale accezione aziendalistica e che solo nei concetti aziendali trovano una loro concreta apprezzabilità e significatività. Il d.d.l. identifica quale ulteriore obiettivo quello di "adottare misure dirette ad incentivare l’emersione anticipata della crisi e la ristrutturazione precoce delle imprese in difficoltà finanziaria", così introducendo un’ulteriore fattispecie di situazione di squilibrio: quella cioè di tipo finanziario, che però è diversa dal concetto di insolvenza, come esposto in precedenza.

Nel d.d.l. viene poi formulato un principio generale volto ad individuare procedure di allerta tramite cui "imporre agli organi di controllo societàri, al revisore contabile o alla società di revisione, l’obbligo di avvisare immediatamente l’organo amministrativo della società dell’esistenza di fondati indizi della crisi". Indizi che non sono univocamente percepibili o qualificabili.

Il d.d.l. si propone, inoltre, di introdurre alcune modifiche al codice civile, tra cui quella di sancire "il dovere per l’imprenditore e degli organi sociali di attivarsi, nel momento in cui sia stato rilevato uno stato di crisi ovvero la perdita della continuità aziendale (NOTA 8), per l’adozione tempestiva di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento al fine del superamento della crisi ovvero per il recupero della continuità aziendale".

Infine, quanto all’amministrazione straordinaria delle imprese o gruppi di imprese di grandi dimensioni con finalità diretta alla conservazione del patrimonio produttivo, si prevede che l’insolvenza sia sempre uno stato rilevante ai fini della predetta procedura, purche sia possibile ipotizzare prospettive di recupero dell’equilibrio economico dell’attività imprenditoriale.

Sembra allora che principi indicati nel d.d.l. non forniscano ancora una qualificazione dei diversi concetti di crisi d’impresa, crisi finanziaria (ovvero difficoltà finanziaria), crisi reversibile, insolvenza ed insolvenza irreversibile.

L’introduzione da parte del legislatore di definizioni non coordinate con la realtà imprenditoriale porterebbe ad una ancora più accentuata confusione e al rischio di valutazioni erronee da parte degli operatori, nonche potrebbe comportare disorientamento negli organi preposti al governo e controllo delle imprese collettive, con il rischio o di non fare emergere effettivamente la crisi d’impresa o di allargare le responsabilità senza benefici per la collettivita.

 

PARTE II

 

Nella seconda parte del documento si offre una definizione dei concetti di crisi e di insolvenza sotto il profilo aziendalistico. Più specificatamente, sono individuati gli elementi qualitativi e informativi della rilevazione degli stadi (crisi e insolvenza) per valutare se un’impresa si trovi effettivamente in condizione di dissesto o potenziale dissesto o viceversa in una condizione di crisi reversibile e per così dire fisiologica e dunque superabile.

 

5. Relazione fra crisi ed insolvenza

Alla luce di quanto accennato nella PARTE I del presente documento, i due concetti richiedono un preliminare inquadramento anche sotto il profilo squisitamente aziendalistico.

Mentre l’insolvenza rappresenta di sicuro una crisi, non è detto che una qualsiasi crisi comporti l’insolvenza o conduca ad essa; infatti, l’azienda può affrontare più momenti di difficoltà, anche profondi, ma non necessariamente strutturali o definitivi, ne tantomeno tali da intaccare la solvibilita. Al riguardo, autorevole dottrina individua ben quattro differenti momenti nell’evoluzione di una crisi, ponendo solo all’ultima fase di un percorso affatto scontato e per nulla deterministico l’eventuale insorgenza di una situazione di dissesto permanente ed irreversibile (NOTA 9).

Pertanto, crisi ed insolvenza, più che fasi o stadi temporalmente differenti ma funzionalmente collegati, rappresentano concetti autonomi e separati; la crisi anticipa l’insolvenza, che ne costituisce un possibile sviluppo o manifestazione (NOTA 10). La crisi, dunque, non necessariamente conduce all’insolvenza, mentre quest’ultima è un effetto della crisi che rileva sulla complessiva capacita di adempiere le obbligazioni aziendali.

