Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 29 ottobre 2015, n. 22093

Fallimento e procedure concorsuali - Insolvenza transfrontaliera - Apertura della procedura secondaria d’insolvenza nello stato in cui la società ha sede legale - Legittima

 

Svolgimento del processo

 

1. - A seguito di istanze di dipendenti e di creditori della s.r.l. unipersonale I. Italia in liquidazione (società operante nel settore dell'industria grafica), con sede legale e stabilimento in Castellamonte (TO), il Tribunale di Ivrea, con sentenza del 20 ottobre 2008, dichiarò il fallimento di tale Società, quale procedura secondaria ai sensi degli artt. 3, par. 2, 27 e ss. del Regolamento (CE) n. 1346/2000 del Consiglio, del 29 maggio 2000, relativo alle procedure di insolvenza, limitatamente ai beni presenti in Italia; ciò, in considerazione del fatto che la stessa Società era stata precedentemente sottoposta in Francia alle procedure di redressement judiciaire e di liquidation judiciaire che il Tribunal de Commerce de Roubaix- Tourcoing aveva previamente instaurato con jugement, rispettivamente, del 21 aprile 2008 e del 15 luglio-25 novembre 2008.

2. - Avverso tale sentenza la s.r.l. I. Italia in liquidazione propose reclamo alla Corte d'Appello di Torino, al quale resistettero il Fallimento della s.r.l. I. Italia in liquidazione e tutti i creditori istanti.

La Corte adita, con la sentenza n. 361/2009 del 10 marzo 2009, ha rigettato il reclamo.

In particolare, per quanto in questa sede rileva, la Corte ha motivato come segue:

A) «Il contrasto interpretativo sorge [....] lì dove si tratta di stabilire se sia possibile aprire una procedura secondaria, come tale concorrente con quella principale secondo le disposizioni del Regolamento n. 1346/2000, allorché non vi sia una pluralità di sedi produttive o amministrative della stessa impresa dislocate in territori cui fanno capo ordinamenti giuridici diversi, ma esista un solo sito di produzione dell'attività economica, per di più coincidente con la sede legale. Il problema specifico nasce dal fatto che il Tribunale di commercio di Roubaix-Tourcoing, premesso che la I. Italia è società del gruppo omonimo, con a capo la I. Group, holding finanziarla di diritto belga che detiene il 100% delle quote delle partecipate, tra cui, appunto, la I. Italia e la I. Francia, ha ritenuto che il socio di maggioranza della holding, D.M., titolare del 93% delle quote di quest'ultima, gestiva le attività del gruppo e delle partecipate dalla sede della I. Francia, posta in Croix. Presso tale sede, ha ritenuto il giudice transalpino, si svolgeva l'effettiva attività di direzione generale, operativa e strategica, era assunta la maggior parte delle decisioni riguardanti il gruppo e ciascuna società controllata, si svolgevano le riunioni con i responsabili operativi delle entità straniere e si definivano le politiche commerciali. Tutto ciò, secondo il Tribunale francese, vale a superare la presunzione semplice di corrispondenza del centro degli interessi principali della società italiana con la sede legale, sita in Castellamonte, e a radicare in Francia la procedura d'insolvenza principale.

A1) «Per le ragioni premesse è certo che la pronuncia del giudice francese non possa essere messa in discussione in questa sede [...].

È altrettanto indiscutibile, pertanto, che non è possibile instaurare altra procedura d'insolvenza principale nei confronti della I. Italia. Da tale premessa non può farsi scaturire, però, la conclusione sostenuta dalla parte reclamante, affetta da un'intrinseca contraddizione logico-giuridica che, basata su un'impropria scissione del contenuto del provvedimento giurisdizionale che ha instaurato la procedura principale, contrasta con l'interpretazione teleologico-sistematica della fonte comunitaria. Il riconoscimento della decisione dell'autorità francese, ex art. 16 del Regolamento comporta non solo che non possa essere aperta in altri Stati membri altra procedura principale, ma implica altresì - l'una affermazione non potendosi separare dall'altra - l'accertamento positivo, del pari efficace in ogni Stato membro, che il centro degli interessi principali della I. Italia s.r.l. non coincide con la relativa sede legale, ubicata in Castellamonte. Detta efficacia determina la formazione di una regula iuris assimilabile a quella di un giudicato esterno [viene richiamata la sentenza delle S.U. n. 9743 del 2008], che come tale non può essere contraddetta in nessuna delle proposizioni in cui si articola la ratio decidendi. Ciò premesso, la sentenza francese non afferma, né del resto avrebbe potuto affermare per difetto di competenza comunitaria al riguardo, che la sede di Castellamonte non possa essere considerata quale dipendenza ai fini di un'eventuale procedura secondaria. Al contrario, ritenendo superata la presunzione semplice di cui all'art. 3, par. 1, del Regolamento, lascia impregiudicato il problema della qualificazione giuridica della struttura produttiva di Castellamonte. La soluzione proposta dal reclamante; giocata su ciò, che la coesistenza di una procedura principale e di una secondaria è ammissibile solo a condizione che ricorra una pluralità di sedi, non trova riscontro nella disciplina positiva. Il Regolamento [....] distingue non già tra sede principale e sedi secondarie, ma fra centro degli interessi principali e dipendenza; e nell'operare tale suddivisione non afferma che l'una e le altre siano connotate da analoghe strutture produttive differenziate fra loro in senso quali-quantitativo. Al contrario, il centro degli interessi principali ben può prescindere dal luogo in cui è ubicato il fattore capitale e dislocata la forza lavoro, tant'è che per le società il C.O.M.I. [Center Of Main Interests] si presume, salvo prova contraria, coincidente con la sede statutaria e non già con il principale stabilimento. Pur nella sua genericità, la dipendenza è tipizzata, invece, dall'art. 2, lett. h), del Regolamento, che fa qualifica come "luogo di operazioni in cui il debitore esercita in maniera non transitoria un'attività economica con mezzi umani e con beni", il quale presuppone un rapporto subalterno non necessariamente rispetto ad altra struttura produttiva, ma con il principale centro direttivo, abbia o non quest'ultimo una propria autonomia sotto il profilo strettamente aziendale»;

