Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 30 ottobre 2015, n. 22252

Tributi  - IVA, IRPEF ed IRAP - Reddito d’impresa - Accertamento induttivo

 

Svolgimento del processo

 

La Commissione tributaria della regione Campania con sentenza 21.4.2009 n. 151 ha accolto l’appello proposto dall’Ufficio di Avellino dell’Agenzia delle Entrate ed in totale riforma della sentenza di prime cura ha dichiarato legittimo l’accertamento induttivo eseguito, ai sensi dell’art. 39 co 1 lett. c) Dpr n. 600/73, nei confronti della ditta individuale R.P. esercente attività di ristorazione, che aveva rideterminato, ai fini IVA, IRPEF ed IRAP, il reddito d’impresa in € 132.619,00 in luogo di € 5.355,00 esposto nella dichiarazione fiscale relativa all’anno 2002.

I Giudici tributari di appello hanno ritenuta corretta la rilevazione dei maggiori ricavi effettuata sulla scorta delle quantità delle materie prime utilizzate desunte dal conto economico, depurate dello "sfrido" e moltiplicate per il prezzo medio delle consumazioni rilevato dalla lista prezzi, non trovando applicazione retroattiva la norma dell’art. 10 co 4 bis della Legge n. 546/1998 che precludeva l’accertamento in caso di adeguamento dei ricavi ai risultati degli studi di settore ovvero di discordanze non superiori al 40% del dichiarato.

La sentenza di appello, non notificata, è stata ritualmente impugnata per cassazione dal contribuente - con atto notificato in data 26.5.2010 alla Direzione provinciale di Avellino dell’Agenzia delle Entrate - deducendo con due motivi vizi di attività di giudizio e vizio di motivazione.

Non ha resistito la parte intimata, limitandosi a partecipare alla discussione.

Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 39, comma 1, lett. c), Dpr n. 600/73, in relazione all’art. 360 co 1 n. 3) c.p.c., ritenendo errata la statuizione della CTR secondo cui l’Ufficio era legittimato ad accertare le maggiori pretese impositive ricorrendo al metodo induttivo-analitico, in quanto il riferimento nell’avviso al metodo di accertamento analitico precludeva alla Amministrazione finanziaria di fondare la pretesa su prove presuntive, anziché su elementi certi e diretti desunti dalla dichiarazione o dalle scritture contabili.

Il motivo è inammissibile:

a) per violazione dell’art. 366 co 1 n. 4 c.p.c., non essendo stato trascritto il contenuto dell’avviso di accertamento e dunque non essendo consentito a questa Corte individuare quali siano i presupposti di fatto e le ragioni di diritto indicati dall'Ufficio finanziario a fondamento della pretesa: la legittimità della pretesa fiscale deve essere accertata, infatti, con riferimento ai fatti ed alle ragioni esposti nell’atto impositivo, non potendo costituire elemento dirimente l’eventuale errato richiamo della norma tributaria sull’accertamento, che rimane privo di effetti invalidanti sull’atto impositivo;

b) per carenza di interesse: la parte ricorrente non deduce quale conseguenza giuridica sull’atto impositivo comporterebbe l’asserita discrasia tra l’indicazione della norma tributaria ed il contenuto motivazionale dell’avviso di accertamento, tenuto conto che l’eventuale errore della norma richiamata non ricade tra i vizi di nullità previsti dall’art. 42 Dpr n. 600/73.

Il secondo motivo con il quale è dedotto il vizio logico di motivazione ex art. 350 co 1 n. 5 c.p.c. è anch’esso inammissibile in quanto:

a) la parte ricorrente non ha assolto all’onere, imposto a pena di inammissibilità dall’art. 366 bis c.p.c. (norma applicabile ratione temporis), della "chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione": tale adempimento integra un "quid pluris" rispetto alla illustrazione del motivo, così da consentire al giudice di valutare immediatamente la ammissibilità del ricorso stesso, e dunque non si identifica con il requisito di specificità del motivo ex art. 366 comma 1, n. 4) cod. proc. civ., ma assume l'autonoma funzione volta alla immediata rilevabilità del nesso eziologico tra la lacuna o incongruenza logica denunciata ed il fatto ritenuto determinante, ove correttamente valutato, ai fini della decisione favorevole al ricorrente (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 20603 del 01/10/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 11019 del 19/05/2011; id. Sez. 5, Sentenza n. 5858 del 08/03/2013).

b) la censura formulata si limita a ritenere "non convincente" il giudizio probatorio formulato dalla CTR, omettendo del tutto di indicare - in relazione alla asserita arbitrarietà di taluni elementi di calcolo dell’imponibile - gli elementi probatori contrari e decisivi che i Giudici di merito avrebbero disatteso od erroneamente valutato, risolvendosi pertanto la censura nella inammissibile richiesta di un nuovo giudizio di merito.

c) laddove la parte avesse inteso poi criticare la violazione delle regole di formazione della prova presuntiva ex artt. 2727 e 2729 c.c., avrebbe dovuto allora richiedere la verifica di legittimità secondo il diverso parametro del vizio di "error juris" (art. 360 co 1 n. 3 c.p.c.), e non del vizio motivazionale, evidenziando inoltre specificamente la regola di diritto disattesa dalla CTR.

In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile, non occorrendo procedere alla liquidazione delle spese di lite in difetto di difese svolte dalla parte intimata.

 

P.Q.M.

 

- Dichiara inammissibile il ricorso.