Anche nei casi in cui la crisi si riveli potenzialmente anticipatrice dell’insolvenza, vale a dire quando le due fasi manifestano ampie aree di sovrapposizione temporale e causale, le stesse non possono essere confuse o esaminate attraverso gli stessi strumenti di indagine.

L’insolvenza, infatti:

- può essere accertata prevalentemente ex post anche dall’esterno ed attraverso dati contabili e/o consuntivi. Non a caso, i numerosi modelli elaborati in letteratura per la previsione precoce dell’insolvenza assumono sempre, è necessariamente, un carattere probabilistico e richiedono un’interpretazione dei dati che non può in alcun modo prescindere dal margine di errore che inevitabilmente li accompagna (NOTA 11) (rappresentato dall’ampiezza della cosiddetta grey area, da cui possono discendere errori qualificati di primo tipo - errori che ricorrono quando un’azienda insolvente viene erroneamente classificata come sana - e di secondo tipo - riguardanti l’errata inclusione di un’azienda sana tra i casi di insolvenza) (NOTA 12);

- è documentata da ritardi e/o mancati pagamenti.

Al contrario, la crisi, che non si sia ancora cristallizzata originando dunque insolvenza, presuppone una visione non più storica, ma prospettica, tesa ad individuare l’incapacita in futuro di adempiere non solo le obbligazioni già assunte, ma anche quelle prevedibili nel normale corso di attività.

Da quanto detto, al fine di individuare le aree di insistenza dei due fenomeni (crisi e insolvenza), si suggerisce un’impostazione che:

- non escluda la possibilita di ricorrere a dati contabili e/o storici, ma solo nella prospettiva della loro capacita di segnalare futuri squilibri. Parimenti, sono poco significativi allo scopo indicatori contabili, soprattutto se esaminati singolarmente (NOTA 13) - senza, cioè, un adeguato confronto spaziale - temporale ed un’analisi congiunta con ratio e risultati di gestione che abbraccino le molteplici dimensioni economico-finanziarie-patrimoniali d’azienda - ed asetticamente rispetto allo specifico contesto socio-economico in cui opera l’impresa;

- imponga, in ogni caso, una visione dinamica basata sulle prospettive e sulla programmazione aziendale;

- escluda la possibilita per i terzi di verificarne la sussistenza senza avere accesso ai dati interni aziendali;

- suggerisca approcci specifici per le due fattispecie. Ad esempio, mentre è ipotizzabile che vi possano essere indicatori univoci dello stato di insolvenza (reiterata incapacita di adempimento degli oneri previdenziali e dei debiti erariali, pluralita di decreti ingiuntivi di fornitori, ecc.), altrettanto non può necessariamente dirsi per lo stato di crisi antecedente all’insolvenza. Il ricorso alla segnalazione della omissione di versamenti erariali e contributivi, oltre a rivelarsi un indicatore parziale, non consente di intercettare con la necessaria tempestivita situazioni di crisi, rappresentandone al più effetto o manifestazione successiva.

 

6. Esclusioni e definizione dell’oggetto

Per quanto di nostro interesse, occorre analizzare solo quelle fattispecie che possano condurre all’insolvenza, a prescindere dalle diverse cause che le hanno originate.

Come anticipato, nel documento si privilegià un approccio aziendalistico che risulti funzionale ad un inquadramento anche "giuridico" della crisi. In pratica, si tralasciano le varie possibili cause o tipologie di crisi per funzionalizzare gli spunti ai soli processi che conducano all’insolvenza e/o all’impossibilità di adempiere le obbligazioni.

In linea con il predetto approccio, la nozione di crisi viene definita, senza pretese di esaustivita e di rigore scientifico, sulla base del concetto di "incapacità corrente dell’azienda di generare flussi di cassa, presenti e prospettici, sufficienti a garantire l’adempimento delle obbligazioni già assunte e di quelle pianificate".

Tale definizione implica alcuni passaggi fondamentali inerenti a:

- centralita della dimensione finanziaria, sia attuale sia futura, attraverso il riferimento ai cash flow anche attesi;

- estensione anche alle obbligazioni non ancora assunte, ma prevedibili nel normale corso di attività o in base alla programmazione aziendale.

 

7. Modalità di accertamento della crisi

Ad ogni buon conto, va detto che nell’attuale contesto non difettano regole emanate ad uso dei professionisti per intercettare i segnali della crisi.

In tal senso, si richiamano:

- il Principio di revisione (ISA Italia) 570, Continuita aziendale;

- il Principio 11 delle Norme di comportamento del Collegio sindacale di società non quotate del CNDCEC;

- l’OIC 6, Ristrutturazione del debito e informativa di bilancio.

Coerentemente con quanto rappresentato poc’anzi, i citati documenti sottolineano, innanzitutto, l’incertezza che . inevitabilmente - contraddistingue l’individuazione di un effettivo "stato di crisi" aziendale ed evidenziano la necessità di affiancare sempre informazioni di natura qualitativa (ad es., perdita di amministratori o di dirigenti chiave, perdita di mercati fondamentali, di contratti di distribuzione e di concessioni) (NOTA 14) ai più  immediati dati quantitativi e di accompagnare la semplice analisi storica dei risultati con un approfondito esame dei piani di azione futuri della direzione e dei relativi flussi finanziari ed economici previsionali.

I documenti richiamati, pertanto, richiedono una ragionata e complessa disamina endogena che, nell’ambito delle imprese collettive esercitate per tramite dei tipi delle società di capitali, solo il Revisore legale in primo luogo (ove istituito) e subordinatamente il Collegio sindacale possono compiere.

 

8. Dati utilizzabili

Sebbene i modelli di valutazione delle crisi di impresa maggiormente utilizzati dal mondo professionale facciano ampio utilizzo di valori iscritti in bilancio (NOTA 15), deve essere adeguatamente valutato l’esclusivo riferimento a dati contabili storici o a ratio per l’apprezzamento degli equilibri finanziari d’azienda. Infatti, un’impostazione backward looking, basata sull’esperienza passata cristallizzata nei prospetti contabili, risulta insufficiente poiche non consente di scontare le aspettative di evoluzione futura dell’azienda. Inoltre, i ratio possono essere fuorvianti, in quanto troppo diversi per i vari settori e le classi dimensionali, ed estremamente connessi con le peculiaritia del sistema economico-sociale in cui opera l’azienda oggetto di analisi (NOTA 16). Infine, l’introduzione di simili indicatori potrebbe favorire politiche di bilancio, estremamente pericolose per i soggetti a vario titolo coinvolti nell’attività aziendale. In letteratura, infatti, sono ampiamente documentati fenomeni di earnings management o di financial leverage manipulation volti a mostrare situazioni economiche e patrimoniali in equilibrio e, in ogni caso, in grado di soddisfare le condizioni contrattuali minime previste dagli accordi stipulati con i finanziatori (covenant).

Evidentemente, i margini di discrezionalita comunque insiti nelle regole contabili intaccano significativamente modelli di valutazione della crisi basati esclusivamente sui dati contabili (NOTA 17).

 

9. Visione prospettica

Va accordata preferenza ad un’ottica prospettica e di programmazione. In pratica, solo una pianificazione a medio termine può rilevare in modo efficace uno stato di crisi, confermandone la definitivita o anticipandone gli esiti.

Inoltre, oltre a richiedere il ricorso a professionalita aziendali anche esterne all’azienda, l’introduzione di un simile approccio introdurrebbe una logica programmatoria estremamente utile per molte PMI.

 

10. Approccio sistemico

Vanno altresì privilegiàti piani costruiti con rigore e, preferibilmente, su base inerziale dello status; tale soluzione consente, infatti, di prescindere dalla valutazione di complesse azioni industriali, inevitabilmente opinabili e di più difficile verificabilita. In ogni caso, i piani industriali dovrebbero sempre essere accompagnati da un’accurata analisi di scenari alternativi (stress test) che, accanto all’ipotesi . prudenziale - di base, contemplino i flussi previsionali associati ad una potenziale evoluzione peggiorativa (analisi worst) delle principali variabili macroeconomiche, di settore ed economico-finanziarie d’azienda (NOTA 18).

Le conclusioni raggiunte impongono un’impostazione sistemica in grado di sintetizzare i dati disponibili ed esaminarli in una logica unitaria tipicamente aziendalistica. In quest’ottica, occorre partire dai dati storici, anche attraverso indicatori, per poi inquadrarli e collegarli con la pianificazione aziendale per verificarne tanto la coerenza quanto la capacita delle future scelte aziendali di superare eventuali deficienze già individuate e/o previste.

 

11. Strumenti prioritari

Il metodo di privilegiàre le prospettive aziendali non è privo di riflessi sull’adozione degli strumenti di indagine che, tuttavia, lo si ribadisce, devono pur sempre confluire ed essere espressione di una visione di sintesi unitaria dell’azienda esaminata.

In tal senso, assumono rilievo prioritario:

- la capacita di ripianare il debito finanziario con i riflessi operativi (che può essere rappresentata dal rapporto tra il MOL e la Posizione Finanziaria Netta aziendale). Non a caso, la letteratura sul tema ha evidenziato come gli indicatori di bilancio che mostrano una maggiore rilevanza nel sottolineare possibili stati di crisi ed eventuali evoluzioni negative verso condizioni di insolvenza appartengono alla categoria di ratio costruiti come rapporto tra autofinanziamento (cash flow, inteso come variazione del capitale circolante netto operativo) e posizione debitoria (NOTA 19);

- l’indebitamento potenziale, residuo e prospettico (la Centrale rischi, ad esempio, può fornire prime indicazioni sul livello di utilizzo storico degli affidamenti, mentre eventuali accordi con istituti di credito o committment dei soci o di terzi possono rafforzare le aspettative in termini di ulteriori risorse disponibili);

- confronto tra la struttura dei costi aziendali ed il punto di break even con i ricavi attuali o attesi.

L’analisi permette di cogliere l’esposizione a rischi commerciali rappresentati da variazioni dei mercati di sbocco, ma anche di individuare altre criticita (ad esempio, se i piani aziendali prevedessero il raggiungimento del break even mediante incremento significativo nel fatturato, tale circostanza indebolirebbe l’attendibilita delle previsioni, imponendo approfondimenti ed ulteriori verifiche).

 

Conclusioni

E’ ovvia la constatazione che lo stato di insolvenza, quale presupposto oggettivo per la dichiarazione di fallimento dell’imprenditore commerciale, deve ritenersi realizzato ogni qualvolta il patrimonio dello stesso versi in una situazione di oggettiva impotenza economica, funzionale e non transitoria, per la quale costui non sia più in grado di far fronte, con regolarità e mezzi normali, all’adempimento delle proprie obbligazioni, a seguito del verificarsi di eventi che pregiudicano la liquidita e il credito necessari allo svolgimento dell’attività d’impresa.

Il bilancio d’esercizio non sempre è in grado di dimostrare inequivocabilmente lo stato di insolvenza e, dunque, tanto meno di fare emergere inequivocabilmente e univocamente lo stato di crisi.

La realtà contabile è ben altra cosa rispetto alla realtà viva e operativa dell’azienda in attività. Il quadro che emerge dal raffronto tra poste attive e passive, non sempre corrisponde alla situazione patrimoniale - finanziaria effettiva e concreta del patrimonio funzionante.

Perche vi sia allineamento con quest’ultimo occorre un processo rigoroso di impairment degli attivi, con riferimento al valore d’uso determinato in misura corrispondente ai flussi di cassa attesi.

A tale riguardo, si osserva che l'insolvenza prospettica si sostanzia in una situazione di inattitudine ad estinguere il debito con i flussi prospettici al servizio dello stesso. Il patrimonio è pari alla somma algebrica dell’enterprise value e del debito operativo normalizzato (Posizione Finanziaria Netta negativa maggiorata del debito non finanziario scaduto).