A2) «Vi è un'ulteriore ragione ostativa ad impostare la soluzione del problema in esame nei termini indicati dalla parte reclamante, ossia nel senso che vi sia un'incompatibilità di tipo ontologico tra dipendenza e sede unica e che, pertanto, aperta la procedura principale non possa essere instaurato un procedimento secondario in funzione liquidatoria dei beni dell'unica sede, ancorché ubicata in uno Stato diverso da quello in cui pende la procedura principale. Sebbene sia il centro degli interessi principali sia la dipendenza siano concetti che il Regolamento associa alla figura del giudice competente (vedi gli artt. 3, 16 e 27), solo il primo assolve la funzione di individuare all'interno degli Stati membri quali siano i giudici investiti della competenza comunitaria. La nozione di dipendenza opera, invece, a ben vedere, non come criterio di competenza, essendo quest'ultima destinata a ripartirsi secondo le regole proprie dell'ordinamento giuridico nazionale cui la dipendenza si associa ratione loci, ma quale unica condizione oggettiva di ammissibilità della procedura secondaria (non essendo necessaria, ai sensi dell'art. 27, la verifica dello stato di insolvenza, siccome già effettuata dal giudice che ha disposto la procedura principale). La diversa valenza dei due concetti esclude che il riconoscimento della pronuncia che dispone la procedura principale possa ipotecare in alcun modo il tema di ammissibilità di quella secondaria. L'efficacia del primo opera a livello processuale, impedendo un'ulteriore e antagonista dichiarazione di insolvenza principale da parte di giudici di altro Stato membro, nonché a livello determinativo della lex fori concursus (art. 4), ma non anche nel senso di precludere o limitare l'accertamento delle condizioni di instaurazione di un procedimento di insolvenza secondario. Non solo, ma proprio la circostanza che il centro degli interessi principali dell'impresa debitrice è accertato una e una sola volta ed è riconosciuto in via di self execution in tutti gli Stati membri, con una forza parificabile al giudicato, provoca, semmai, un effetto opposto nei procedimenti intesi ad instaurare procedure secondarie, perché impedendo di rimettere in discussione l'individuazione del C.O.M.I., osta, altresì, che il concetto di dipendenza possa essere escluso in un dato caso non perché irriducibile alla relativa nozione tipica, ma in quanto coincidente con il centro degli interessi principali, ancorché questo sia stato già altrimenti fissato dal provvedimento di apertura del procedimento principale».

B) «Anche le sollevate obiezioni di funzionalità delle due procedure, in quanto concorrenti sui medesimi beni, sicché la secondaria finirebbe per sottrarre alla principale il suo stesso oggetto, non sembrano possedere un'efficacia dirimente. Nel Regolamento [....] universalità e territorialità sono destinate non solo a contemperarsi, ma anche a coadiuvare tra loro in funzione servente rispetto al principio di cooperazione fra gli Stati membri nel perseguire l'obiettivo di un miglior funzionamento del mercato interno [viene richiamato ed esplicitato il 19° Considerando del Regolamento]. Che i due principi non operino l'uno in funzione di limite esterno dell'altro, ma in vista del conseguimento di un risultato necessariamente comune, è dimostrato, del resto, da svariate diposizioni che confermano l'interscambio tra le due procedure [viene richiamata la disciplina di cui agli artt. 31, par. 1, 2 e 3, 32, par. 1, 2 e 3, 33, 34 e 37]. Da siffatto angolo prospettico imposto dallo spirito e dalle norme del Regolamento, appare recessiva tanto l'idea di attribuire una sorta di primato assoluto al principio di universalità, secondo una logica di privativa giurisdizionale, quanto la congettura che il criterio di territorialità ne costituisca il sia pur parziale antidoto, operando in un'ottica di separazione patrimoniale. Proprio la circostanza per cui la procedura secondaria presenta ampi margini di intervento a vantaggio del curatore del procedimento principale dimostra che i principi di cooperazione e di reciproco affidamento prevalgono nel perseguire un interesse comune, consistente nel governare efficacemente l'insolvenza nell'interesse dei creditori e non degli Stati»;

B1) «Nel caso che qui ne occupa, l'assenza (peraltro affermata e non dimostrata) di qualsivoglia attivo nella procedura principale diverso dai beni ricadenti nel procedimento secondario non ostacola l'esercizio di alcuna delle facoltà attribuite al curatore della procedura principale (né per contro impedisce ai creditori insinuati o che si insinueranno in quest'ultima di far valere le proprie ragioni nel diverso ambito territoriale), sicché la prefigurata assenza di due diverse masse attive non costituisce argomento per escludere l'ammissibilità della dichiarata procedura secondaria».

C) «Né tanto meno è denunciabile una carenza di interesse a quest'ultima [procedura secondaria] da parte dei creditori, per il fatto che la sentenza impugnata avrebbe provocato la sospensione della liquidazione dei beni già avviata dal curatore della procedura principale. Ciò per l'ovvia considerazione che: a) l'interesse ad agire in via esecutiva (e tale è quella che si svolge con le forme concorsuali) è dato dalla legge e si sottrae pertanto, alla valutazione del giudice (che può essere effettuata solo per le azioni di accertamento mero); b) la carenza di interesse ad agire non può essere autocertificata dalla stessa parte che resiste all'azione, sostituendo il proprio giudizio a quello dell'attore sulle prospettive di miglior appagamento della pretesa».

3. - Avverso tale sentenza la s.r.l. I. Italia in liquidazione e in liquidation judiciaire ha proposto ricorso per cassazione, deducendo cinque motivi di censura.

Resistono, con distinti controricorsi, il Fallimento della s.r.l. I. Italia in liquidazione e l'avvocato S.S.

4. - Il Procuratore generale, all'esito dell’odierna udienza di discussione, ha concluso, chiedendo il rigetto o, in subordine, l'inammissibilità del ricorso.

 

Motivi della decisione

 

1. - Con il primo motivo (con cui deduce: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 e dell’art. 2, lett. h, del Regolamento, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., laddove la Corte d'Appello ha ritenuto che tali norme consentono l'apertura di più procedure di insolvenza anche nel caso in cui l'impresa abbia un'unica sede»), la ricorrente critica la sentenza impugnata (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2., lettera A1), e - sulla premessa che la Società ha un'unica sede in Italia (Castellamonte) e che la procedura principale è stata legittimamente aperta in Francia in quanto il C.O.M.I. [Center Of Main Interests] ivi era stato individuato - sostiene che la corretta interpretazione degli articoli del Regolamento conduce alla conclusione che non è consentito aprire una procedura secondaria nel caso - quale quello di specie - in cui l'impresa abbia un'unica sede.

Con il secondo motivo (con cui deduce: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 e dell’art. 27 del Regolamento, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., laddove la Corte d'Appello ha ritenuto ammissibile l'apertura di una procedura secondaria di insolvenza la cui massa attiva e passiva coincide perfettamente con la massa attiva e passiva della procedura principale di insolvenza precedentemente aperta in un altro ordinamento»), la ricorrente critica ancora la sentenza impugnata (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2., lettere B e B1), sostenendo che l'interpretazione della Corte torinese conduce ad una palese contraddizione in contrasto con gli artt. 3 e 27 del Regolamento - «da un lato si afferma (correttamente) che il principio di universalità e territorialità devono convivere nel perseguimento di un unico obiettivo comune, anche perché non vi è supremazia dell'uno sull'altro e, dall'altro, si ritiene (erroneamente) che la procedura secondaria ben possa privare quella principale di tutto l'attivo e di tutto il passivo, paralizzandola e rendendola di fatto inutile e priva di efficacia» (cfr. Ricorso, pag. 36) -, e che, invece, l'art. 27 presuppone che ad una pluralità di procedure corrisponda una pluralità di sedi e, quindi, di masse attive.

