Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 19 ottobre 2015, n. 41830

Tributi - Accertamento - Distruzione delle scritture contabili - Determinazione induttiva del reddito - Scriminante - Non sussiste

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con sentenza del 21/11/2014 la Corte di Appello di Torino confermava la sentenza del Tribunale di Torino, emessa in data 03/06/2009, con la quale L.N. era stato condannato alla pena di anni 1 e mesi 8 di reclusione per il reato ai cui all’art. 10 D.L.vo 74/2000 ascritto (per avere, al fine di evadere le imposte, occultato o distrutto la documentazione amministrativo-contabile di cui è obbligatoria la conservazione).

Nel disattendere i motivi di appello, rilevava la Corte territoriale che dalle risultanze processuali ed in particolare dalla testimonianza del M.llo P. della G.d.F. di Avigliana, emergesse che il N. non aveva ottemperato all'invito a depositare la documentazione contabile (adduceva di aver subito, nel settembre 2005, il furto dell'auto in cui la documentazione stessa era custodita).

Riteneva la Corte territoriale che i documenti contenuti nell'auto sottratta, secondo quanto affermato nella stessa denuncia, presentata il 26/10/2005, non fossero certo le scritture contabili obbligatorie (si faceva invero riferimento a "varie fatture e fogliettini..").

Irrilevante era poi il fatto che, in via presuntiva, fosse stato possibile ricostruire il reddito di impresa, non essendo siffatta ricostruzione equiparabile a quella realizzabile sulla base della documentazione contabile.

2. Ricorre per cassazione L.N., a mezzo del difensore, denunciando la violazione di legge in relazione all'art. 129 cod.proc.pen. ed agli artt. 161, 99 cod.pen.

Il reato contestato era già prescritto al momento della emissione della sentenza impugnata, essendo decorso il termine massimo di prescrizione di anni 7 e mesi 6.

Non poteva, invero, tenersi conto, nel calcolo del termine prescrizionale, della contestata recidiva ex art. 99 comma 4 cod.proc.pen. (ndr art. 99 comma 4 cod.pen.)

Come emerge dal provvedimento del Tribunale di Sorveglianza di Torino del 14/07/2010, il ricorrente era stato ammesso all'affidamento in prova ai servizi sociali in relazione ai delitti in forza dei quali era stata contestata la recidiva.

Essendosi la misura conclusa con esito positivo, come da ordinanza del 20/09/2011, a norma dell'art. 47 comma 11 L. 354/1975, si determinava l'estinzione di ogni effetto penale delle condanne.

Con il secondo motivo denuncia l'erronea applicazione dell'art. 10 D.L.vo 74/2000 e l'assoluta carenza di motivazione in ordine alla sussistenza della condotta contestata.

La Corte territoriale non ha tenuto conto dei rilievi contenuti nell'atto di appello quanto al carattere approssimativo e sintetico della verbalizzazione con riferimento alla documentazione custodita nell'auto.

Peraltro era stato possibile accertare il risultato economico delle operazioni effettuate e quindi mancava il requisito di offensività della condotta.

Con il terzo motivo, infine, denuncia la violazione di legge in ordine alla mancata applicazione dell'indulto ex L. 241/2006.

 

Considerato in diritto

 

1. Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.

2. Quanto al primo motivo, non c'è dubbio che, a norma dell'art. 47 comma 11 L. 354/1975, l'esito positivo del periodo di prova comporti l'estinzione di ogni effetto penale della condanna.

E, come affermato dalle Sezioni Unite, con la sentenza n. 5859 del 27/10/2011, l'estinzione di ogni effetto penale determinata dall'esito positivo dell'affidamento in prova al servizio sociale comporta che delle relative condanne non possa tenersi conto agli effetti della recidiva.

2.1. Il ricorrente, però, non tiene conto che non tutti i reati, sulla base dei quali era stata contestata la recidiva, erano ricompresi nel provvedimento di affidamento in prova.

Dallo stesso provvedimento allegato al ricorso risulta che l'affidamento in prova riguardava la residua pena di mesi 8 e giorni 8 di reclusione, della maggior pena di anni 4 e mesi 4 di reclusione, comprendente condanne per violazione art. 20 L. 47/85 dell'89, bancarotta del 95, ricettazione del 98, evasione del 99, bancarotta del 97, violazione legge armi del 2001.

In particolare non erano "coperte" dal provvedimento la sentenza di condanna emessa dalla Pretura di Torino in data 6/11/1981 (irrevocabile il 6/12/1981), avente ad oggetto il reato di bancarotta semplice, con applicazione dell'amnistia in sede esecutiva, nonché la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti del 13/6/1994, avente ad oggetto il reato di bancarotta semplice continuata (la relativa pena risultava eseguita alla data del 23/4/2004, come emerge dal certificato penale in atti).

Con riferimento ad esse ricorrevano, quindi, le condizioni per l'applicazione quanto meno della recidiva reiterata.

E' appena il caso di ricordare che la sentenza di applicazione pena è equiparata ad una pronuncia di condanna, e tale equiparazione rende possibili gli effetti concernenti la contestazione della recidiva (cfr. Cass. sez. 3 n. 7939 del 04/06/1998) e che l'amnistia impropria non ha incidenza in ordine alla recidiva (Cass. sez. 1 n. 2794 del 12/06/1992).

2.2. A norma dell'art. 161 comma 2 cod.pen., salvo che si proceda per i reati di cui all'art. 51 comma 3 bis e 3 quater, del codice di procedura penale, in nessun caso l'interruzione della prescrizione può comportare l'aumento di più di un quarto del tempo necessario a prescrivere, della metà nei casi di cui all'art. 99, secondo comma, di due terzi nel caso di cui all'art. 99 comma quarto, e del doppio nel casi di cui agli artt. 102, 103 e 105.

Nel caso di specie, quindi, il termine massimo di prescrizione era di anni 10 (anni 6, aumentati di due terzi). Tale termine, risultando il reato commesso, secondo la contestazione, in data anteriore e prossima al 13.2.2007, non era ancora maturato al momento della emissione della sentenza impugnata (né lo è ancora alla data odierna).

3. La Corte territoriale, poi, con motivazione adeguata ed immune da vizi logici, ha ritenuto sulla base delle risultanze processuali, che non potessero esservi dubbi in ordine alla distruzione o, comunque, occultamento delle scritture contabili.

Ha esaminato in proposito la tesi difensiva in ordine alla presenza della documentazione all'interno dell'autovettura sottratta ed ha accertato che siffatta tesi trovava smentita nella stessa denuncia presentata. In essa, invero, si faceva, inequivocabilmente, riferimento a "varie fatture e fogliettini relativi alla mia attività lavorativa", che non potevano certamente identificarsi nelle scritture contabili obbligatorie.

Del resto, la conferma che non si trattasse di un mero smarrimento (dovuto alla sottrazione da parte di terzi) si ricavava dal fatto che, per il periodo successivo, non erano state ripristinate le scritture asseritamente sottratte.

Correttamente ha altresì ritenuto la Corte territoriale che fosse irrilevante, ai fini della configurabilità del reato, la possibilità di ricostruzione in via presuntiva del reddito di impresa.

Non è necessario, infatti, che si verifichi in concreto una impossibilità assoluta di ricostruire il volume d'affari o dei redditi, essendo sufficiente anche una impossibilità relativa che sussiste anche se a tale ricostruzione si possa pervenire aliunde (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 3, 11.5.1989 n. 7065).

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, proprio perché la norma intende assicurare la trasparenza fiscale del contribuente, è irrilevante che delle operazioni non documentate venga effettuata la ricostruzione ab externo, attraverso riscontri incrociati, presso i soggetti economici cui si riferiscono quelle operazioni (cfr. Cass. pen. sez. 3 n. 3057/2008).

La norma infatti, "sarebbe sostanzialmente inutiliter data ove si attribuisse alla solerzia degli accertatori ed alla loro capacità di reperire aliunde elementi di prova una sorta di efficacia sanante dell'illecita condotta dell'imprenditore. Ben difficilmente infatti questa condotta sarebbe sanzionata dal momento che in materia, di regola, In un modo o nell'altro, prima o poi, eventualmente procedendo a controlli incrociati, l'evasione fiscale viene scoperta. Essa per contro, acquista una precisa ragion d'essere anche perché responsabilizza l'imprenditore - allorchè si interpreta nel senso che la ricostruzione dei redditi e del volume di affari dell'Impresa deve poter avvenire co i documenti che il titolare è tenuto a conservare - escluso pertanto qualsiasi riferimento ad un impossibilità assoluta di procedere a tale ricostruzione" (cfr. Cass. pen. sez. 3 n. 40552/2005).

4. Infine, altrettanto, correttamente la Corte territoriale ha ritenuto che non potesse applicarsi l'indulto in ordine alla condotta commessa nei limiti temporali di cui alla L. 241/2006.

L'art. 10 D.L.gs. 74/2000 sanziona sia la distruzione delle scritture contabili, la quale realizzandosi con l'eliminazione del supporto cartaceo, si configura come reato istantaneo, sia l'occultamento totale o parziale delle scritture medesime che, perdurando l'obbligo di esibizione finché dura il controllo da parte degli organi verificatori, dà luogo invece ad un reato di natura permanente (Cass.sez. 3 n. 4871 del 17/01/2006).

5. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.