Giurisprudenza - COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE L'AQUILA - Sentenza 26 ottobre 2015, n. 1117

Tributi - Accertamento - Cartella di pagamento - Liquidazione automatizzata del modello Unico - Scissione societaria

 

Fatto e diritto

 

L'Agenzia delle Entrate ha proposto appello avverso la sentenza della CTP di Chieti n. 131/04/13 del 19.3.2013 e depositata il 24.09.2013 con la quale veniva accolto il ricorso presentato contro la cartella di pagamento n. 08320110004349157000, per II.DD. e Iva relativo all'anno 2007.

Nell’atto di impugnazione l’appellante ha dedotto:

- che la cartella di pagamento è stata emessa a seguito della liquidazione automatizzata del modello Unico/2008 presentata per il periodo di imposta 2007 ove risultano emessi i versamenti in acconto e saldo Irap, Ires e Iva e vengono altresì contestati i recuperati i crediti di imposta indebitamente utilizzati, cartella che è stata peraltro preceduta dalla comunicazione predisposta il 28.7.2010. A dire dell'amministrazione finanziaria trattasi di circostanza pacifica agli atti in quanto non contestata dalla parte, convalidando in tal modo l'attività di controllo e liquidazione dell'Ufficio finanziario. Sul punto nessun argomento era stato speso nella sentenza impugnata;

- con riferimento alla scissione societaria evidenziava che secondo il dettato dell'art. 2506 quater co. 3 la scissione ha effetto dall'ultima delle iscrizioni dell'atto di scissione nell'ufficio del registro delle imprese in cui sono iscritte le società beneficiarie; può essere tuttavia stabilita una data successiva, tranne che nel caso di scissione mediante costituzione di società nuove. Per gli effetti a cui si riferisce l'articolo 2501-ter, numeri 5) e 6), possono essere stabilite date anche anteriori. Si applica il quarto comma dell'articolo 2504-bis.

- Qualunque società beneficiaria può effettuare gli adempimenti pubblicitari relativi alla società scissa.

- Ciascuna società è solidalmente responsabile, nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto ad essa assegnato o rimasto, dei debiti della società scissa non soddisfatti dalla società cui fanno carico.

Pertanto sia con riguardo alla scissione parziale che totale, la società beneficiaria è solidalmente responsabile dei debiti della società scissa solo nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto ad esso trasferito quale risultante dal progetto di scissione depositato presso il registro delle imprese. Tale disciplina, tuttavia, non trova applicazione per i debiti tributari, stante l'esistenza di una speciale normativa per l'obbligazione tributaria, ricavabile dalle diposizioni contenute nell'art. 173 co. 13 del dpr 917/86 e nell'art. 15 del D.lvo n. 472/97, con la conseguenza che scaturisce una responsabilità solidale delle società - sia quella scissa che quella beneficiaria - per le violazioni commesse prima della scissione senza alcuna limitazione, a differenza di quanto stabilito dalla norma codicistica sopra richiamata. In ogni caso, poi, a dire dell'appellante la ricorrente non poteva eccepire il limite del patrimonio netto alla copertura del debito tributario, stante la previsione - in sede di scissione - di un fondo di accantonamento per la copertura prudenziale di somme dovute all'erario. Di tale fondo - che assolve la funzione di liquidare le imposte dovute all'amministrazione finanziaria - ne risponde la società beneficiaria avendone acquisito la posta di debito accantonato.

Per tali motivi ha chiesto l'accoglimento dell'appello con conseguente condanna dell'amministrazione al pagamento delle spese.

Nel costituirsi in giudizio l'appellata, dopo aver svolto considerazioni sulla possibilità di impugnare la cartella esattoriale, ha evidenziato che nessuna acquiescenza era stata prestata alla quantificazione della somma. Quanto alla questione concernente il limite del patrimonio netto conferito alla beneficiaria, richiamava il dettato dell'art. 2506 quater co. 3 c.c., che non lasciava margini di dubbio. Per contro ha sostenuto la non pertinenza del richiamo alla norma speciale invocata dall'amministrazione finanziaria, giacché la solidarietà per le sanzioni tributarie incontra l'ordinario limite codicistico. Infine ha evidenziato che il fondo di accantonamento riguardava debiti tributari diversi e l'amministrazione non aveva fornito alcuna prova atta a dimostrare la riconducibilità del debito risultante dal progetto di scissione all'attuale ben diversa richiesta erariale.

Chiedeva pertanto, previa declaratoria di inammissibilità del ricorso per omessa notifica alla parte Equitalia Centro spa, il rigetto dell'appello con vittoria di spese.

Si è costituita in giudizio anche Equitalia Centro Spa chiedendo l'accoglimento dell'appello con vittoria di spese.

Deve essere in primo luogo respinta la richiesta di declaratoria di inammissibilità avanzata dall'appellata con riguardo all'asserita omessa notifica dell'appello all'agente della riscossione.

Da un semplice esame dei documenti contenuti nel fascicolo processuale risulta che l'atto è stato notificato in data 25.3.2014; la costituzione in giudizio della Equitalia centro spa rende superflua ogni ulteriore argomentazione.