Con il terzo motivo (con cui deduce: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 2, lett. h, e dell’art. 3 del Regolamento, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., laddove la Corte d'Appello ha ritenuto che tali norme legittimino l'apertura di una procedura secondaria di insolvenza nonostante la pacifica e definitiva cessazione della attività di impresa della I., intervenuta prima che fosse stata presentata l'istanza di apertura della procedura secondaria»), la ricorrente critica la sentenza impugnata per le ragioni indicate in rubrica.

Entrambi i controricorrenti eccepiscono l'inammissibilità di tale motivo, sia perché conterrebbe una censura del tutto nuova (Controricorso Fallimento, pag. 32; Controricorso S., pag. 33), sia perché si risolverebbe in una inammissibile richiesta di riesame del fatto (Controricorso S., pag. 33).

Con il quarto motivo (con cui deduce: «Insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all'art. 360, n. 5, c.p.c laddove la Corte d'Appello, pur riconoscendo il principio di riconoscimento automatico della decisione francese di apertura della procedura principale di insolvenza, di cui all'art. 16 del Regolamento, ha poi di fatto privato tale decisione di qualsivoglia contenuto, avendo confermato la legittimità della sentenza del Tribunale di Ivrea di apertura di una procedura secondaria di insolvenza avente ad oggetto esattamente i medesimi beni già assoggettati alla procedura principale francese»), la ricorrente critica la sentenza impugnata anche in ragione degli illegittimi effetti dalla stessa prodotti: una illecita sovrapposizione delle due procedure sulle stesse identiche masse attive e passive; una paralisi della procedura principale francese, che non è stata affatto riconosciuta all'interno dell'ordinamento italiano ma, al contrario, è stata resa di fatto inefficace all'interno dello stesso ordinamento; un assurdo quanto deprecabile conflitto positivo di giurisdizione tra il Tribunale francese e il Tribunale di Ivrea.

Con il quinto motivo (con cui deduce: «Violazione e falsa applicazione dell'art. 100 c.p.c. e dell'art. 29 del Regolamento, in relazione all'art. 360 n. 3, c.p.c., laddove la Corte d'Appello ha ritenuto che (I) sussista l'interesse ad agire degli odierni Resistenti (II) l'interesse ad agire in via esecutiva anche nelle forme concorsuali, si sottragga alla valutazione del Giudice e (III) la carenza di interesse ad agire non possa essere eccepita dalla parte che resiste all'azione, con riferimento alle prospettive di miglior soddisfazione della pretesa avanzata dall'attore»), la ricorrente - sulla premessa che manca una "dipendenza" dell'impresa in Italia - critica la sentenza impugnata (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2., lettera C), sostenendo in definitiva che gli odierni resistenti non subirebbero alcun danno dalla mancata apertura di una procedura secondaria in Italia.

1.1. - Preliminarmente, il controricorrente S.S. eccepisce l'inammissibilità del ricorso per due diverse ragioni: in primo luogo, perché il ricorso medesimo sarebbe intempestivo; in secondo luogo, «per incertezza sull'identità e rappresentanza della parte ricorrente».

Ambedue le eccezioni sono infondate.

La prima, perché - posto che la sentenza impugnata è stata notificata in data 23 marzo 2009 -, contrariamente a quanto affermato dal controricorrente, la consegna del ricorso per cassazione all'ufficiale giudiziario è avvenuta in data 22 aprile 2009, il giorno successivo 23 aprile 2009 essendo stato dato soltanto inizio al procedimento di notificazione a mezzo del servizio postale, con la spedizione del plico raccomandato.

La seconda, perché - posto che l'intestazione del ricorso e la procura ad litem a margine dello stesso indicano il Sig. J.T. quale «mandataire prò tempore» e il Sig. F.B. quale «liquidatore prò tempore» della s.r.l. unipersonale I. Italia in liquidazione - è del tutto evidente che il primo nominativo si riferisce alla procedura francese di liquidation judiciaire, mentre il secondo è il vero e proprio organo rappresentativo della Società, posta in liquidazione volontaria in Italia con la deliberazione assunta in data 6 marzo 2008, sicché, a tutto concedere, il primo nominativo sarebbe meramente sovrabbondante e privo di effetti e, dunque, non vizierebbe la procura ad Iitem.

2. - Il ricorso non merita accoglimento.

2.1. - La fattispecie sottostante al presente ricorso sta in ciò: a) che il Tribunal de Commerce de Roubaix-Tourcoing - con jugement, rispettivamente, del 21 aprile 2008 e del 15 luglio-25 novembre 2008 - ha disposto, prima, la messa in amministrazione controllata di tutte le società del Gruppo I. (procedura di redressement judiciaire), ivi inclusa la s.r.l. unipersonale I. Italia in liquidazione, e ha aperto, poi, una "procedura di insolvenza principale", in particolare di liquidation judiciaire, anche nei confronti della s.r.I. unipersonale I. Italia in liquidazione, ai sensi dell'art. 3, par. 1, del menzionato Regolamento n. 1346 del 2000, in considerazione del fatto che «il centro degli interessi principali» di tale Società era situato in Francia; b) che successivamente, a seguito di istanze di dipendenti e di creditori della stessa s.r.I. unipersonale I. Italia in liquidazione (società operante nel settore dell’industria grafica), con sede legale e stabilimento produttivo in Castellamonte (TO), il Tribunale di Ivrea - considerata tale Società «dipendenza» della Società insolvente in Francia, e ritenuto di poter aprire una "procedura secondaria" di insolvenza ai sensi degli artt. 3, par. 2, e 27 e ss. del medesimo Regolamento (CE) n. 1346 del 2000 -, con sentenza del 20 ottobre 2008, ha dichiarato il fallimento della stessa Società, limitatamente ai beni presenti in Italia.

Alcuni dei motivi del ricorso pongono la specifica questione - che, per la prima volta, è sottoposta all'esame di questa Corte - consistente nello stabilire se, nella su descritta fattispecie, sia legittimo o no, ai sensi dell'art. 3, par. 2, del Regolamento (CE) n. 1346 del 2000, relativo alle procedure di insolvenza, aprire in Italia una procedura di insolvenza secondaria di una società con unica sede legale e produttiva in Italia, successivamente all'apertura in Francia di una procedura di insolvenza principale della medesima società, ove questa ha «il centro degli interessi principali», ai sensi dell'art. 3, par. 1, dello stesso Regolamento medesimo.

3.2. - Il quadro normativo di riferimento, pertinente per la risoluzione di tale questione e, comunque, per la decisione sui motivi del ricorso, è costituito, per un verso, da alcune diposizioni del citato Regolamento n. 1346 del 2000, per l'altro - ancorché parzialmente -, dalla recente sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea (Prima Sezione) 4 settembre 2014, pronunciata nella causa C-327/13, sentenza che, sebbene non richiamata da nessuna delle parti (le quali non hanno depositato memoria ai sensi dell'art. 378 cod. proc. civ.), rileva con efficacia vincolante - come si vedrà più oltre in dettaglio - per l'interpretazione e per l'applicazione dello stesso Regolamento alla fattispecie.

