Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 14 ottobre 2015, n. 20634

Tributi - Accertamento - Inattendibilità del bilancio - Motivazione - Necessità

 

Svolgimento del processo

 

In parziale accoglimento dell’appello proposto dall’Ufficio di Viterbo della Agenzia delle Entrate, la Commissione tributaria della regione Lazio, con sentenza in data 13.12.2007 n. 119, in riforma della decisione di prime cure, ha dichiarato legittimo l’avviso di accertamento emesso nei confronti di V.D. s.r.l., società dichiarata fallita, ed avente ad oggetto la determinazione con metodo induttivo del reddito d’impresa e del volume di affari ai fini della liquidazione delle imposte dovute a titolo IVA, IRPEG ed IRAP per l’anno 1998.

I Giudici di appello rilevavano la correttezza del metodo induttivo utilizzato dall’Ufficio finanziario, atteso che la società aveva omesso di presentare la dichiarazione dei redditi modello UNICO 1999 e la dichiarazione annuale IVA, escludevano che sull’Ufficio gravasse l’onere di ricostruire l’imponibile, mediante la ricerca di documenti che consentissero un recupero di "tutte le possibili componenti passive della gestione" e la liquidazione di una minore imposta; condividevano l’argomento speso dal primo Giudice in ordine alla inadeguata applicazione, alla società che versava in stato di insolvenza, del coefficiente medio di redditività del settore, pari al 2%, che ridimensionavano, pertanto, nella misura dell’1%.

La sentenza di appello, non notificata, è stata ritualmente impugnata per cassazione dal Fallimento della società che ha dedotto con cinque motivi vizi di nullità processuale, errores in judicando e vizi di motivazione.

Resiste con controricorso la Agenzia delle Entrate.

II Fallimento della società ha depositato memoria illustrativa.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo il Fallimento della società deduce il vizio di omessa od insufficiente motivazione ex art. 360 co 1 n. 5 c.p.c. censurando la carenza della motivazione della sentenza di appello che, nel merito, ha dichiarato legittimo l’avviso di accertamento in relazione a "tutti gli altri punti" senza evidenziare le ragioni su cui tale affermazione viene ad essere fondata per quanto concerne la determinazione dell'imponibile ai fini IRAP e la debenza dell’acconto relativo alla medesima imposta, nonché la asserita omissione del versamento dell’IVA e la irrogazione delle sanzioni pecuniarie corrispondenti, in particolare avendo omesso i Giudici di secondo grado di prendere in considerazione gli argomenti svolti dal primo Giudice che era pervenuto a soluzioni esattamente opposte in accoglimento dei motivi del ricorso introduttivo, e di svolgere qualsiasi argomento critico in relazione ai motivi di gravame formulati dall'Ufficio finanziario appellante.

La censura di legittimità supera il vaglio di ammissibilità ex art. 366 c.p.c.: ed infatti, diversamente da quanto ipotizzato dalla Agenzia fiscale nel controricorso, la parte ricorrente non intende affatto fare valere -né avrebbe potuto peraltro fare valere- un vizio processuale per omessa pronuncia su una o più domande proposte dal Fallimento (recte motivi di gravame), atteso che la decisione di primo grado integralmente favorevole alla società fallita era stata impugnata in grado di appello esclusivamente dall'Ufficio finanziario, unico soggetto processuale legittimato pertanto a far valere un vizio di omessa pronuncia su uno o più motivi di gravame.

Tanto premesso il motivo di ricorso con il quale si deduce il vizio di carenza motivazionale è fondato, non essendo dato verificare alla stregua degli enunciati della sentenza impugnata quali siano le premesse in fatto ed in diritto dei "decisimi", risultando enucleato -con affermazioni meramente assertive- il solo giudizio conclusivo.

