Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 28 ottobre 2015, n. 22029

Rapporto di lavoro - Demansionamento - Contrasto con l'art. 2103 cod. civ. - Liceità del patto di demansionamento al fine di evitare il licenziamento - Prova

Svolgimento del processo

 

Con sentenza depositata il 22.12.09 la Corte d’appello di Genova, in totale riforma della sentenza n. 2249/08 del Tribunale della stessa sede, rigettava la domanda di G.C. e G.M. intesa ad ottenere la condanna di P.I. S.p.A. a reintegrarli nelle precedenti mansioni tecniche di addetti alla manutenzione dei macchinari del Centro di Meccanizzazione Postale (CMP) di Genova e Aeroporto - che erano state esternalizzate - o ad assegnare loro altre mansioni tecniche di contenuto equivalente, e a risarcire il danno derivante dal demansionamento consistito nell’essere stati adibiti a mansioni di sportello o comunque ad altre gestionali (anziché tecniche) dell’area operativa in cui erano inquadrati in base al CCL di P.I.

Per la cassazione della sentenza ricorrono G.C. e G.M. affidandosi ad un solo articolato motivo.

P.I. S.p.A. resiste con controricorso, poi ulteriormente illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

1 - Con unico articolato motivo di ricorso si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2103 e 1362 e ss. c.c. in connessione con gli artt. 43 e 46 CCL 26.11.94 per i dipendenti di P.I. S.p.A. recanti la clausola di fungibilità di mansioni equivalenti e degli accordi 23.5.95 e 20.3.98 sull’alternanza delle predette mansioni equivalenti e dell’art. 5 legge n. 604/66, oltre che vizio di motivazione: lamentano i ricorrenti che la sentenza impugnata, malamente interpretando un precedente di questa Corte (Cass. n. 8596/07), ha trascurato che, se è vero che è legittima una clausola di cd. fungibilità funzionale tra mansioni diverse, è tuttavia necessario che fra di esse permanga un nucleo di omogeneità e affinità; inoltre - prosegue il ricorso - è vero che un patto di demansionamento può essere legittimo se costituisce l’unica alternativa al licenziamento (in caso di impossibilità di allocare diversamente la professionalità del lavoratore), ma il relativo onere probatorio incombe sul datore di lavoro e non sul lavoratore, mentre la sentenza impugnata ha affermato che i ricorrenti non avrebbero dedotto alcunché in ordine alla possibilità di essere adibiti, dopo l’esternalizzazione, a mansioni di carattere tecnico equivalenti a quelle precedentemente espletate.

2 - Il ricorso è infondato.

È noto che è valido il patto di demansionamento che, ai soli fini di evitare un licenziamento, attribuisca al lavoratore mansioni, e conseguente retribuzione, inferiori a quelle per le quali era stato assunto o che aveva successivamente acquisito, prevalendo in tal caso l'interesse del lavoratore a mantenere il posto di lavoro su quello tutelato dall'art. 2103 c.c.; tale patto è valido non solo ove sia promosso dalla richiesta del lavoratore - il quale deve manifestare il suo consenso non affetto da vizi della volontà - ma anche allorquando l'iniziativa sia stata presa dal datore di lavoro, purché vi sia il consenso del lavoratore e sussistano le condizioni che avrebbero legittimato il licenziamento in mancanza dell'accordo (cfr, ex aliis, Cass. n. 11395/14; Cass. n. 25074/13; Cass. n. 2375/05).

Nel caso di specie la Corte territoriale, lungi dal decidere la controversia in base alla mera ripartizione dell'onere probatorio, ha - invece - positivamente accertato che tale demansionamento ha costituito l'unica alternativa praticabile ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo (v. pag. 9 della sentenza impugnata), anche perché la società convenuta si è trovata di fronte alla necessità di ricollocare ben 513 unità adibite all'esercizio tecnico di manutenzione, di guisa che il rilievo della mancata allegazione - da parte degli odierni ricorrenti - di altre collocazioni lavorative con mansioni di carattere tecnico equivalenti a quelle svolte in precedenza si risolve in un'argomentazione meramente rafforzativa, non già in una autonoma ratio decidendi basata su un'errata inversione dell'onere della prova.

Si tratta, in altre parole, d'una motivazione in punto di fatto esposta senza illogicità o contraddittorietà di sorta (in quanto tale incensurabile in sede di legittimità) e sull'esatto presupposto giuridico della possibilità di demansionare il lavoratore ove ciò costituisca l'unica alternativa praticabile ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo e ciò anche al di là dell'esistenza di apposite clausole di fungibilità funzionale.

3 - In conclusione il ricorso è da rigettarsi. La natura della controversia suggerisce di compensare per intero fra le parti le spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità Così deciso in Roma, in data 16.915.