2.2.1. - Quanto alle disposizioni del menzionato Regolamento sono rilevanti:

a) l'art 2 (intitolato «Definizioni»), lettera h), secondo cui: «Ai fini del presente regolamento, s'intende per: [....] h) "Dipendenza", qualsiasi luogo di operazioni in cui il debitore esercita in maniera non transitoria un'attività economica con mezzi umani e con beni». Al riguardo, è utile rammentare che l'11° considerando così motiva: «(11) Il presente regolamento tiene conto del fatto che, in considerazione delle notevoli differenze fra i diritti sostanziali, non è realistico istituire un'unica procedura di insolvenza avente valore universale per tutta la Comunità. Pertanto, l'applicazione senza deroghe del diritto dello Stato che apre la procedura causerebbe spesso difficoltà. [....] Il presente regolamento vuole tenerne conto prevedendo oltre ad una procedura principale di insolvenza di carattere universale, anche procedure locali che comprendano unicamente il patrimonio situato nello Stato di apertura»;

b) I'art. 3 (intitolato «Competenza internazionale»), il quale dispone, tra l'altro, quanto segue: «1. Sono competenti ad aprire la procedura di insolvenza i giudici dello Stato membro nel cui territorio è situato il centro degli interessi principali del debitore. Per le società e le persone giuridiche si presume che il centro degli interessi principali sia, fino a prova contraria, il luogo in cui si trova la sede statutaria. 2. Se il centro degli interessi principali del debitore è situato nel territorio di uno Stato membro, i giudici di un altro Stato membro sono competenti ad aprire una procedura di insolvenza nei confronti del debitore solo se questi possiede una dipendenza nel territorio di tale altro Stato membro. Gli effetti di tale procedura sono limitati ai beni del debitore che si trovano in tale territorio. 3. Se è aperta una procedura di insolvenza ai sensi del paragrafo 1, le procedure d'insolvenza aperte successivamente ai sensi del paragrafo 2 sono procedure secondarie. Tale procedura è obbligatoriamente una procedura di liquidazione [....]»;

- l'art. 16 (intitolato «Principio»), il quale così dispone: «1. La decisione di apertura della procedura di insolvenza da parte di un giudice di uno Stato membro, competente in virtù dell'articolo 3, è riconosciuta in tutti gli altri Stati membri non appena essa produce effetto nello Stato in cui la procedura è aperta. Tale disposizione si applica anche quando il debitore, per la sua qualità, non può essere assoggettato a una procedura di insolvenza negli altri Stati membri. 2. Il riconoscimento di una procedura di cui all'articolo 3, paragrafo 1, non osta all'apertura di una procedura di cui all'articolo 3, paragrafo 2, da parte del giudice di un altro Stato membro. Quest'ultima è una procedura secondaria di insolvenza ai sensi del capitolo III»;

- l'art. 27 (intitolato «Apertura»), che così dispone: «La procedura di cui all'articolo 3, paragrafo 1, aperta da un giudice di uno Stato membro e riconosciuta in un altro Stato membro (procedura principale) permette di aprire, in quest'altro Stato membro, i cui giudici siano competenti ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 2, una procedura secondaria d'insolvenza, senza che in questo altro Stato sia esaminata l'insolvenza del debitore. Tale procedura deve essere una delle procedure che figurano nell'allegato B. I suoi effetti sono limitati ai beni del debitore situati in tale altro Stato membro».

Riguardo a tali disposizioni, è utile rammentare il 12°, il 18° e il 19° Considerando, che così, rispettivamente, motivano: «(12) Il presente regolamento consente di aprire la procedura principale d'insolvenza nello Stato membro nel quale è situato il centro degli interessi principali del debitore. Tale procedura ha portata universale e tende a comprendere tutti i beni del debitore. Per tutelare tutti i diversi interessi, il regolamento permette di aprire una procedura secondaria in parallelo con la procedura principale. La procedura secondaria può essere aperta nello Stato membro in cui il debitore ha una dipendenza. Gli effetti della procedura secondaria sono limitati ai beni situati in tale Stato «(18) In seguito all'apertura della procedura principale di insolvenza, il diritto di chiedere l'apertura di una procedura di insolvenza nello Stato membro in cui il debitore ha una dipendenza non è limitato dal presente regolamento. Il curatore della procedura principale o chiunque sia a ciò legittimato ai sensi della legge nazionale di tale Stato membro può chiedere l'apertura di una procedura secondaria di insolvenza»; «(19) Le procedure secondarie di insolvenza possono avere diversi scopi, oltre a quello della tutela dell'interesse locale.

Può accadere ad esempio che il patrimonio del debitore sia troppo complesso da amministrare unitariamente o che le divergenze tra gli ordinamenti giuridici interessati siano così rilevanti che possono sorgere difficoltà per l'estendersi degli effetti derivanti dal diritto dello Stato di apertura della procedura agli altri Stati nei quali i beni sono situati. Per questo motivo il curatore della procedura principale può chiedere l'apertura di una procedura secondaria quando ciò sia necessario per una gestione efficace dell'attivo»

c) l'art. 28 (intitolato «Legge applicabile»), che così dispone: «Salvo disposizioni contrarie del presente regolamento, si applica alla procedura secondaria la legge dello Stato membro nel cui territorio questa è aperta»;

d) l'art. 29 (intitolato «Diritto di chiedere l'apertura»), che così dispone: «L'apertura di una procedura secondaria può essere chiesta: a) dal curatore della procedura principale; b) da qualsiasi altra persona o autorità legittimata a chiedere l'apertura di una procedura di insolvenza secondo la legge dello Stato membro nel cui territorio è chiesta l'apertura della procedura secondaria».

2.2.2. - Quanto alla menzionata sentenza della Corte UE del 4 settembre 2014, la stessa ha ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta alla Corte, ai sensi dell'art. 267 del TFUE, dalla Cour d'appel de Bruxelles nel procedimento promosso dalla S.p.a B.G. contro la S.A. I. in liquidazione e J.T., in qualità di liquidatore della S.A. I. in liquidazione.

Al fine verificare la già affermata - parziale - pertinenza di tale sentenza alla risoluzione della principale questione posta dal ricorso in esame, è indispensabile prender le mosse dalla fattispecie sottostante al procedimento nell'ambito del quale sono state formulate le domande di pronuncia pregiudiziale.

Tale fattispecie - per quanto in questa sede rileva - è così descritta dalla Corte UE (nn. da 11 a 18): «Il 21 aprile 2008 il Tribunal de commerce de Roubaix-Tourcoing [....] (Francia) ha disposto la messa in amministrazione controllata di tutte le società del gruppo I., ivi inclusa la società I., con sede in Bruxelles (Belgio), e ha nominato commissario l'avv. T. Il 25 novembre 2008 lo stesso tribunale ha disposto la messa in liquidazione giudiziale della società I. (in prosieguo: la «I.») e nominato l'avv. T. in qualità di liquidatore. [....]. La B.G., con sede in Altavilla Vicentina-Vicenza (Italia), è creditrice della I. per averle fornito merci rimaste non pagate. Il 4 novembre 2008, la B.G. ha trasmesso all'avv. T. una dichiarazione di credito per un importo di EUR 359 778,48. [....] Con lettera del 5 novembre 2008, l'avv. T. ha comunicato alla B.G. di non poter prendere in considerazione detta dichiarazione di credito in quanto tardiva. [....] Il 15 gennaio 2009, la B.G. ha chiesto l'apertura di una procedura secondaria nei confronti della I. dinanzi al Tribunal de commerce de Bruxelles (Belgio) [...]. Poiché tale domanda è stata respinta in primo grado, la B.G. ha interposto appello dinanzi al giudice del rinvio, reiterando la propria richiesta iniziale. [....] Il giudice del rinvio osserva a tal proposito che il regolamento definisce la "dipendenza" come qualsiasi luogo in cui il debitore eserciti in maniera non transitoria un'attività economica con mezzi umani e con beni, il che ricorre nella fattispecie. Infatti, in Belgio la I. ha due sedi di attività, è proprietaria di un immobile, acquista e rivende merci e impiega personale. [....] Per contro, i convenuti nel procedimento principale sostengono che, dato che la I. ha la sua sede sociale in Belgio, questa non può essere considerata come una dipendenza ai sensi del regolamento. Infatti, le procedure secondarie sarebbero riservate alle dipendenze prive di personalità giuridica. [....] Secondo il giudice del rinvio, ai sensi del diritto belga applicabile alla fattispecie qualsiasi creditore, anche stabilito al di fuori del Belgio, può citare il suo debitore nella procedura di fallimento dinanzi a un giudice belga. Orbene, la I. sostiene che tale diritto è riservato ai creditori con sede nello Stato membro del giudice adito con la domanda di apertura della procedura secondaria, posto che detta procedura avrebbe come unico scopo la tutela degli interessi locali. [....] Infine, il giudice del rinvio osserva che il regolamento non specifica se la facoltà offerta alle persone di cui al suo articolo 29 di chiedere, nello Stato membro in cui si trova la dipendenza, l'apertura di una procedura secondaria, sia un diritto che deve essere riconosciuto dal giudice competente oppure se quest'ultimo possa valutare l'opportunità di accogliere la domanda, in particolare al fine di salvaguardare interessi locali».

Ponendo a raffronto tale fattispecie con quella sottostante al ricorso in esame (cfr., supra, n. 2.1.), è immediato il rilievo che esse sono quasi speculari. Infatti: a) la procedura di insolvenza principale aperta in Francia relativamente a tutte le società del gruppo I. è comune alla I. italiana ed a quella belga; b) ambedue le Società hanno sedi legali e produttive, rispettivamente, in Italia ed in Belgio; c) in entrambi i casi si controverte sulla legittimità - sia pure sotto profili parzialmente diversi - dell'apertura di una procedura di insolvenza secondaria nei due Stati membri - Italia e Belgio - diversi dalla Francia. Ne consegue la doverosa applicabilità della predetta sentenza della Corte UE anche alla presente fattispecie.

Due delle tre questioni pregiudiziali sollevate dalla Cour d'appel de Bruxelles - come riformulate dalla Corte UE - sono le seguenti: se l'articolo 3, paragrafo 2, del regolamento debba essere interpretato nel senso che, nell'ambito della messa in liquidazione di una società in uno Stato membro diverso da quello in cui essa ha la sua sede legale, detta società possa essere oggetto anche di una procedura secondaria nell'altro Stato membro, dove essa ha la sua sede legale e dove è dotata di personalità giuridica» (n. 20);

2) «[....] se l'articolo 29, lettera b), del regolamento debba essere interpretato nel senso che la persona o l'autorità legittimata a chiedere l'apertura di una procedura secondaria deve essere domiciliata o avere la propria sede sociale nello Stato membro in cui è chiesta tale procedura, o se tale apertura possa essere chiesta da tutti i cittadini il cui credito sia sorto nell'ambito dell'attività della dipendenza in questione» (n. 40);

La Corte di Lussemburgo ha così risposto:

1) «L'articolo 3, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1346/2000 del Consiglio, del 29 maggio 2000, relativo alle procedure di insolvenza, dev'essere interpretato nel senso che, in caso di messa in liquidazione di una società in uno Stato membro diverso da quello dove essa ha la sua sede legale, detta società può essere oggetto anche di una procedura secondaria di insolvenza nell'altro Stato membro, dove essa ha la sua sede legale e dove è dotata di personalità giuridica»;

2) «L 'articolo 29, lettera b), del regolamento n. 1346/2000 deve essere interpretato nel senso che la questione di sapere quale persona o autorità sia legittimata a chiedere l'apertura di una procedura secondaria di insolvenza deve essere valutata sulla base del diritto nazionale dello Stato membro in cui è stata chiesta l'apertura di detta procedura. Tuttavia, il diritto di chiedere l'apertura di una procedura secondaria di insolvenza non può essere limitato ai soli creditori domiciliati o aventi la loro sede sociale nello Stato membro nel quale si trova la dipendenza in questione ovvero ai soli creditori il cui credito derivi dall'esercizio di tale dipendenza»;

2.3. - Questo essendo il quadro normativo di riferimento, debbono esaminarsi i singoli motivi del ricorso.

2.3.1. - Il primo motivo - a conclusione del quale la ricorrente formula il seguente quesito di diritto: «[....] se sia legittimo, ai sensi dell'art. 3 e dell'art. 2, lett. h), del Regolamento CE n. 1346 del 29 maggio 2000, aprire una procedura di insolvenza secondaria in Italia, ove è situata l'unica sede del debitore insolvente, pur in presenza di una procedura di insolvenza principale precedentemente aperta in Francia, dove è stato individuato dal competente tribunale il centro principale degli interessi del debitore, ma non anche un'altra sede o dipendenza del debitore stesso» - è privo di fondamento.

Con tale motivo, la ricorrente - sulla premessa che la Società ha un'unica sede in Italia (Castellamonte) e che la procedura principale è stata legittimamente aperta in Francia in quanto il C.O.M.I. [Center Of Main Interests] ivi era stato individuato - sostiene, in definitiva, che la corretta interpretazione degli articoli del Regolamento conduce alla conclusione che è consentito aprire una procedura secondaria di insolvenza soltanto nel caso - che non ricorre nella specie - in cui l'impresa abbia una pluralità di sedi.