L'enterprise value da parte sua corrisponde all’attualizzazione dei flussi prospettici e cioè al risultato dell’impairment test o, in altri termini, al valore d’uso determinato secondo le regole dell’OIC 9 (NOTA 20).

Solo in impairment test rigoroso condotto con riferimento al valore d’uso sulla base dei flussi prospettici, il bilancio di esercizio può provare di per se la presenza di uno stato di insolvenza anche solo prospettica o, quanto meno, l’esistenza di uno stato di crisi. In ogni altra ipotesi il bilancio, ancorato a grandezze statiche, non potrebbe giustificare l’intervento esterno di un’autorità giudiziaria o di terzi estranei all’impresa per l’avvio di un procedimento concorsuale o di regolazione della crisi, che, peraltro, potrebbe essere l’elemento destabilizzante gli equilibri dell’impresa, per le conseguenze reputazionali che ne possono derivare in modo irreparabile.

In quest’ottica, appare opportuno riprendere i concetti espressi dalla migliore dottrina, la quale ha individuato cinque stadi di crisi, di cui solo l’ultimo può rappresentare uno stadio assimilabile o inclusivo di uno stato di insolvenza prospettica.

La crisi d’impresa che non sia sfociata in stato d’insolvenza, quale risultato finale di un processo di deterioramento degli equilibri economici e finanziari, lungo anche parecchi anni, non può essere accertata da una sorta di fermo immagine, che invece cattura un solo istante della situazione patrimoniale dell’impresa.

Per tale accertamento occorre avvalersi di informazioni prospettiche e documentali, che solo alcuni soggetti dispongono e sono in grado di valutare.

L’informazione tratta dai documenti di bilancio, infatti, oltre a dover essere abbinata al calcolo ed interpretazione dei cash flow prospettici, andrebbe letta congiuntamente ad altri indicatori, di natura quantitativa - finanziaria e non - e di natura qualitativa, in una logica integrata di reporting da quelle informazioni ulteriori e necessarie all’esame.

La platea degli interlocutori professionali dell’impresa potrebbe utilizzare gli stessi al fine della preparazione di solvency opinion, intese come attestazioni sulla capacita di adempimento delle obbligazioni ancora in essere alla data di valutazione.

Al fine di individuare i possibili stadi della crisi e le relative valutazioni dei medesimi, si propone la seguente schematizzazione:

 

Stadio della crisi

Rilevanza ai fini di eventuali procedure di composizione della crisi

Elementi per l’informativa e la valutazione

1 Incubazione declino-crisi (fase ordinaria fisiologica) Irrilevante ai fini delle procedure di concordato preventivo liquidatorio e rilevante per altri istituti o concordato preventivo con continuità Rilevabile solo internamente e con strumenti prognostici di determinazione degli equilibri economici e finanziari in ottica di continuità (es. business pian).

Idonea verifica tenuta continuità aziendale secondo Principio revisione (ISA Italia) 570.

2 Maturazione declino-crisi (fase straordinaria fisiologica) Irrilevante ai fini delle procedure di concordato preventivo liquidatorio e rilevante su richiesta del solo imprenditore per altri istituti o concordato preventivo con continuità Rilevabile solo internamente e con strumenti prognostici di determinazione degli equilibri economici e finanziari in ottica di continuità (es. business pian).

Idonea verifica tenuta continuità aziendale secondo Principio revisione (ISA Italia) 570.

3 Crisi conclamata- reversibile (fase straordinaria) Rilevante ai fini del concordato preventivo con continuità e dell'amministrazione straordinaria

Coincide con questa fase anche la difficoltà finanziaria conclamata

Rilevabile solo internamente e con strumenti prognostici di determinazione degli equilibri economici e finanziari in ottica di continuità (es. business pian) in caso di valutazione da parte di terzi occorre potere accedere a informazioni di dettaglio disponibili alla sola impresa.

Idonea verifica tenuta continuità aziendale secondo Principio revisione (ISA Italia) 570.