Costituisce principio costantemente affermato dalla Corte quello per cui il motivo di ricorso per cassazione, con il quale si facciano valere vizi della sentenza impugnata a norma dell'art. 360 n. 5) cod. proc. civ., deve articolarsi con la precisa indicazione di carenze o lacune nelle argomentazioni in cui sia incorso il giudice di merito, ovvero con la specificazione di illogicità consistenti nell'attribuire agli elementi di giudizio un significato estraneo al senso comune, od ancora nell'indicazione della mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte e quindi dell’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti e dell’insanabile contrasto degli stessi. Con detto motivo non può, invece, farsi valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al convincimento della parte ed in particolare non può proporsi un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisti, poiché tali aspetti di giudizio, essendo interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell'iter formativo di tale convincimento, di modo che sono estranei al suddetto motivo di ricorso, che altrimenti si risolverebbe in una istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito (cfr. Corte cass. II sez. 6.10.1999 n. 11121; id. sez. lav. 22.2.2006 n. 3881; id. Sez. L, Sentenza n 6288 del 18/03/2011; id. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013). Ed infatti in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllane l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui Io ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (cfr. Corte cass. sez. lav. 15.7.2009 n. 16499).

Tale valutazione probatoria -che attiene al merito ed è insindacabile dal Giudice di legittimità ove esente da vizi logici- affinché possa essere oggetto di verifica ab externo, deve trovare supporto in argomenti la cui esternazione nell’apparato motivazionale che sorregge il decisum- soddisfi alla esigenza di relazionabilità tra le premesse di fatto e le conseguenze giuridiche affermate, e deve rispondere, pertanto, ai canoni di coerenza logica interna al discorso, segnati dall’art. 360 co 1 n. 5) c.p.c. con riferimento ai principi di completezza, di causalità logica (secondo lo schema induttivo-deduttivo) e di non contraddizione.

La motivazione della sentenza deve articolarsi, a tal fine, in una sequenza di passaggi logici che possono schematicamente scomporsi: 1-nella ricognizione dei fatti rilevanti in ordine alla questione in diritto controversa, che vengono in tal modo a definire il "thema probandum" della fattispecie concreta oggetto della controversia; 2-nella individuazione, tra quelli ritualmente acquisiti al giudizio, degli elementi probatori dimostrativi dei predetti fatti nella selezione di quelli ritenuti decisivi, all’esito di un giudizio di prevalenza, per la formazione del convincimento del Giudice; 3-nella indicazione delle ragioni per cui alla fattispecie concreta, come rilevata in base ai fatti provati, debbono essere ricollegati determinati e non altri effetti giuridici (ovvero le ragioni della applicazione della "regula iuris" al rapporto controverso).

La carenza nell’impianto motivazionale della sentenza di alcuno dei momenti logici indicati configura un "vulnus" al principio generale secondo cui tutti i provvedimenti giurisdizionali debbono essere motivati (art. 111 co 6 Cost.), che può spaziare, secondo la gravità, dal vizio di insufficienza logica (art. 360 co 1 n. 5 c.p.c.) fino alla totale difformità della sentenza dal modello legale per assenza dell’indicato requisito formale di validità (art. 360 co 1 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 132 co2 n. 4 c.p.c. ed all’art. 118 co 1 disp. att. c.p.c.)

Più in generale, deve ravvisarsi il vizio di carenza di motivazione tutte le volte in cui la sentenza non dia conto dei motivi in diritto sui quali è basata la decisione (cfr. Corte cass. V sez. 16.7.2009 n. 16581; id. I sez. 4.8-2010 n. 18108) e dunque non consenta la comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, non evidenziando gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione (cfr. Corte cass. V sez. 10.11.2010 n. 2845) ed impedendo ogni controllo sul percorso logico-argomentativo seguito per la formazione del convincimento del Giudice (cfr. Corte cass. III sez. 3.11.2008 n. 26426, con riferimento al ricorso ex art. 111 Cost; id. sez. lav. 8.1.2009 n. 161).

Agli indicati criteri giurisprudenziali di verifica del vizio di legittimità ex art. 360 co 1 n. 5) c.p.c. non si sottrae la sentenza motivata "per relationem mediante rinvio alle ragioni di diritto rinvenibili nel corpo motivazionale di un distinto atto espressamente richiamato nella sentenza (rinvio che può essere operato, tanto con riferimento alla decisione di prime cure -nel caso di sentenza di appello -, quanto -più in generale- con riferimento al contenuto dell’atto impugnato con azione costituiva, ovvero al contenuto degli atti processuali di parte -nella ipotesi in cui la sentenza aderisca alle tesi giuridiche in essi sviluppate-, od ancora mediante rinvio al contenuto del verbale istruttorio, o della relazione tecnica depositata dall'ausiliario o di altri documenti prodotti in giudizio): anche in questo caso, infatti, la sentenza deve assolvere al requisito motivazionale mediante esplicitazione dell’itinerario argomentativo, ricavabile dalla integrazione dei due corpi motivazionali (quello della sentenza e quello detratto al quale è operata la "relatio"), che deve dare conto dell’esame critico delle questioni già risolte nell’atto richiamato e della idoneità delle stesse a fornire la soluzione anche alle questioni che devono essere decise (cfr. Corte cass. II sez. 4.3.2002 n. 3066; id. I sez. 14.2.2003 n. 2196; id. III sez. 2.2.2006 n. 2268), diversamente incorrendo la sentenza nell’indicato vizio di legittimità, come accade quando il giudice non precisi affatto le ragioni del proprio convincimento rinviando, genericamente e "per relationem", al quadro probatorio acquisito, senza alcuna esplicitazione al riguardo, né disamina logicogiuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Corte cass, sez. lav. 21.12.2010 n. 25866).

Nella specie l’argomento svolto dalla CTR secondo cui nell’Ufficio, né il Giudice tributario, sono tenuti "a valorizzare tutte le possibili componenti passive della gestione....attingendo da questo o da quell’Ufficio" e la conseguente affermazione per cui "siffatte pretese avanzate dalla contribuente si rivelano a tal punto inconferenti e velleitarie; da esimere questa Commissione da qualsivoglia considerazione", implica la totale abdicazione dal compito assegnato al Giudice di merito, non risultando evidenziata in alcun modo la ragione per cui: a) le risultanze istruttorie non consentivano di tenere conto dei componenti passivi di reddito; b) le pretese dell’Ufficio dovevano ritenersi fondate in relazione ai fatti costitutivi concernenti le singole fattispecie d’imposta.

La critica mossa dal Fallimento della società contribuente, appare fondata sia sotto il profilo della "pars destruens" che caratterizza il vizio di legittimità ex art. 360 co 1 n. 5 c.p.c. (inconoscibilità delle ragioni della decisione), sia sotto il profilo della "pars construens" (che si risolve nella indicazione del fatto, dimostrato in giudizio, ritenuto "decisivo" ai fini di una differente decisione favorevole al ricorrente). La parte ricorrente ha infatti allegato di aver prodotto in giudizio il bilancio di esercizio chiuso alla data 31.12.1998 e depositato presso la CCIAA di Viterbo, dal quale risultavano una serie di costi inerenti (spese di manutenzione autovetture, spese di rappresentanza, spese per Viaggi e trasferte, ecc. indicate nell’elenco a pag. 13-15 del ricorso per cassazione) che avrebbero dovuto essere considerati nella determinazione del reddito e quindi del valore della produzione netta (base imponibile per l’applicazione dell’IRAP) effettuata con metodo induttivo puro, mentre ai fini IVA venivano indicati altri documenti illegittimamente trascurati dalla CTR, quali il "registro riepilogativo IVA" ( prodotto in giudizio: all. 14 - ricorso pag. 17 e 26 in nota -) ed il "mastrino di sottoconto Erario c/lva a credito" (anch’esso prodotto in giudizio all. 15 - ricorso pag. 17 e 26 in nota), attestanti l'applicazione del regime di IVA di gruppo ex art. 73 co 3 Dpr n. 633 (con trasferimento alla Capogruppo VEGA dell’IVA a credito risultante dalle "liquidazioni periodiche mensili" presentate dalla controllante per le controllate), dai quali emergeva che nell’anno 1998 la società aveva maturato un credito IVA, riverberandosi, ai sensi dell’art. 55 co 1 Dpr n. 633/72, la situazione contabile della società emergente dalle liquidazioni periodiche, sulla determinazione del volume di affari accertato con metodo induttivo puro.