Come già rilevato, i Giudici a quibus - i quali si erano posti il quesito «[....] se sia possibile aprire una procedura secondaria, come tale concorrente con quella principale secondo le disposizioni del Regolamento n. 1346/2000, allorché non vi sia una pluralità di sedi produttive o amministrative della stessa impresa dislocate in territori cui fanno capo ordinamenti giuridici diversi, ma esista un solo sito di produzione dell'attività economica, per di più coincidente con la sede legale» - hanno già respinto questa tesi, correttamente osservando al riguardo che:

a) «Il Regolamento distingue non già tra sede principale e sedi secondarie, ma fra centro degli interessi principali e dipendenza; e nell'operare tale suddivisione non afferma che l'una e le altre siano connotate da analoghe strutture produttive differenziate fra loro in senso quali-quantitativo. Al contrario, il centro degli interessi principali ben può prescindere dal luogo in cui è ubicato il fattore capitale e dislocata la forza lavoro, tant'è che per le società il C.O.M.I. si presume, salvo prova contraria, coincidente con la sede statutaria e non già con il principale stabilimento»)

b) «Pur nella sua genericità; la dipendenza è tipizzata, invece, dall'art. 2, lett. h), del Regolamento, che la qualifica come "luogo di operazioni in cui il debitore esercita in maniera non transitoria un'attività economica con mezzi umani e con beni", il quale presuppone un rapporto subalterno non necessariamente rispetto ad altra struttura produttiva, ma con il principale centro direttivo, abbia o non quest'ultimo una propria autonomia sotto il profilo strettamente aziendale»;

c) «Sebbene sia il centro degli interessi principali sia la dipendenza siano concetti che il Regolamento associa alla figura del giudice competente (vedi gli artt. 3, 16 e 27), solo il primo assolve la funzione di individuare all'interno degli Stati membri quali siano i giudici investiti della competenza comunitaria. La nozione di dipendenza opera, invece, a ben vedere, non come criterio di competenza, essendo quest'ultima destinata a ripartirsi secondo le regole proprie dell'ordinamento giuridico nazionale cui la dipendenza si associa ratione loci, ma quale unica condizione oggettiva di ammissibilità della procedura secondaria (non essendo necessaria, ai sensi dell’art. 27, la verifica dello stato di insolvenza, siccome già effettuata dal giudice che ha disposto la procedura principale). La diversa valenza dei due concetti esclude che il riconoscimento della pronuncia che dispone la procedura principale possa ipotecare in alcun modo il tema di ammissibilità di quella secondaria. L'efficacia del primo opera a livello processuale, impedendo un'ulteriore e antagonista dichiarazione di insolvenza principale da parte di giudici di altro Stato membro, nonché a livello determinativo della lex fori concursus (art. 4), ma non anche nel senso di precludere o limitare l'accertamento delle condizioni di instaurazione di un procedimento di insolvenza secondario».

Tale ratio decidendi trova significative e sostanziali convergenze con le considerazioni svolte dalla Corte UE con la più volte menzionata sentenza. Infatti, la Corte UE ha così, tra l'altro, argomentato:

a) «Per quanto riguarda detto centro degli interessi principati, l'articolo 3, paragrafo 1, seconda frase, del Regolamento prevede che, per le società e le persone giuridiche, si presume che il centro degli interessi principali sia, fino a prova contraria, il luogo in cui si trova la sede statutaria. Risulta dunque dalla stessa formulazione di questa disposizione che il centro degli interessi principali di una società può non coincidere, ai fini dell’applicazione del regolamento, con il luogo in cui si trova la sua sede statutaria. Inoltre, si deve ricordare che, ai sensi del considerando 18 del regolamento [cfr., supra, n. 2.2., lettera b], in seguito all'apertura della procedura principale, il diritto di chiedere l'apertura di una procedura di insolvenza nello Stato membro in cui il debitore ha una dipendenza non è limitato dal regolamento. Quindi, l'articolo 3, paragrafo 2, del regolamento prevede che, in tale ipotesi, i giudici di un altro Stato membro sono competenti ad aprire una procedura secondaria nei confronti del debitore solo se questi possiede una dipendenza nel territorio di tale altro Stato membro» (nn. 29 e 30);

b) «Per quanto riguarda la nozione di «dipendenza» in tale contesto, essa è definita all'articolo 2, lettera h), deI regolamento come "qualsiasi luogo di operazioni in cui il debitore esercita in maniera non transitoria un'attività economica con mezzi umani e con beni". Orbene, come è già stato giudicato dalla Corte, il fatto che tale definizione colleghi l'esercizio di un'attività economica alla presenza di risorse umane dimostra che sono necessarie un minimo di organizzazione e una certa stabilità e che di conseguenza, a contrario, la mera presenza di singoli beni o di conti bancari non soddisfa, in linea di principio, i requisiti necessari ai fini della qualificazione come "dipendenza" (sentenza I., C-396/09, [....] punto 62)» (n. 31);

c) «[....] la definizione di cui all'articolo 2, lettera h), del regolamento non contiene alcun riferimento al luogo della sede statutaria di una società debitrice o alla natura giuridica del luogo delle operazioni in questione. Essa non esclude dunque, alla luce della sua formulazione, che, ai fini di questa disposizione, una dipendenza possa essere dotata di personalità giuridica e situarsi nello Stato membro in cui tale società ha la suddetta sede, a condizione che la dipendenza soddisfi i criteri previsti da questa disposizione» (n. 32);

d) «Una simile interpretazione è suffragata altresì dagli obiettivi connessi alla possibilità, prevista in particolare dall'articolo 29, lettera b), del regolamento, di chiedere l'apertura di una procedura secondaria. Difatti, il considerando 11 del regolamento [cfr., supra, n. 2.2., lettera a] enuncia che "in considerazione delle notevoli differenze fra i diritti sostanziali, non è realistico istituire un'unica procedura di insolvenza avente valore universale per tutta la Comunità", che "l'applicazione senza deroghe del diritto dello Stato che apre la procedura causerebbe spesso difficoltà" e che, infine, il regolamento dovrebbe tenerne conto, in particolare, "prevedendo (...) anche procedure locali che comprendano unicamente il patrimonio situato nello Stato di apertura". Per tale ragione, il considerando 12 del regolamento precisa che l'apertura di procedure secondarie è consentita, in particolare, "per tutelare tutti i diversi interessi" e il considerando 19 del regolamento [cfr., supra, n. 2.2., lettera a] aggiunge che, oltre alla tutela degli interessi locali, le procedure secondarie possono perseguire "diversi scopi". Di conseguenza, se la nozione di "dipendenza" dovesse essere interpretata nel senso che non può includere un luogo di operazioni di una società debitrice, luogo che soddisfa i criteri espressamente previsti all'articolo 2, lettera h, del regolamento e si trova nel territorio dello Stato membro in cui è situata la sede statutaria di tale società, agli "interessi locali", inclusi in particolare gli interessi dei creditori stabiliti in tale Stato membro, sarebbe negata la tutela prevista dal regolamento, nella forma dell'apertura, in detto Stato membro, di una procedura secondaria. A tal riguardo, occorre precisare che, da un lato, se è vero che la tutela dei creditori locali non è il solo obiettivo perseguito dalla possibilità di aprire una procedura secondaria, vero è anche che un'interpretazione come quella menzionata al punto precedente contrasterebbe chiaramente con il suddetto obiettivo essenziale del regolamento, tanto più che, generalmente, sembra probabile che taluni "interessi locali" ai quali è riconosciuta la tutela prevista dalle disposizioni del regolamento si materializzino proprio nello Stato membro dove è situata la sede statutaria della società debitrice interessata, anche nel caso in cui il centro degli interessi principali di detta società si trovi in un altro Stato membro. Infatti, interessi di questo tipo possono risiedere, in particolare, nel legittimo affidamento di un creditore di poter chiedere la liquidazione di un diritto reale sui beni del debitore rientranti nella dipendenza interessata o di beneficiare dell'applicazione di altri diritti preferenziali, secondo le norme vigenti nello Stato membro in cui si trova detta dipendenza, dato che tali norme sono prevedibili per il creditore nel momento in cui entra in rapporti commerciali con il debitore. D'altra parte, un'interpretazione come quella indicata al punto 35 della presente sentenza sarebbe tale da generare una disparità di trattamento dei creditori stabiliti nello Stato membro in cui la società debitrice ha la propria sede sociale, in particolare rispetto ai creditori stabiliti in altri Stati membri dove si trovano, eventualmente, altre dipendenze del debitore» (nn. da 33 a 38). Le condivisibili argomentazioni dei Giudici a quibus e le vincolanti considerazioni ermeneutiche del diritto eurounitario della Corte di giustizia UE esimono queste Sezioni Unite dallo svolgimento di ulteriori osservazioni.

Può, pertanto, enunciarsi il seguente principio di diritto: «Nel caso in cui, nei confronti di una società a responsabilità limitata avente sede statutaria e struttura produttiva in Italia - facente parte di un gruppo di imprese partecipate totalitariamente da una holding finanziaria di diritto belga -, sia stata aperta una procedura di insolvenza principale dal Giudice francese in base all'individuazione in Francia del centro degli interessi principali della stessa società, ai sensi dell'art. 3, paragrafo 1, del Regolamento (CE) n. 1346/2000 del Consiglio, del 29 maggio 2000, relativo alle procedure di insolvenza - individuazione incontestabile da parte di tutti gli altri Stati membri, ai sensi del combinato disposto degli artt. 16, par. 1, e 17, par. 1, del Regolamento -, l'apertura di tale procedura non osta a che il Giudice italiano apra successivamente nei confronti della società medesima una procedura di insolvenza secondaria ai sensi dell'art. 3, paragrafo 2, dello stesso Regolamento, all'unica condizione che detta società sia qualificabile come "dipendenza", ai sensi del combinato disposto dell'art. 2, lettera h), e dello stesso art. 3, paragrafo 2, del Regolamento medesimo, come interpretato dalla Corte di giustizia dell'Unione europea con la sentenza 4 settembre 2014, pronunciata nella causa C-327/13, secondo la quale "l'articolo 3, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1346/2000 del Consiglio del 29 maggio 2000, relativo alle procedure di insolvenza, dev'essere interpretato nel senso che, in caso di messa in liquidazione di una società in uno Stato membro diverso da quello dove essa ha la sua sede legale, detta società può essere oggetto anche di una procedura secondaria di insolvenza nell'altro Stato membro, dove essa ha la sua sede legale e dove è dotata di personalità giuridica"».

2.3.2. - Il secondo motivo - a conclusione del quale la ricorrente formula il seguente quesito di diritto: «[....] se sia legittimo, ai sensi dell’art. 3 e dell’art. 27 del Regolamento CE n. 1346 del 29 maggio 2000, aprire una procedura di insolvenza secondaria in Italia in presenza di una procedura di insolvenza principale precedentemente aperta in Francia, nel caso in cui i beni della massa attiva ed i debiti oggetto della massa passiva della procedura di insolvenza principale coincidono perfettamente con i beni ed i debiti che costituirebbero l'oggetto, rispettivamente, della massa attiva e della massa passiva della procedura di insolvenza secondaria» - è, in parte, inammissibile e, in parte, privo di fondamento.

Con tale motivo, la ricorrente sostiene che l'interpretazione della Corte torinese conduce ad una palese contraddizione in contrasto con gli artt. 3 e 27 del Regolamento - «da un lato si afferma (correttamente) che il principio di universalità e territorialità devono convivere nel perseguimento di un unico obiettivo comune, anche perché non vi è supremazia dell'uno sull'altro e, dall'altro, si ritiene (erroneamente) che la procedura secondaria ben possa privare quella principale di tutto l'attivo e di tutto il passivo, paralizzandola e rendendola di fatto inutile e priva di efficacia» (cfr. Ricorso, pag. 36) -, e che, invece, l'art. 27 presuppone che ad una pluralità di procedure corrisponda una pluralità di sedi e, quindi, di masse attive.

Il quarto motivo, da esaminare unitamente al secondo, per la stretta connessione che li lega - a conclusione del quale la ricorrente formula il seguente quesito di diritto: «[....] se, stante il principio di cui all'art. 16 del Regolamento CE n. 1346 del 29 maggio 2000, di riconoscimento automatico in tutti gli altri Stati dell'Unione europea della decisione di apertura di una procedura principale di insolvenza da parte di un giudice di uno Stato membro, sia legittima, ai sensi degli articoli 2, lett. h), 3 e 27 del Regolamento CE n. 1346 del 29 maggio 2000, l'apertura di una procedura di insolvenza secondaria in Italia, ove si trovano gli unici beni del debitore, pur in presenza di una procedura di insolvenza principale precedentemente aperta in Francia, per cui la successiva procedura secondaria italiana si troverebbe a concorrere sui medesimi beni e a dover soddisfare i medesimi creditori della precedente procedura principale francese» - è ugualmente, in parte, inammissibile e, in parte, privo di fondamento.

Con tale motivo, la ricorrente critica la sentenza impugnata anche in ragione degli illegittimi effetti dalla stessa prodotti: una illecita sovrapposizione delle due procedure sulle stesse identiche masse attive e passive; una paralisi della procedura principale francese, che non è stata affatto riconosciuta all’interno dell’ordinamento italiano ma, al contrario, è stata resa di fatto inefficace all’interno dello stesso ordinamento; un assurdo quanto deprecabile conflitto positivo di giurisdizione tra il Tribunale francese e il Tribunale di Ivrea.

La parziale inammissibilità dei motivi in esame è determinata dal rilievo che la ricorrente ha omesso di censurare l'affermazione della Corte torinese, secondo la quale la dedotta assenza di qualsiasi attivo nella procedura principale diverso dai beni ricadenti nel procedimento secondario è stata soltanto «affermata e non dimostrata» (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2., lettera B1): la ricorrente, infatti, pone a fondamento delle censure in esame la circostanza che l'oggetto della liquidation judiciaire in Francia e dell'attivo fallimentare in Italia sia costituito dai medesimi beni, dalla quale fa discendere "l’inefficacia" della procedura di insolvenza principale aperta in Francia. È, dunque, evidente la necessità di censurare detta affermazione.

