Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 28 ottobre 2015, n. 22024

Lavoro - Licenziamento collettivo ex lege n. 223/91 - Regole procedurali - Verifica - Comunicazione preventiva

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza n. 4411/09 questa S.C. cassava con rinvio la sentenza n. 1831/2005 della Corte d'appello di Roma, che aveva confermato l’illegittimità del licenziamento intimato con effetto dal 31.12.01 da P.I. S.p.A. a all’esito di licenziamento collettivo ex lege n. 223/91 riguardante circa 9000 esuberi nell'ambito dell’intero organico diffuso in tutto il territorio nazionale.

Affermava questa S.C. il seguente principio di diritto: "In tema di verifica del rispetto delle regole procedurali dettate per i licenziamenti collettivi per riduzione di personale dalla legge n. 223/1991, la sufficienza dei contenuti della comunicazione preventiva di cui all'art. 4, comma 3, deve essere valutata in relazione ai motivi della riduzione di personale, sottratti al controllo giurisdizionale, cosicché, nel caso di progetto imprenditoriale diretto a ridimensionale l'organico dell’intero complesso aziendale al fine di diminuire il costo del lavoro, l'imprenditore può limitarsi all'indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti suddiviso tra i diversi profili professionali contemplati dalla classificazione del personale occupato nell'azienda, tanto più se si esclude qualsiasi limitazione del controllo sindacale e in presenza della conclusione di un accordo con i sindacati all'esito della procedura, che, nell'ambito delle misure idonee ridurre l'impatto sociale dei licenziamenti, adotti il criterio di scelta del possesso dei requisiti per l'accesso alla pensione".

Sempre la citata sentenza n. 4411/09 disponeva che il giudice di rinvio, attenendosi al suddetto principio di diritto, procedesse al riesame della controversia valutando anche le questioni ritualmente proposte dall'appellato nel giudizio di secondo grado e non esaminate dalla sentenza impugnata.

Con sentenza depositata il 2.8.13 la Corte d'appello di Roma, pronunciando in sede di rinvio, accoglieva l'appello di P.I. S.p.A., per l'effetto rigettando tutte le domande di che oggi ricorre contro detta pronuncia affidandosi a dieci motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c.

P.I. S.p.A. resiste con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1 - Con il primo motivo il ricorso lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 4, commi 9 e 12, e dell’art. 5 legge n. 223/91, per avere la sentenza impugnata ritenuto che un intervallo di ben 56 giorni non pregiudicasse il requisito della contestualità tra il licenziamento e le comunicazioni dovute ai sindacati e agli altri interlocutori istituzionali.

Con il secondo motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 4, comma 9, legge n. 223/91, per avere la Corte territoriale ritenuto corretto il contenuto della comunicazione delle modalità applicative del criterio dei licenziamenti collettivi riferito ai lavoratori in possesso dei requisiti di legge per la pensione di vecchiaia o d'anzianità, nonostante che non vi fosse coincidenza numerica fra tali lavoratori e gli esuberi preventivati.

Con il terzo motivo il ricorso deduce vizio di manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che il mancato licenziamento di 100 prepensionabili mantenuti in servizio non fosse altro che un temporaneo differimento del loro collocamento a riposo convenzionalmente pattuito con la sottoscrizione dell'accordo del 17.10.01 al fine di salvaguardare la funzionalità della struttura organizzativa ed operativa aziendale.

Con il quarto motivo il ricorso si duole di violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 113, 384 e 394 c.p.c., per avere la gravata pronuncia erroneamente ritenuto inammissibile - supponendo che ciò fosse precluso dalla sentenza rescindente, il che non era - la doglianza del lavoratore relativa alla violazione dell’art. 5, co. 1°, legge n. 223/91 per mancata individuazione dell’ambito organizzativo di operatività del criterio di scelta.

Con il quinto motivo il ricorso lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 4, comma 12, 5, co. 3, legge n. 223/91, 2909 c.c., 112, 113, 384 e 394 c.p.c., per avere i giudici di rinvio ritenuto inammissibile la censura con cui si era sostenuta l'illegittimità del licenziamento per insussistenza della situazione legittimante il ricorso alla procedura di licenziamenti collettivi ex lege n. 223/91; a riguardo erroneamente la Corte territoriale ha affermato che l'inammissibilità del ricorso incidentale condizionato spiegato dal nel precedente giudizio di legittimità precludesse ogni ulteriore esame in proposito, nonostante che tale inammissibilità fosse stata dichiarata sol perché il ricorso incidentale condizionato proveniva dalla parte totalmente vittoriosa nel precedente grado di giudizio.

