Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 15 ottobre 2015, n. 20845

Previdenza e assistenza - Indebita fruizione di sgravi Inps - Evasione contributiva - Sussiste

 

Svolgimento del processo

 

La Corte d'appello di Caltanissetta, con la sentenza n. 125 del 2010, accoglieva parzialmente l'appello principale di T.C. s.r.l. e quello incidentale dell'Inps, proposti avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva deciso l’opposizione proposta dalla società avverso il verbale di accertamento ispettivo dell'Inps del 28 settembre 2004.

Per quello che qui ancora rileva, la Corte territoriale riteneva che fosse cornetta la non spettanza degli sgravi ex L. n. 448 del 1998 e L. n. 448 del 2001 per i dipendenti assunti negli anni 2000, 2001 e 2002, ritenuta nel verbale di accertamento, alla luce del riconoscimento di debito contenuto nelle note depositate dalla difesa di T.C. s.r.l. nel corso del giudizio di primo grado. L’autenticità della sottoscrizione apposta dal legale rappresentante della società in calce alla copia della dichiarazione prodotta dall’Inps con la memoria di costituzione del giudizio d’appello doveva poi ritenersi riconosciuta ai sensi dell’art. 215 c.p.c., poiché non era stata contestata nella prima udienza successiva. Ciò precludeva l'esame del secondo motivo dell'appello principale, con il quale la T.C. s.r.l. chiedeva che fosse accertata l’infondatezza nel merito della pretesa contributiva derivante dal mancato riconoscimento del diritto agli sgravi. Riteneva inoltre, per la commisurazione delle sanzioni civili relative ai contributi per i periodi successivi al 1 ottobre del 2000, che sussistesse l’ipotesi dell’ omissione contributiva prevista dalla lettera a) dell'art. 116 comma otto della legge 388 del 2000, e non la più grave ipotesi dell’evasione, considerato che rammentare dei contributi omessi era stato rilevato dalla documentazione aziendale e dalle denunce inoltrate all'istituto previdenziale.

Per la cassazione della sentenza la T.C. s.r.l. ha proposto ricorso principale affidato a quattro motivi, illustrati anche con memoria ex art. 378 c.p.c., cui ha resistito l’Inps con controricorso, nel quale ha formulato altresì ricorso incidentale affidato ad un motivo.

 

Motivi della decisione

 

Preliminarmente, il ricorso principale quello incidentale sono stati riuniti ex art. 335 c.p.c., in quanto proposti avverso la medesima sentenza.

1. I motivi del ricorso principale possono essere così riassunti:

1.1. Come primo motivo, T.C. applicazione dell'articolo 215 ultimo comma del codice di procedura civile in cui sarebbe incorsa la Corte d’appello nel ritenere che l’autenticità della sottoscrizione apposta in calce alla dichiarazione qualificata come riconoscimento di debito non sarebbe stata tempestivamente contestata, considerato che la scrittura non era stata prodotta dall’Inps in originale, ma in copia, sicché ben poteva essere concesso un rinvio per consentirne il disconoscimento.

1.2. Come secondo motivo, deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 112, 157 e 215 c.p.c. e degli articoli 2968 e 2969 c.c. ed il vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale, laddove ha ritenuto la società decaduta dall'effettuare il disconoscimento, pur avendo rinunciato l’Inps a far valere tale eccezione, non opponendosi alla richiesta di rinvio formulata dai difensore della ricorrente alla prima udienza successiva la produzione del documento.

1.3. Come terzo motivo, lamenta la violazione e falsa applicazione degli articoli 1988, 2475 bis, 2731 e 2735 c.c. e degli articoli 75, 77, 83, 84, 125 e 229 c.p.c., e deduce che l'atto qualificato dalla Corte territoriale come ricognizione di debito non risultava sottoscritto dall'amministratore della società, né venivano esplicitati il nominativo del sottoscrittore e la sua qualità.

1.4. Come quarto motivo, deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 1988 e 112 c.p.c. e rammenta che la ricognizione del debito non costituisce autonoma fonte di obbligazione, avendo soltanto l’effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale, sicché la Corte avrebbe dovuto sottoporre a verifica le contestazioni mosse avverso l’accertamento contenuto nel verbale impugnato, sulla base delle circostanze dedotte dalla società con il secondo motivo d’appello, ove si deduceva che il licenziamento di n. 36 lavoratori nel periodo per il quale erano stati fruiti gli sgravi era stato determinato da giustificato motivo oggettivo.

2. I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto entrambi attengono all’argomentazione della Corte territoriale secondo la quale l’autenticità della sottoscrizione in calce alla scrittura contenente il riconoscimento del debito afferente gli sgravi contributivi dovesse ritenersi riconosciuta, in difetto di tempestivo disconoscimento, che avrebbe dovuto essere effettuato ai sensi dell’art. 215 comma 1 n. 2) c.p.c. all’udienza del 11/3/2009, successiva alla produzione, nella quale invece il difensore aveva richiesto un rinvio per consentire la presentazione personale della parte

2.1. I motivi non sono fondati.

L’operato della Corte territoriale è coerente con la previsione della disposizione dell’art. 215 comma 2 n. 2) c.p.c., considerato che la mancata contestazione alla prima udienza utile dell’autenticità della sottoscrizione, termine da intendersi in senso strettamente cronologico (v. Cass. n. 29909/2008, che ha escluso rilievo al fatto che in detta udienza non sia stata espletata alcuna attività processuale), ha determinato il riconoscimento tacito previsto dalla norma.

2.2. Non osta a tale conclusione la circostanza che la produzione effettuata dall’Inps consistesse in una copia fotostatica, come rilevato dalla stessa Corte territoriale a pg. 8 della motivazione, considerato che l'art. 2719 cod. civ., che esige l'espresso disconoscimento della conformità con l’originale delle copie fotografiche o fotostatiche, si applica tanto al disconoscimento della conformità della copia al suo originale quanto al disconoscimento dell'autenticità di scrittura o di sottoscrizione, dovendosi ritenere, in assenza di espresse indicazioni, che in entrambi i casi la procedura sia soggetta alla disciplina di cui agli artt 214 e 215 cod. proc. civ.. Ne consegue che la copia fotostatica non autenticata si ha per riconosciuta, tanto nella sua conformità all'originale quanto nella scrittura e sottoscrizione, ove la parte comparsa non la disconosca in modo specifico e non equivoco alla prima udienza ovvero nella prima risposta successiva alla sua produzione, mentre il solo disconoscimento onera la parte della produzione dell'originale, fatta salva la facoltà del giudice di accertare tale conformità anche "aliunde" ( v. Cass. n. 13425 del 13/06/2014, Cass. n. 23174 del 2006).

2.3. E’ vero poi l’assunto, ribadito dalla parte ricorrente, che il riconoscimento tacito è rilevabile solo ad istanza di parte (Cass. n. 6968 del 2006, n. 14475 del 2009). Dal contenuto dei verbali di udienza riportato nel ricorso (pgg. 10-12) si rileva tuttavia che l’Inps aveva fatto valere il riconoscimento tacito, in quanto all’udienza del 11/3/2009, pur non opponendosi alla richiesta di rinvio di controparte, aveva fatto rilevare che erano "maturate le preclusioni di rito", ed all’udienza del 24/3/2010 si era opposto a che il legale rappresentante effettuasse il disconoscimento, rilevandone la tardività.

3. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.

L’illeggibilità della sottoscrizione apposta in calce alla dichiarazione sopra il timbro della società e la mancata indicazione nel documento della carica sociale del sottoscrittore è circostanza che non viene esaminata dalla Corte d’ appello. Nel ricorso tuttavia non si indicano la sede e le modalità con le quali tale questione sarebbe stata tempestivamente dedotta, ed anzi la deduzione contrasta con la richiesta di rinvio formulata dal difensore nel giudizio di secondo grado per consentirne il disconoscimento da parte del legale rappresentante.

3.1. La formulazione dell’eccezione si pone quindi in contrasto con il principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte secondo il quale, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l'avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione. Nel giudizio di cassazione infatti, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte, non sono proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, a meno che si tratti di questioni rilevabili di ufficio o, nell’ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti. (Cass. n. 23675 del 18/10/2013, Cass. n. 4787 del 26/03/2012, Cass. n. 3664 del 21/02/2006).

4. Infondato è anche il quarto motivo.

Le "note di udienza" depositate dalla difesa della società opponente all’udienza del 5.4.2007 nel corso del giudizio di primo grado, valorizzate dai giudici di merito ai fini di ritenere la fondatezza della pretesa impositiva inerente alla non spettanza degli sgravi contributivi, sono state qualificate dai giudici di merito come ricognizione di debito, contenendo il seguente inciso: "con riferimento in particolare ai contributi non prescritti derivanti dai disconoscimento degli sgravi ex legge 448/1998, cioè, si ripete, quelli dall’ottobre 1999 in avanti, la società riconosce il diritto dell’Inps al pagamento di tale contribuzione per la somma di € 382.636,00, già dedotti acconti per € 140.312,00 versati successivamente all’inizio delle operazioni ispettive e come specificato in ricorso, somma per la quale la ricorrente medesima provvederà a presentare apposita istanza di dilazione alla competente sede Inps".

4.1. Secondo i principi generali, la ricognizione di debito non costituisce autonoma fonte dell'obbligazione, ma ha solo il più limitato effetto di sollevare il creditore dall'onere di provare il proprio diritto. Essa, tuttavia, diviene inefficace, siccome priva di causa, ove il debitore deduca e dimostri in giudizio la nullità o l’inesistenza del rapporto obbligatorio (Cass. n. 27406 del 18/11/2008, Cass. Sez. U, Ord. n. 11917 del 28/05/2014). Nel caso, tuttavia, tale principio va contemperato con l’altro, parimenti consolidato, secondo il quale in tema di sgravi contributivi, grava sull’impresa che vanti il diritto al beneficio l’onere di provare la sussistenza dei necessari requisiti (cfr., ex plurimis, Cass., nn. 1879/1997; 19373/2004; 5137/2006; 16351/2007; 29324/2008, 21898/2010), onere che dev’essere assolto tempestivamente, e quindi sin dal primo grado di giudizio. La doglianza secondo la quale la Corte di merito avrebbe errato nel non esaminare le circostanze dedotte per sostenere l’infondatezza della pretesa impositiva è quindi inammissibile, considerato che non risulta che sin dal primo grado di giudizio la parte abbia dedotto e chiesto di dimostrare la sussistenza del diritto agli sgravi, com’era suo onere, e che anzi in tale sede ha ammesso il debito con le note di udienza sopra riportate.

5. A fondamento del ricorso incidentale, l'Inps deduce violazione e falsa applicazione dell'articolo 116 ottavo comma della L.n. 388 del 2000 nonché dell’articolo 2697 del codice civile e sostiene che la T.C. S.r.l. non avrebbe dimostrato l’inesistenza dell’intenzione specifica di non versare la contribuzione previdenziale, sicché con riferimento alle omissioni contributive successive al 1 ottobre 2010 avrebbe dovuto applicarsi 1’ ipotesi dell'evasione contributiva di cui all'articolo 116 comma 8 lettera b) della L. n. 388 del 2000 e non la meno grave fattispecie dell’ omissione contributiva di cui alla lettera a), come ritenuto dalla Corte di merito.

5.1. Il motivo è fondato.

Il contrasto interpretativo sorto all'interno della Sezione lavoro di questa Corte, con riferimento alla disposizione in esame, è stato risolto da Cass. 28966/2011, in sostanziale adesione con quanto già ritenuto da Cass. 11261/2010, e con analitica confutazione dell'iter argomentativo seguito, da ultimo, da Cass. 1230/2011. La soluzione interpretativa ivi accolta è stata poi recepita dalla giurisprudenza successiva (Cass. n. 10509 del 25/06/2012, n. 4188 del 2013), sicché risulta ormai generalmente condiviso il principio secondo cui "In tema di obbligazioni contributive nei confronti delle gestioni previdenziali ed assistenziali, l'omessa o infedele denuncia mensile all'INPS (attraverso i cosiddetti modelli DM10) di rapporti di lavoro o di retribuzioni erogate, ancorché registrati nei libri di cui è obbligatoria la tenuta, concretizza l'ipotesi di "evasione contributiva" di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 8, lett. b), e non la meno grave fattispecie di "omissione contributiva" di cui alla lett. a) della medesima norma, che riguarda le sole ipotesi in cui il datore di lavoro, pur avendo provveduto a tutte le denunce e registrazioni obbligatorie, ometta il pagamento dei contributi, dovendosi ritenere che l'omessa o infedele denuncia configuri occultamento dei rapporti o delle retribuzioni o di entrambi e faccia presumere l'esistenza della volontà datoriale di realizzare tale occultamento allo specifico fine di non versare i contributi o i premi dovuti; conseguentemente, grava sul datore di lavoro inadempiente l'onere di provare la mancanza dell'intento fraudolento e, quindi, la sua buona fede, onere che non può, tuttavia, reputarsi assolto in ragione dell'avvenuta corretta annotazione dei dati, omessi o infedelmente riportati nelle denunce, sui libri di cui è obbligatoria la tenuta; in tale contesto spetta al giudice del merito accertare la sussistenza, ove dedotte, di circostanze fattuali atte a vincere la suddetta presunzione, con valutazione intangibile in sede di legittimità ove congruamente motivata".

5.2. Dovendosi dare seguito a tale interpretazione, la tesi dell’Inps è fondata, laddove sostiene che debba trovare applicazione l’ipotesi dell’evasione contributiva di cui all’art. 116 comma 8 lettera b) della L. 388 del 2000. E difatti, l’autoliquidazione degli sgravi operata dal datore di lavoro, che ha fornito all’istituto previdenziale un quadro della consistenza dell’obbligo contributivo non conforme al vero, integra l’ipotesi di denuncia infedele. Né a contrario avviso può condurre il rilievo che, risultando registrati i rapporti di lavoro e le effettive retribuzioni erogate, l'ente impostore avrebbe potuto venire a conoscenza della situazione effettiva, atteso che tale conoscenza è rimasta meramente eventuale, in difetto di una denuncia periodica veritiera, collegata cioè ad un altrettanto eventuale accertamento in ordine al mantenimento dell’incremento occupazionale presupposto degli sgravi in questione, tanto che la non spettanza degli stessi è stata riconosciuta solo all’esito dell’ accertamento ispettivo del 2004.

5.3. L’affermazione della Corte di merito, secondo la quale la ricorrenza dell’ipotesi dell’omissione era determinata dal fatto che l’ammontare dei contributi effettivamente dovuti a titolo di indebita fruizione degli sgravi fosse stato desunto dall’Inps dalle registrazioni obbligatorie, non rispetta pertanto il principio sopra ribadito, il quale impone di avere riguardo anche alla conformità della contribuzione dovuta come indicata nelle denunce periodiche alla situazione effettiva.

5.4. La società non ha peraltro dedotto di avere assolto all'onere di provare la mancanza dell'intento fraudolento e, quindi, sulla base di specifiche risultanze fattuali, l'effettiva trasparenza del proprio contegno. Neppure nel ricorso tale circostanza è riferita, limitandosi la società a ribadire che il licenziamento di n. 36 lavoratori nel periodo per il quale ha fruito degli sgravi sarebbe stato determinato da giustificato motivo oggettivo e quindi non inciderebbe sulla spettanza del beneficio.

6. Per tutti i motivi esposti, il ricorso principale dev’essere rigettato e quello incidentale dev’essere accolto, con cassazione della sentenza impugnata in relazione alla censura accolta. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto in considerazione delle circostanze evidenziate (in specie, sub 5,4) la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 II c. c.p.c., dichiarandosi che per il calcolo delle sanzioni civili per i contributi decorrenti dal 1/10/2000 (a titolo di indebita fruizione di sgravi contributivi ex L. 448/1998 e L. 448/2001) ricorre l’ipotesi dell’evasione contributiva di cui all’art. 116 comma 8 lettera b) della L. n. 388 del 2000.

7. Il recente superamento del contrasto interno alla Sezione lavoro riferito al punto 5.1. consiglia la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità mentre le spese del giudizio di merito, avuto riguardo all’esito complessivo della lite, vanno confermate.

 

P.Q.M.

 

Riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale ed accoglie quello incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e, decidendo nel merito, dichiara che per il calcolo delle sanzioni civili per i contributi decorrenti dal 1/10/2000 ricorre l’ipotesi dell’evasione contributiva di cui all’art. 116 comma 8 lettera b) della L. n. 388 del 2000. Conferma la statuizione dei giudici di merito in ordine alle spese giudiziali e compensa le spese del presente giudizio di legittimità.