In ogni caso, i motivi medesimi sono infondati. Premesso che, ai sensi dell'art. 3, par. 2, seconda frase, del Regolamento dispone che «Gli effetti di tale procedura [secondaria] sono limitati ai beni del debitore che si trovano in tale territorio [cioè, nel territorio dello Stato membro nel quale il debitore «possiede una dipendenza», che legittima i Giudici di tale Stato all'apertura di una procedura di insolvenza secondaria]» (cfr. anche l'art. 27), e che il Regolamento non pone limiti generali al «diritto di chiedere l'apertura di una procedura d'insolvenza nello Stato membro in cui il debitore ha una dipendenza» (18° Considerando), devono sottolinearsi e condividersi, con i Giudici a quibus, i rilievi che «Nel Regolamento [....] universalità e territorialità sono destinate non solo a contemperarsi, ma anche a coadiuvare tra loro in funzione servente rispetto al principio di cooperazione fra gli Stati membri nel perseguire l'obiettivo di un miglior funzionamento del mercato interno [viene richiamato ed esplicitato il 19° Considerando], che «I due principi non oper[a]no l'uno in funzione di limite esterno dell'altro, ma in vista del conseguimento di un risultato necessariamente comune, [come] dimostrato, del resto, da svariate diposizioni che confermano l'interscambio tra le due procedure [viene richiamata la disciplina di cui agli artt. 31, par. 1, 2 e 3, 32, par. 1, 2 e 3, 33, 34 e 37], e che «Da siffatto angolo prospettico imposto dallo spinto e dalle norme del Regolamento, appare recessiva tanto l'idea di attribuire una sorta di primato assoluto al principio di universalità, secondo una logica di privativa giurisdizionale, quanto la congettura che il criterio di territorialità ne costituisca il sia pur parziale antidoto, operando in un'ottica di separazione patrimoniale. Proprio la circostanza per cui la procedura secondaria presenta ampi margini di intervento a vantaggio del curatore del procedimento principale dimostra che i principi di cooperazione e di reciproco affidamento prevalgono nel perseguire un interesse comune, consistente nel governare efficacemente l'insolvenza nell'interesse dei creditori e non degli Stati».

2.3.3. - Con il terzo motivo la ricorrente deduce «Violazione e falsa applicazione dell'art. 2, lett. h, e dell'art. 3 del Regolamento, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., laddove la Corte d'Appello ha ritenuto che tali norme legittimino l'apertura di una procedura secondaria di insolvenza nonostante la pacifica e definitiva cessazione della attività di impresa della I., intervenuta prima che fosse stata presentata l'istanza di apertura della procedura secondaria».

Tale motivo, come correttamente eccepiscono i controricorrenti, è inammissibile, sia perché contiene una censura del tutto nuova, della quale non v'è traccia nella sentenza impugnata, sia perché, comunque, si risolve in una inammissibile richiesta di riesame del fatto, costituito dalla dedotta «definitiva cessazione della attività di impresa della I., intervenuta prima che fosse stata presentata l'istanza di apertura della procedura secondaria».

2.3.4. - Il quinto motivo - a conclusione del quale la ricorrente formula il seguente quesito di diritto: «[....] se, ai sensi dell'art. 100 c.p.c. e/o dell'art. 29, lett. b), del Regolamento ed ai fini della (eventuale) apertura di una procedura di insolvenza secondaria in Italia, nel caso in cui (I) sia stata precedentemente aperta in Francia una procedura di insolvenza principale, (II) I beni oggetto della massa attiva della procedura di insolvenza principale sono i medesimi beni che costituirebbero l'oggetto della massa attiva della procedura di insolvenza secondaria, (III) i creditori della procedura secondaria coinciderebbero con quelli della procedura principale; e (IV) la fase di liquidazione dei beni condotta nell'ambito della procedura principale francese è già stata avviata, sussiste un interesse ad agire giuridicamente rilevante dei creditori sociali a richiedere l'apertura di una procedura secondaria in Italia, nonostante gli stessi subirebbero, in conseguenza dell'apertura di tale procedura secondaria e della sospensione della liquidazione dell’attivo nella procedura principale, un allungamento dei tempi di soddisfazione dei propri crediti ed una (inevitabile) riduzione della massa attiva distribuibile a soddisfazione dei propri crediti» - è, in parte, inammissibile e, in parte, privo di fondamento. Con tale motivo, la ricorrente - sulle premesse che manca una "dipendenza" dell’impresa in Italia e che l'apertura della procedura di insolvenza secondaria è illegittima sulla base di tutti i precedenti motivi - sostiene, in definitiva, che gli odierni resistenti difettano di interesse ad agire, in quanto non subirebbero alcun danno dalla dichiarazione di illegittimità dell'apertura di una procedura secondaria in Italia, mentre lo subirebbero certamente ove l'apertura di tale procedura fosse dichiarata legittima.

Le ragioni di inammissibilità del motivo derivano immediatamente dalla mera riproposizione - quali "premesse" del motivo medesimo - dei precedenti motivi, già giudicati inammissibili e/o infondati.

Le ragioni della sua infondatezza stanno, invece, nell'art. 29, lettera b), del Regolamento, che qualifica come «Diritto» quello di chiedere l'apertura di una procedura di insolvenza secondaria, legittimando a ciò, oltreché il «curatore della procedura principale» (lettera a), «qualsiasi altra persona o autorità legittimata a chiedere l'apertura di una procedura di insolvenza secondo la legge dello Stato membro nel cui territorio è chiesta l'apertura della procedura secondaria» (lettera b; cfr. gli artt. 6, primo comma, e 7 della legge fallimentare) e, come già rilevato (cfr., supra, n. 2.2.2.), nell'interpretazione datane dalla Corte UE, la quale ha appunto interpretato tale disposizione «nel senso che la questione di sapere quale persona o autorità sia legittimata a chiedere l'apertura di una procedura secondaria di insolvenza deve essere valutata sulla base del diritto nazionale dello Stato membro in cui è stata chiesta l'apertura di detta procedura», affermando altresì che «Tuttavia, il diritto di chiedere l'apertura di una procedura secondaria di insolvenza non può essere limitato ai soli creditori domiciliati o aventi la loro sede sociale nello Stato membro nel quale si trova la dipendenza in questione ovvero ai soli creditori il cui credito derivi dall'esercizio di tale dipendenza».

Trattandosi, quindi, di un vero e proprio «diritto di chiedere l'apertura», attribuito a tutela non solo degli «interessi locali» ma anche «di tutti i diversi interessi» (12° Considerando del Regolamento) e strumentale alla realizzazione dei sottostanti diritti sostanziali nascenti dai rapporti con la società debitrice, l'interesse ad agire - da intendere quale requisito della domanda consistente nell'esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l'intervento del giudice (cfr., ex plurimis, la sentenza di queste Sezioni Unite n. 565 del 2000, nonché la sentenza n. 13485 del 2014) - è, per così dire, in re ipsa, volto com'è alla apertura di una procedura di insolvenza secondaria e, nell'ambito di questa, alla realizzazione dei predetti diritti sostanziali.

3. - Tenuto conto della sostanziale novità delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per dichiarare compensate per intero tra le parti le spese del presente grado del giudizio.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e compensa le spese.