Con riguardo all'asserito difetto di motivazione in tema di avviso di accertamento se è vero che l'ente impositore deve procedere ad una preventiva istruttoria (nei limiti e nei termini in cui essa si renda necessaria) per accertarsi della sussistenza di tutti i relativi presupposti (positivi e negativi) prima di emettere un atto impositivo, non è altrettanto vero che sempre e necessariamente di tutti i passaggi - talora impliciti - di tale preventiva attività si debba dare conto nella motivazione dell'atto medesimo, atteso che le due attività predette (istruttoria e motivazione) rispondono a finalità affatto differenti, non implicanti una necessaria coincidenza tra i relativi contenuti.

In particolare, il Decreto Legislativo n. 504 del 1992, articolo 11, comma 2 bis, imponendo che gli avvisi di liquidazione e di accertamento in tema di ICI devono essere motivati in relazione ai presupposti di fatto ed alle ragioni giuridiche che li hanno determinati, non comporta necessariamente che la motivazione dei suddetti avvisi debba, sempre e in ogni caso, prevedere l'esposizione delle ragioni giuridiche anche in relazione al mancato riconoscimento di ogni possibile esenzione prevista dalla legge ed astrattamente applicabile, posto che, in assenza di situazioni specifiche richiedenti una motivazione, nella maggior parte dei casi non è necessaria la specifica esposizione delle ragioni dell'implicito disconoscimento di operatività di possibili esenzioni, e che, diversamente opinando, si finirebbe per espandere in misura irragionevole l'obbligo di motivazione gravante sull'Amministrazione, estendendolo alla dimostrazione negativa di situazioni eventuali ed astratte e così esorbitando dalle finalità proprie di esso, in contrasto con elementari criteri di economicità ai quali (anche) deve essere improntata l'attività della P.A..

L’idoneità della carenza di motivazione a determinare la nullità dell’atto dell’agente della riscossione, tuttavia, è stata esclusa in riferimento alla cartella di pagamento emessa ai sensi dell’art. 36 bis DPR 600/1973. La Corte di Cassazione, con la sentenza 27455 del 9/12/2013, ha statuito che la cartella di pagamento con cui l’Amministrazione finanziaria procede al recupero delle imposte dichiarate dal contribuente e non versate non necessita di motivazione. Non risultano applicabili, infatti, né l’art. 7 della legge 212/2000 né l’art. 25 DPR 602/1973 dal momento che "la pretesa tributaria scaturisce dall’obbligazione di versamento delle imposte determinate nella dichiarazione del contribuente in assenza di incertezze su aspetti rilevanti di quest’ultima non ravvisabili nel caso di mero errore materiale".

Quanto alla questione concernente la scissione societaria deve essere in primo luogo fatto osservare come la responsabilità per i debiti fiscali, relativi a periodi d'imposta anteriori l'operazione di scissione parziale, sia stata disciplinata dall'art. 173, comma 13, d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917 mediante aggiunta di un elemento specializzante rispetto alla omologa responsabilità riguardante le obbligazioni civili.

E ciò nel senso che, fermi gli obblighi erariali in capo alla scissa e alla designata, la disposizione in esame stabilisce che per i debiti fiscali rispondono non solo solidalmente ma altresì illimitatamente tutte le società partecipanti all'operazione.

Salvo, sempre, il diritto di esercitare il regresso nei confronti degli altri coobbligati.

Lettura questa palesemente confermata dall'art. 15, comma 2, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 che, dal lato interpretativo sistematico, coerentemente prevede che le società partecipanti la scissione siano tutte solidalmente e illimitatamente responsabili per le somme dovute per le violazioni tributarie. E, nella appena veduta previsione di una illimitata responsabilità solidale, sta appunto il carattere eccezionale della disciplina fiscale della solidarietà discendente dalle operazioni di scissione parziale.

Ed invero, come osservato dalla Suprema Corte, anche per le obbligazioni civili della scissa esiste solidarietà tra tutte quante le partecipanti all'operazione, ma in questo caso nei ligniti di cui agli artt. 2506 bis, comma 2 e 2506 quater, comma 3, c.c. (Cass. sez. III n. 15088 del 2001).

Il principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione è quindi il seguente: "In una fattispecie di operazione di scissione parziale, per i debiti fiscali della scissa relativi a periodi d'imposta anteriori l'operazione, rispondono, ai sensi dell'art. 173, comma 13, d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917, solidalmente "illimitatamente tutte le società partecipanti la scissione, come del resto conferma dal lato della interpretazione sistematica l'art. 15, comma 2, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, che con riguardo alle somme da pagarsi in conseguenza di violazioni fiscali commesse dalla scissa prevede la solidarietà illimitata di tutte le beneficiarie. E questo differentemente dalla disciplina della responsabilità delle partecipanti la scissione relativa alle obbligazioni civili, per la quale, invece, gli artt. 2506 bis, comma 2 e 2506 quater, comma 3, c.c. prevedono precisi limiti" (cfr. in tal senso Cass. 24.6.2015 n. 13059). Conclusivamente l'appello va accolto.

Ogni ulteriore motivo resta assorbito.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Accoglie l’appello, conferma la cartella di pagamento e condanna l'appellata al pagamento delle spese del grado liquidate in € 2.000,00 per ciascuna parte processuale.