Con il sesto motivo il ricorso prospetta violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 113, 384 e 394 c.p.c., nella parte in cui la gravata pronuncia ha ritenuto, sempre in base all’erroneo presupposto d'un giudicato a riguardo, inammissibile la denuncia di illegittimità del criterio del prepensionamento come criterio unico di selezione dei dipendenti da licenziare.

Con il settimo motivo il ricorso si duole di violazione e falsa applicazione dell'art. 4, co. 6, legge n. 223/91, nella parte in cui la gravata pronuncia ha ritenuto legittima la sospensione della procedura di consultazione delle organizzazioni sindacali dal 3.8.01 al 2.9.01 per esaminare la proposta di P.I. in materia di mobilità intraziendale finalizzata alla ricollocazione del personale in esubero.

Con l'ottavo motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 24, co. 1, legge n. 223/91, per avere la sentenza impugnata disatteso l'eccepita nullità del licenziamento perché P.I. S.p.A. ha coinvolto nella relativa procedura organi istituzionali (il Ministero del lavoro) diversi da quelli all'uopo individuati dalla legge (Ufficio provinciale del lavoro, poi divenuto D.P.L. e, poi ancora, D.T.L.).

Con il nono motivo il ricorso lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 4 d.P.R. n. 1092/73 e dell'art. 6, co. 7, legge n. 71/94, per avere la Corte territoriale ritenuto applicabile all'odierno ricorrente la legge n. 223/91 nonostante che egli potesse esercitare l'opzione per il mantenimento in servizio fino al compimento del 65° anno d’età in base alla precedente natura pubblicistica dell'Ente P.I..

Con il decimo motivo il ricorso deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 5 legge 223/91 in relazione alla lamentata illegittimità dell’accordo 17.10.01, anche perché la fissazione di criteri diversi da quelli legali poteva essere adottata non in accordi stipulati nell'ambito della procedura ex lege n. 223/91, ma solo nel CCL dei dipendenti di P.I. S.p.A. o in un accordo normativo comunque estraneo alla procedura di mobilità.

2 - Il primo motivo di ricorso è fondato, dovendosi dare continuità alla giurisprudenza ormai da tempo consolidata in tema di adempimento dell’onere di cui all’art. 4 co. 9° legge n. 223/91 (cfr., e pluribus, Cass. n. 8680/15; Cass. n. 16448/13; Cass. n. 7490/11; Cass. n. 7407/10; Cass. n. 16776/09; Cass. n. 1722/09; Cass. n. 15898/05).

Il requisito della contestualità fra comunicazione del recesso al lavoratore e comunicazione alle organizzazioni sindacali e ai competenti uffici del lavoro dell’elenco dei dipendenti licenziati e delle modalità di applicazione dei criteri di scelta, contestualità richiesta a pena d’inefficacia del licenziamento, deve essere valutato - in una procedura temporalmente cadenzata in modo rigido, analitico e con termini molto ristretti - nel senso di una indispensabile contemporaneità delle due comunicazioni, la cui mancanza può non determinare l’inefficacia del recesso solo se sostenuta da giustificati motivi di natura oggettiva, della cui prova è onerato il datore di lavoro.

Nel caso di specie, i 56 giorni di ritardo - rispetto al licenziamento - nell’invio della comunicazione alle organizzazioni sindacali e agli uffici del lavoro sono tali da compromettere il requisito della contestualità prescritto dall’art. 4 co. 9° legge n. 223/91: la contraria soluzione colliderebbe con la ratio della disposizione in commento.

Infatti, essendo sufficiente che il licenziamento venga comunicato per iscritto senza necessità di ulteriore motivazione (nel regime vigente prima della legge n. 92/2012, che è quello che viene in rilievo nel caso in esame), solo attraverso le comunicazioni di cui all’art. 4 co. 9° cit. l’interessato può apprendere, seppur in via indiretta, le ragioni della messa in mobilità (cfr. Cass. n. 11258/2000; Cass. n. 5718/99).

Dunque, la comunicazione ex art. 4 co. 9° legge n. 223/91 risponde alla funzione di rendere visibile - e, quindi, controllabile dalle organizzazioni sindacali (e, tramite queste, anche dai singoli lavoratori) - la correttezza del datore di lavoro in relazione alle modalità di applicazione dei criteri di scelta.

La concreta possibilità di tale controllo è l’indispensabile presupposto affinché il lavoratore possa motivatamente sollecitare il datore di lavoro a revocare il licenziamento (magari evidenziando la violazione dei criteri di scelta) e poi, se del caso, impugnare in sede giudiziaria il recesso.

In tale ottica è pur consentito che le comunicazioni precedano l’intimazione dei licenziamenti, così meglio assolvendosi quella funzione di garanzia e controllo di cui s’è detto, il che permette al datore di lavoro di attenuare la rigidità degli oneri posti a suo carico.