4 Insolvenza reversibile (fase straordinaria) Rilevante ai fini del concordato preventivo sia liquidatorio sia con continuità e dell'amministrazione straordinaria Rilevabile lo stato di insolvenza con valutazioni di dettaglio preliminari sul bilancio ma con approfondimenti su dati aggiornati e prospettici economico, finanziari e patrimoniali. In caso di valutazione da parte di terzi della reversibilità dell'insolvenza occorre potere accedere a informazioni di dettaglio disponibili alla sola impresa.

Idonea verifica tenuta continuità aziendale secondo Principio revisione (ISA Italia) 570 con adozione strumento previsto dall'ordinamento per superamento crisi e recupero continuità aziendale.

5 Insolvenza (irreversibile) Rilevante ai fini del concordato preventivo liquidatorio, dell'amministrazione straordinaria e del fallimento Rilevabile lo stato di insolvenza con valutazioni su dati di bilancio per evidenza degli equilibri patrimoniali. Per manifestazione esteriore l'inadempimento delle obbligazioni occorre ricorrere a informazioni presso terzi.

 

 

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Note:

(1) In tal senso, S. Pacchi, Crisi di impresa e procedure concorsuali alternative, in Riv. dir. fallim., 1998, 996 e ss.. Si veda anche: Financial reporting council, An Update for Directors of Listed Companies: Going Concern and Liquidity Risk, Novembre 2008; IAASB, Audit Considerations in Respect of Going Concern in the Current Economic Environment, 20 gennaio 2009; CONSOB, Comunicazione n. DEM/9012559 - Procedure di revisione e relazione di revisione in presenza di problematiche connesse alla continuità aziendale, 6 febbraio 2009.

(2) La precisazione effettuata nel penultimo comma dell’art. 160 della legge fallimentare va coordinata con la disposizione recata nel primo comma della norma che, come accennato, concede all’imprenditore in stato crisi di presentare domanda di concordato. Secondo la dottrina, il legislatore avrebbe, allora, utilizzato il termine insolvenza in un significato differente rispetto a quello desumibile dall’art. 5 della legge fallimentare, nel senso, cioe di voler escludere la coincidenza tra crisi economico - patrimoniale e crisi finanziaria, In tal senso anche G. Terranova, Stato di crisi e stato di insolvenza, Torino, 2007, 75.

(3) Confusione che sembra alimentarsi ulteriormente qualora venissero attuati i principi indicati nel disegno di legge delega al Governo per la riforma organica del diritto della crisi d’impresa, nella versione predisposta dalla Commissione Rordorf, secondo il testo noto alla data di redazione del presente documento, su cui si veda infra, par. 4.

(4) Osserva R. Rossi, come "il legislatore ... ha voluto elevare a livello normativo, quale fattispecie qualificante dei modelli prodromici dell’amministrazione straordinaria sul piano sostanziale, la necessità di un’analisi aziendalistica della tipologià e della intensità della ‘crisi di impresà, aprendo così, per la prima volta, il sistema concorsuale all’inserimento dello stesso concetto di crisi in una argomentazione logica di tipo giuridico", in Insolvenza, crisi di impresa e risanamento, Milano, 2003, 52.

(5) Rileva G. Bozza, Le condizioni soggettive ed oggettive del nuovo concordato, Il Fallimento, 2005, 952, come "Tra crisi e insolvenza non sussiste lo stesso rapporto di identità concettuale che corre tra momentanea difficoltà ad adempiere (id est: insolvenza reversibile), e insolvenza irreversibile, essendo il fenomeno crisi ... ancorato a concetti economici indipendenti o comunque non coincidenti con quello dell'impotenza finanziaria a far fronte alle proprie obbligazioni".

(6) Si consideri la particolare ipotesi declinata nell’art. 755 del codice civile relativa all’insolvenza del coerede in caso di immobili ricompresi nell’asse ereditario gravati da ipoteca, insolvenza che non puo essere logicamente sopportata dal creditore ipotecario ovvero alla particolare ipotesi dell’insolvenza del donatario nei casi di azione di restituzione esperita dai legittimari lesi di cui all’art. 562 del codice civile, ipotesi in cui l’insolvenza si trasla su altri soggetti.

(7) Cass. civ. 24 marzo 1983, n. 2055. Orientamento ribadito da Cass. civ. 27 maggio 2015, n. 10952 secondo la quale deve intendersi per insolvenza una situazione irreversibile e non già una mera temporanea impossibilita di regolare l’adempimento delle obbligazioni assunte. Sempre la Suprema Corte ha stabilito che non scatta la condanna in caso di mancato versamento dell’IVA per crisi di liquidita dell’imprenditore, a lui non imputabile. Si veda: Cass. 4 febbraio 2014, n. 5467; Cass. 3 aprile 2014, n. 15176; Cass. 9 settembre 2014, n. 37301.

(8) Con l’evidente richiamo implicito al Principio di revisione (ISA Italia) 570, Continuita aziendale, senza però che sia chiarito il riferimento o il richiamo.

(9) Ci si riferisce, in particolare, a L. Guatri, Turnaround. Declino, crisi e ritorno al valore, Egea, Milano, 1995.

L’Autore, infatti, individua quattro stadi del percorso di crisi in cui è comunque possibile intervenire al fine di evitare che l’impresa entri in situazioni di crisi irreversibili. Un primo stadio e quello dell’incubazione, in cui si manifestano iniziali fenomeni di inefficienza; un secondo stadio e quello della manifestazione della crisi, in cui si cominciano ad intaccare le risorse aziendale con un contestuale incremento dei livelli di indebitamento; nel terzo stadio si osservano gravi squilibri finanziari, con significative ripercussioni sulla fiducia nelle diverse categorie di stakeholder; l’ultimo stadio, cui si giunge solo in assenza di tempestive manovre di risanamento attuate nel corso delle precedenti fasi, consiste nell’insolvenza e nella condizione di dissesto. A tal riguardo, si rinvia anche a: T. Pencarelli, Le crisi di impresa. Diagnosi, previsione e procedura di risanamento (a cura di), Milano 2013, Franco Angeli; M. Ferro, A. Di Carlo, L’istruttoria pre-fallimentare. Procedimento per la dichiarazione di fallimento: un’indagine giuridico-aziendalistica nella prassi dei tribunali italiani (a cura di), Milano 2010, passim.

(10) Sul punto, si rinvia a A. Quagli, A. Danovi, Crisi aziendali e processi di risanamento, Milano, 2012, passim.

11) Tali considerazioni sono valide sia per i modelli più semplici di natura univariata o multivariata (analisi discriminante e modelli logisitici) sia per i sistemi di natura più complessa e riconducibili, ad esempio, alla "survival analysis", alla "conjoint analysis", all’analisi "multicriteri" nonche alle applicazioni delle conoscenze relative alle "reti neurali artificiali" ai problemi legati all’insolvenza di impresa. Per una puntuale analisi bibliografica in merito, si rinvia a: E.I. Altman, E. Hotchkiss, Corporate Financial Distress and Bankruptcy, Third Edition, John Wiley & Sons, Inc., 2006.

(12) Al riguardo, si rinvia a M. Bisogno, I modelli di previsione delle insolvenze. Profili teorici e applicazioni empiriche in ambito giuridico, Franco Angeli, 2013, passim; F. Poddighe, S. Madonna, I modelli di previsione delle crisi aziendali: possibilità e limiti (a cura di) Milano, 2006, passim. Agli errori di prima e di seconda specie sopra citati sono, ovviamente, associati i costi riconducibili alla perdita generata dalla mancata restituzione del prestito concesso dal momento in cui l’azienda diventa insolvente (nel caso di errore di primo tipo) ed al costo opportunita generato dalla rinuncia dei proventi sul prestito non accordato (in presenza di errore di secondo tipo).

(13) Tra i numerosi lavori pubblicati sul tema, si segnala, W. Beaver, Financial ratios on predictor of failure, Empirical Resarch in Accounting, 1966, Vol. 4, 71-111, in cui l’autore analizza la capacita segnaletica dello stato di crisi aziendale e di una possibile emersione di una condizione di insolvenza di trenta indicatori (raggruppati in sei famiglie omogenee rispetto al risultato economico). Tale studio evidenzia il contenuto informativo degli indici di bilancio nell’individuare stati di crisi aziendale e possibili peggioramenti verso condizioni di insolvenza; tuttavia, la maggior parte degli indici adoperati mostra un significativo margine di errore (sia di primo tipo sia di secondo tipo), con percentuali di classificazione fortemente degradanti col procedere a ritroso dell’anno di osservazione delle variabili di bilancio rispetto all’esercizio contraddistinto dalla presunta situazione di crisi aziendale.

(14) Non mancano richiami alla necessità di integrare la tradizionale analisi quantitativa con un esame di fattori di natura qualitativa anche in letteratura. Si rinvia, ad esempio, a M. Peel, D. Peel, P. Pope, Some evidence on corporate failure and the behavior of non-financial ratios, in The Investment Analys del 1985 e Predicting corporate failure - Some results for the UK corporate sector, su Omega del 1986, ove gli autori sottolineano la necessità di aggiungere agli indicatori di bilancio anche alcune variabili qualitative (a titolo di esempio: ritardi temporali nella presentazione dei bilanci o mancata presentazione degli stessi e dimissioni dei dirigenti) volte a catturare vari fenomeni connessi ai rischi di crisi aziendali.

(15) L.J. Mester, What’s the point of credit scoring? In Federal Reserve Bank of Philadelphia Business Review,1997, rileva che il 70% delle banche utilizzano modelli di credit scoring basati su dati contabili per le decisioni connesse alla concessione di debiti.

(16) E.L. Altman, A. Danovi, A. Falini, La previsione dell’insolvenza: l’applicazione dello Z-Score alle imprese in amministrazione straordinaria, in Forum Bancaria, 2013 sottolineano, ad esempio, la scarsa capacita previsionale di modelli di valutazione della crisi di impresa costruiti per il mercato statunitense quando applicati alla realtà italiana. Gli autori, infatti, ritengono che la loro analisi sottolinei la "necessità di riformulare i parametri sulla base delle peculiarità delle imprese italiane caratterizzate da una scarsa capitalizzazione, da un forte ricorso al credito bancario e da politiche di bilancio talvolta scarsamente trasparenti [... ] Per queste ragioni l’applicazione dello Z’ Score e dello Z’’ Score al contesto italiano può rivelarsi complicata non per la bontà del modello ma per le tipicità che caratterizzano il nostro Paese [... ] è auspicabile l’elaborazione di un modello ad hoc che preveda quindi il ricalcolo dei coefficienti di ponderazione della formula adottata per il calcolo dello Z Score."

(17) Per una dettagliata disamina della fattispecie, si rinvia a: A. P. Sweeney, Debt-covenant violations and managers accounting responses, Journal of Accounting and Economics, 1994; I. Dichev, D. Skinner, Largesample evidence on the debt covenant hypothesis, Journal of Accounting Research, 2002.

(18) Al riguardo, A. Quagli, A. Panizza, La sostenibilità del piano industriale: applicazione degli stress test, in Controllo di Gestione, Milano 2011, passim, ricordano che con gli stress test si propongono scenari alternativi, rispetto a quelli previsti nel Piano, ma comunque ritenuti probabili. L’esecuzione di alcuni test potrebbero richiedere la disponibilita di ulteriori informazioni, rispetto a quelle già presenti nel piano, che devono essere prodotte e comunicate dal management.

(19) Si rinvia, sul punto, a W. Beaver, cit., 101, da cui emerge che: "The cash flow to total-debt ratio has the ability to correctly classify both failed and nonfailed firms to a much greater exten that would be possible through random prediction". Sulla capacita degli indicatori di bilancio focalizzati sulla sfera finanziaria di favorire una migliore comprensione del reale stato di crisi aziendale, si legga anche, L. Jooste, An evaluation of the usefulness of cash flow ratios to predict financial distress, Acta Commercii, 2007.

(20) Se il valore d’uso e inferiore al debito operativo normalizzato, il Patrimonio Netto e negativo, la società ha perso il proprio capitale sociale e i flussi di cassa prospettici non consentono il pagamento integrale del debito.