Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 28 ottobre 2015, n. 22002

Tributi - Verifica della GdF - Accesso - Autorizzazione rilasciata dal Procuratore della Repubblica - Avviso di accertamento - Presunta sottofatturazione - Violazione degli obblighi relativi alla contabilità - Percentuale di ricarico

 

Svolgimento del processo

 

A seguito di p.v.c., e di accesso sia presso la sede della ditta che presso l'abitazione del titolare di quest'ultima, venne emesso nei confronti di R.G., titolare della ditta individuale esercente l'attività di lavanderia, avviso di accertamento per l'anno 2001 per maggiori ricavi accertati e recupero di costi non inerenti. Propose ricorso il contribuente, con riferimento ai seguenti punti: cessione dei beni e momento del pagamento del corrispettivo; percentuale di ricarico pari al 35% derivante da presunta sottofatturazione; autorizzazione all'accesso nell'abitazione rilasciata dal Procuratore della Repubblica di Lanciano; violazione dello statuto del contribuente; studi di settore.

Successivamente il contribuente propose ricorso anche contro la cartella di pagamento nel frattempo notificatagli.

La CTP, in accoglimento dei ricorsi, annullò avviso di accertamento e cartella di pagamento. L'appello proposto dall'Ufficio fu accolto dalla Commissione Tributaria Regionale dell'Abruzzo sulla base della seguente motivazione.

La CTP ha accolto il ricorso sulla base di un triplice ordine di ragioni: a) "inattendibilità del verbale di accertamento della GdF richiamato in atti, giacché relativo e consequenziale ad un accesso ispettivo eseguito in esorbitanza dai limiti operativi prefissati dal provvedimento autorizzatorio della Procura della Repubblica, espletato con modalità elusive della salvaguardia del diritto di partecipazione e difesa del contribuente"; b) erroneità e censurabilità della metodologia operativa che ha condotto alla prefigurazione della ipotizzata evasione fiscale; c) erroneità della estensione a ritroso (anche agli anni 2001 e 2000) della medesima metodologia di rettifica, peraltro in assenza di presunzioni gravi, precise e concordanti. "L'assunto sub a) non è condivisibile nella misura in cui esso appare fondamentalmente supportato da valutazioni e congetture palesemente dissonanti dalle modalità dell'accesso ispettivo come descritte nel verbale di accertamento della GdF. Modalità alla stregua delle quali è dato evincere che gli agenti delegati alla ispezione hanno correttamente dato esecuzione al decreto autorizzatorio all'accesso; acquisito la documentazione prelevata dallo stesso R.G. dalla cassaforte custodita nella propria abitazione; consentito al contribuente, nel contesto di siffatta operazione, di partecipare personalmente alla stessa e di esercitare le proprie prerogative di difesa". Circa l'assunto sub b), il rilievo dell'evasione è stato ascritto al contribuente "previa valutazione complessiva e comparata della documentazione aziendale ed altresì delle risultanze della elaborazione degli studi di settore; operazione questa che ha condotto al conclusivo riscontro di una sottofatturazione dei corrispettivi di servizio sistematicamente perseguita dal contribuente relativamente alle annualità di riferimento". Circa l'assunto c), "il collegio ritiene corretto l'operato dell'A.F. anche ai fini della evasione per sottofatturazione rilevata con riguardo all'anno 2001. Da ultimo, appare condivisibile la motivazione di assenza di certezza e di inerenza, sulla quale la medesima Amministrazione ha fondato il rilievo di non recuperabilità dei costi relativi all'utenza di energia elettrica".

Ha proposto ricorso per cassazione il contribuente sulla base di otto motivi. Resiste con controricorso l'Agenzia delle Entrate.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo si denuncia illegittima emissione in data 30 novembre 2002 del provvedimento della Procura della Repubblica di Lanciano, autorizzante l'accesso nell'abitazione privata del contribuente, in quanto non sussistente ab origine il presupposto dei "gravi indizi di violazione di norme, allo scopo di reperire libri, registri, documenti, scritture ed altre prove delle violazioni".

Con il secondo motivo si denuncia eccesso di potere da parte dei militi della Guardia di Finanza per avere, a seguito dell'accesso nell'abitazione del contribuente, ottenuto illecitamente la apertura della cassaforte pur nella consapevolezza che i gravi indizi di violazione di norme erano venuti meno dal momento che non risultavano lavoratori dipendenti ed in mancanza di valida autorizzazione della Procura della Repubblica ai sensi dell'art. 52, comma 3, d.p.r. n. 633/1972.

Con il terzo motivo si denuncia errata interpretazione in ordine al momento di emissione delle fatture, che per la prestazione di servizi deve avvenire al momento del pagamento del corrispettivo (art. 6, comma 3, d.p.r. n. 633/1972), laddove invece l'Ufficio ha ritenuto che "le prestazioni dovevano essere già effettuate".

Con il quarto motivo, relativamente alla "presunta sottofatturazione", si denuncia che l'Ufficio non ha esposto le ragioni di difesa prospettate dal contribuente, limitandosi a mere espressioni prive di sostanza ed "aggrappandosi" alla sola eccezione di presunzione legale, sia pure affiancando alla stessa il richiamo agli studi di settore. Aggiunge il ricorrente che sarebbe stato necessario un controllo dei vari clienti allo scopo di verificare se essi avessero eseguito le registrazioni delle fatture per le prestazioni che dovevano essere già state effettuate, provvedendo a carico dei medesimi ai conseguenziali recuperi.

Con il quinto motivo si denuncia che la sentenza impugnata nulla ha argomentato in ordine alla questione dei consumi Enel, limitandosi ad espressioni astratte, accettando acriticamente le affermazioni dell'Ufficio secondo cui le bollette rappresentavano costi di L.M.P., precedente titolare della ditta.

Con il sesto motivo si denuncia la mancanza di argomenti nella sentenza della CTR con riferimento agli errori di ricarico, i quali hanno gravato sull'imponibile degli anni precedenti.

Con il settimo motivo si denuncia che nessun argomento in motivazione è stato speso sul tema "prestazione servizi e momento della fatturazione, ex art. 6, comma 3, d.p.r. n. 633/1972". Precisa il ricorrente che l'Amministrazione finanziaria avrebbe dovuto accertare mediante il controllo incrociato se gli episodi di sottofatturazione erano stati attuati anche dalla abituale clientela della ditta contribuente.

Con l'ottavo motivo, relativo agli studi di settore, il ricorrente richiama principio di diritto enunciato da questa Corte.

Dopo l'illustrazione dei motivi il ricorrente espone che sulla base della mera violazione degli obblighi relativi alla contabilità ex art. 9, commi 1 e 2, d. leg. n. 471/1997, ed interpretando dei brogliacci riconducibili al periodo gennaio-ottobre 2002, i verificatori hanno ritenuto esistente una elusione fiscale da sottofatturazione, modificando l'entità globale dei ricavi. Aggiunge che i risultati ottenuti nell'ottobre 2002 sono stati ingiustificatamente "traslati" a ritroso negli anni 2000 e 2001, con la conseguenza che per l'anno 2000 il relativo termine per l'accertamento era venuto a scadere il 31 dicembre 2005, in epoca antecedente quindi la notifica dell'avviso di accertamento (1 dicembre 2006). Lamenta che su tali temi non vi è alcun cenno motivazionale nella sentenza impugnata.

Il ricorso è inammissibile sotto più profili. In primo luogo manca l'indicazione delle norme di diritto su cui si fondano i motivi ai sensi dell'art. 366 n. 4 c.p.c. Il ricorso per cassazione è ammissibile anche se non indica gli articoli di legge che si assumono violati, purché, nel chiedere la cassazione per il motivo di violazione di norma di diritto, il ricorrente indichi per quale aspetto la decisione è in contrasto con una norma di legge ed avrebbe perciò potuto essere diversa, spettando poi alla Corte di verificare la conformità della decisione della questione alla norma che avrebbe dovuto esservi applicata (Cass. 17 luglio 2001, n. 9652). E' stato ulteriormente specificato che l’indicazione, ai sensi dell’art. 366 n. 4 delle norme che si assumono violate non si pone come requisito autonomo ed imprescindibile ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, ma come elemento richiesto al fine di chiarire il contenuto delle censure formulate e di identificare i limiti della impugnazione, sicché la mancata od erronea indicazione delle disposizioni di legge non comporta l'inammissibilità del gravame ove gli argomenti addotti dal ricorrente, valutati nel loro complesso, consentano di individuare le norme o i principi di diritto che si assumono violati e rendano possibile la delimitazione del "quid disputandum" (Cass. 4 giugno 2007, n. 12929). Nel caso di specie l'indicazione delle norme sarebbe stata necessaria con riferimento a larga parte delle censure, sia perché in molti dei motivi di ricorso non si comprende se la censura abbia ad oggetto una violazione di legge o un vizio motivazionale, sia perché per taluni motivi (come il secondo, il quarto e l'ottavo - quest'ultimo motivo difetta peraltro di censura in senso proprio, limitandosi il ricorrente a richiamare principio di diritto enunciato da questa Corte) non si comprende quali siano gli specifici principi di diritto di cui si intende denunciare la violazione. In mancanza dell'indicazione delle norme di diritto su cui i motivi di censura si fondano, il contenuto delle censure formulate nonché i limiti della impugnazione restano non identificabili.

In secondo luogo, va evidenziato che il ricorso è carente sotto il profilo della sommaria esposizione dei fatti quanto al contenuto dell’originario ricorso del contribuente innanzi alla CTP ed anche con riferimento al contenuto motivazionale della sentenza di primo grado. Quanto al contenuto dell'originaria impugnazione dell'atto impositivo, nell'odierno ricorso si afferma solo che innanzi al giudice tributario furono proposte le seguenti questioni: cessione dei beni e momento del pagamento del corrispettivo; percentuale di ricarico pari al 35% derivante da presunta sottofatturazione; autorizzazione all'accesso dell'abitazione rilasciata dal Procuratore della Repubblica di Lanciano; violazione dello statuto del contribuente; studi di settore. La carenza del ricorso in punto di sommaria esposizione dei fatti della causa rifluisce in violazione del principio di autosufficienza. Il contenzioso tributario ha un oggetto rigidamente delimitato ai motivi di impugnazione avverso l'atto impositivo dedotti col ricorso introduttivo, i quali costituiscono la causa petendi entro i cui confini si chiede l'annullamento dell'atto e la cui formulazione soggiace alla preclusione stabilita dall'art. 24, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992. Non avendo il ricorrente esposto il contenuto dei motivi di impugnazione dell'atto impositivo, ed essendosi limitato ad una generica elencazione di punti affrontati, non è possibile stabilire con riferimento a ciascuno dei motivi dell'odierno ricorso se ed in quale misura essi restino coerenti alla causa petendi dell'originario ricorso.

La violazione del principio di autosufficienza rileva anche laddove sia stato denunciato chiaramente un vizio motivazionale, ed è il caso del quinto motivo. In tal caso il ricorrente ha omesso di indicare se ed in quale atto processuale, nonché in quali termini ai fini del controllo di decisività, abbia indicato le circostanze di fatto la cui mancata contemplazione all'interno della motivazione renda quest'ultima insufficiente.

Da ultimo, per la gran parte dei motivi di censura, nel ricorso si assumono presupposti di fatto rispetto ai quali manca l'accertamento del giudice di merito, mirandosi così ad una indagine di merito che è preclusa nella presente sede di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali, che liquida in euro 2.935,00 per compenso, oltre le spese prenotate a debito.