Non è - invece - possibile ritenere il contrario, a meno che tale contestualità sia stata resa impossibile per caso fortuito o forza maggiore da dimostrarsi ad iniziativa del datore di lavoro, il che non risulta essere avvenuto nella vicenda in oggetto.

Ora, poiché il termine per impugnare il recesso decorre, secondo il chiaro dettato normativo, in ogni caso dalla sua comunicazione per iscritto, la mancanza delle contestuali comunicazioni già attribuisce all’interessato il diritto di ottenere l’accertamento dell’inefficacia del licenziamento, di guisa che la tardiva comunicazione non può eliminare una situazione di vantaggio per lui già consolidatasi.

A ciò si aggiunga un’ulteriore considerazione: il licenziamento, in quanto negozio unilaterale recettizio, si perfeziona nel momento in cui la manifestazione di volontà del datore di lavoro giunge a conoscenza del dipendente, sicché il termine di decadenza previsto dall’art. 6 legge n. 604/66 decorre dalla comunicazione del licenziamento e non dal momento, eventualmente successivo, di cessazione del rapporto di lavoro (cfr. Cass. n. 6845/2014).

Pertanto, collegare la contestualità della comunicazione di cui all’art. 4 co. 9°, secondo periodo, legge n. 223/91 non all’intimazione del licenziamento, ma ad altra data successiva, come ad esempio quella di sua efficacia (efficacia che può risultare posticipata anche di qualche mese) o ad altra data ancora, indurrebbe il lavoratore a dover attendere la suddetta comunicazione alle organizzazioni sindacali e ai competenti uffici del lavoro per poter apprendere compiutamente le modalità di applicazione dei criteri di scelta del personale licenziato, con il rischio di consumare nel frattempo - in tutto o in gran parte - l’arco dei 60 giorni entro cui adempiere l’onere previsto dall’art. 6 legge n. 604/66; oppure lo indurrebbe a procedere in via prudenziale sempre e comunque all’impugnativa extragiudiziale del licenziamento, anche quando, all’esito della successiva verifica delle suddette modalità, esso si riveli senza dubbio alcuno legittimo.

In breve, una nozione elastica del requisito della contestualità contraddice quella funzione di garanzia dei lavoratori licenziati propria delle comunicazioni da inviare alle organizzazioni sindacali e ai competenti uffici del lavoro e si rivela incoerente con il disegno normativo contenuto nella legge n. 223/91.

La riscontrata violazione determina di per sé, ai sensi dell’art. 5 co. 3° legge n. 223/1991, l’inefficacia del licenziamento dell’odierno ricorrente.

3 - Del pari fondato è il secondo motivo.

Come questa S.C. ha già ripetutamente statuito con indirizzo da confermarsi anche in questa sede (cfr., ex aliis, Cass. n. 28680/13; Cass. n. 10424/12; Cass. n. 1938/11; Cass. n. 21541/06; Cass. n. 12781/03), nell’accordo sindacale raggiunto nel quadro d’una procedura ex lege n. 223/91 può anche pattuirsi, come unico criterio di scelta, quello della prossimità al pensionamento o del possesso dei requisiti pensionistici dei lavoratori da licenziare, purché nella pratica applicazione di tale criterio non residuino margini di discrezionalità di scelta in favore del datore di lavoro.

Diversamente, ove cioè in concreto tale criterio non consenta di per sé l’esauriente e oggettiva selezione dei lavoratori destinatari del licenziamento, esso risulta illegittimo se non combinato con un ulteriore parametro di selezione interna.

In altre parole, in tema di licenziamenti collettivi ex lege n. 223/91, il criterio di scelta adottato nell'accordo sindacale tra datore di lavoro e organizzazioni sindacali per l'individuazione dei destinatari del licenziamento può anche essere unico e consistere nella prossimità al pensionamento, purché esso permetta di formare una graduatoria rigida e possa essere applicato e controllato senza alcun margine di discrezionalità da parte del datore di lavoro, il che non è avvenuto nella vicenda per cui è processo.

Ne consegue, sotto questo profilo, l'invalidità del licenziamento.

3 - L'accoglimento dei primi due motivi di ricorso assorbe la disamina delle restanti censure e implica l'invalidità e comunque l'inefficacia del licenziamento per cui è causa.

4 - In conclusione, devono accogliersi i primi due motivi di ricorso, con assorbimento delle restanti censure e con conseguente cassazione della sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio, anche per le spese, alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione, che dovrà limitarsi a pronunciare sulle conseguenze dell’invalidità del licenziamento intimato all’odierno ricorrente.

 

P.Q.M.

 

Accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio, anche per le spese, alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione.