Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 28 ottobre 2015, n. 21999

Irpef, Irap, Iva - Accertamento - Codice attività, motivazione dell'avviso, onere della prova

 

Ritenuto in fatto

 

Con sentenza del 13 febbraio 2009 la commissione tributaria regionale della Sicilia accoglie l'appello proposto dall'Agenzia delle entrate nei confronti dell'ing. V.A.C. e, in riforma della decisione di primo grado, conferma l'accertamento notificato il 4 luglio 2005 (Irpef, Irap, Iva 2000).

Premette, in rito, che è infondata l'eccezione d'inammissibilità dell'impugnazione, che è, invece, adeguatamente rispettosa dei canoni processuali di specificità con riferimento ai punti nodali della vertenza (codice attività, motivazione dell'avviso, onere della prova).

Ritiene, nel merito, che il codice di attività indicato dell'ufficio in sede di contraddittorio - 74.14.4 consulenza amministrativo gestionale e pianificazione aziendale - delinea più esattamente l'attività del contribuente con riferimento a prestazioni di consulenza e assistenza alle imprese e agli organismi pubblici per quanto concerne pianificazione, organizzazione, miglioramento dell'efficienza e controllo.

Osserva, a tal proposito, che i contratti e le fatture in atti riguardano prestazioni professionali per l'implementazione del sistema di qualità dei servizi tecnico produttivi e amministrativi per pianificare, organizzare e migliorare l'efficienza e il controllo delle ditte committenti.

Rileva che i diversi codici indicati dal contribuente riguardano prestazioni del tutto eterogenee quali aerofogrammetria, cartografia e meteorologia ovvero certificazioni di prodotti, processi e sistemi compresi autoveicoli, natanti, etc..

Afferma, in punto di motivazione della pretesa, che essa è adeguatamente esplicitata a pag. 3 dell'avviso e nel processo verbale di contraddittorio preventivo e che il contribuente è stato in grado di svolgere "a pieno il suo diritto di difesa" tramite il suo difensore.

Per la cassazione della sentenza d'appello l'ing. C. propone ricorso affidato a tre motivi. L'Agenzia delle entrate resiste con controricorso. Il contribuente replica con memoria.

 

Considerato in diritto

 

Il ricorso va rigettato.

Il primo motivo, denunciante "error in procedendo" (artt. 342 cod. proc. civ. e 53 proc. trib.), non è fondato, ben potendo il fisco appellante, contrariamente alla tesi del contribuente, riproporre nell'atto d'impugnazione le stesse ragioni e argomentazioni svolte in primo grado a sostegno delle proprie difese (Cass. 2180/15).

Questa Corte ha ripetutamente chiarito che la specificità dei motivi di appello (finalizzata ad evitare un ricorso generalizzato e poco meditato al giudice di seconda istanza) esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell'appellante, volte ad incrinare il fondamento logico giuridico delle prime, ragione la quale alla parte volitiva deve sempre accompagnarsi una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice (Cass. 14031/06).

Tale esigenza, tuttavia, non può impedire che il dissenso della parte soccombente investa la decisione impugnata nella sua interezza e che esso si sostanzi proprio in quelle argomentazioni che suffragavano le tesi disattese dal primo giudice, essendo innegabile che, in tal caso, sottoponendo al giudice d'appello dette argomentazioni, perché ritenute giuste e idonee al conseguimento della pretesa fatta valere, si adempia pienamente all'onere di specificità dei motivi (Cass. 14908/14).

Ciò vale anche quando la riproposizione, a supporto dell'appello proposto dall'amministrazione finanziaria, si estenda alla motivazione dell'avviso di accertamento annullato dal giudice di primo grado (Cass. 4784/11; conf. 3064/12).

Il secondo motivo, declinato per vizio motivazionale, è inammissibile. Esso è corredato da momento di sintesi (art. 366 bis cod. proc. civ.) del tutto insufficiente, col quale si censura non la giustificazione della decisione di merito su un fatto che, in senso storico-naturalistico, sia trascurato o malamente valutato dal giudice di merito (Cass. 21152/14), ma una questione, di natura giuridica, circa il ruolo della motivazione nell'avviso di accertamento e la sua eventuale sanatoria per il raggiungimento dello scopo per effetto di adeguate difese svolte dal contribuente.

Il terzo motivo, denunciante violazione di norme di diritto (art. 3, co. 184, I. 549/95; art. 3 e 53 Cost.), è inammissibile.

Esso è corredato da quesito di diritto (art. 366 bis cod. proc. civ.) del tutto inidoneo perché non comprende l'indicazione sia della "regula iuris" adottata dalla sentenza d'appello, sia il diverso principio giuridico che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione di quello adottato (Cass. 24339/08). La mancanza di tale seconda indicazione rende il mezzo inammissibile (Cass. 7197/09).

Il terzo motivo è pure manifestamente infondato laddove non considera che, una volta attuata la procedura del contraddittorio preventivo, il fisco può ben fondare il suo accertamento sui parametri o studi di settore. Il che, contrariamente alla tesi del ricorrente, sposta sul contribuente l'onere della prova a discarico (Cass. 17646/14).

Né vale invocare l'asserito giudicato esterno che si sarebbe favorevolmente formato sul precedente anno d'imposta 1999 riguardo all'attribuzione del codice di attività (rilevante per l'applicazione di parametri o studi di settore). Del giudicato non parla la sentenza d'appello e non risulta se esso sia stato introdotto nel giudizio di merito; mancano, infatti, nel ricorso i riferimenti, le trascrizioni e quant'altro necessario per la sua autosufficienza sul punto (Cass. 28247/13).

Se poi l'invocata pronunzia esterna è divenuta definitiva dopo udienza (17 novembre 2008) in cui la causa in appello è stata spedita a sentenza, opera il principio generale di non ultrattività del giudicato esterno con riferimento a diversi anni d'imposta e riguardo a elementi potenzialmente mutevoli quali quelli costituiti dall'attività svolta riguardo alle prestazioni concretamente erogate e fatturate (Cass. 6953/15; conf. 20029/11).

Infine, l'imposizione specifica sul valore aggiunto è soggetta a norme comunitarie imperative, la cui applicazione non può essere ostacolata dal carattere vincolante del giudicato nazionale e dalla eventuale sua proiezione anche oltre il periodo di imposta che ne costituisce specifico oggetto (Cass. 16996/12; conf. C. giust., 03/09/2009, in causa C-2/08). Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese liquidate in € 7290 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.