La completa pretermissione da parte della CTR dell’esame e del giudizio sulla idoneità o meno della produzione documentale indicata, ad integrare la prova della esistenza dell’"an" e del "quantum" dei componenti negativi di reddito e dell’assolvimento dell’IVA dovuta per l’anno d’imposta 1998, determina una palese lacuna nella motivazione della sentenza che risulta affetta dal vizio di legittimità denunciato e deve pertanto essere cassata in parte qua, dovendo la causa essere rimessa al Giudice del rinvio affinché provveda ad emendare il vizio logico riscontrato.

Con il quinto motivo -che per ragioni di stretta connessione con il primo deve essere esaminato con precedenza rispetto agli altri motivi- il Fallimento della società deduce ancora il vizio di omessa od insufficiente motivazione ex art. 360 co 1 n. 5 c.p.c., con riferimento alla statuizione della CTR che, ritenendo di condividere la motivazione della CTP secondo cui non era applicabile alla impresa in stato di insolvenza un coefficiente medio di redditività rilevato dalle statistiche relative al settore commerciale, ha inteso ridurre di un punto percentuale detto coefficiente "dall’insieme dei documenti acquisiti al presente giudizio, specifici del settore e propri della contribuente, ivi compresi quelli relativi al fallimento dichiarato e quelli presentati dal rappresentante della medesima in sede di udienza.

Richiamati i criteri elaborati dalla giurisprudenza della Corte per la verifica del vizio di legittimità indicato, di cui si è dato conto nell’esame del primo motivo, La censura deve ritenersi fondata.

Premesso che la CTR utilizza una formula di mero stile che prescinde dalla esatta individuazione dei documenti esaminati, la parte ricorrente ha evidenziato come i documenti prodotti in giudizio, rilevanti ai fini dell’accertamento della redditività dell’attività economica svolta dalla società nell’anno 1998, oltre all’atto impositivo che si limitava ad applicare il coefficiente medio di settore (2%), fossero esclusivamente il bilancio civile ed a quello riclassificato ai fini fiscali alla data 31.12.1998, i bilanci civili dei precedenti anni 1995-1997, un estratto della relazione del curatore fallimentare, ed un estratto della perizia contabile depositata nel procedimento penale svoltosi presso il Tribunale dì Viterbo. Da tali documenti emergeva che la società aveva chiuso in perdita gli esercizi 1995 e 1998, mentre aveva realizzato modesti utili di esercizio negli anni 1996 e 1997 che evidenziavano un coefficiente di redditività pari allo 0,02% ben inferiore a quello dell’1% riconosciuto dalla CTR.

Ne segue che, sul punto, il ragionamento della CTR appare estremamente lacunoso, non essendo verificabile alla stregua dei documenti indicati quale sia il percorso logico seguito: a) per ritenere inattendibili i dati esposti nei bilanci societari; b) per conciliare l’adesione alla motivazione della CTP secondo cui la società insolvente non produce reddito, con la applicazione di una percentuale di redditività, ridotta di un punto percentuale rispetto al coefficiente medio di settore dell’anno 1998.

Anche la statuizione impugnata risulta pertanto affetta dal vizio logico denunciato e deve essere cassata in parte qua con rinvio della causa al Giudice di appello affinché provveda ad un compiuto esame delle risultanze istruttorie.

In conclusione il ricorso trova accoglimento quanto al primo e quinto motivo, dovendo dichiararsi assorbiti gli altri (il terzo motivo è alternativo al primo; il quarto deve intendersi alternativo al primo e quinto; il secondo motivo concerne la statuizione sulla entità delle sanzioni pecuniarie che, in quanto dipendente dalla determinazione dell’imponibile, si pone in rapporto di mera consequenzialità con l’esito del nuovo esame che il Giudice del rinvio è chiamato ad operare in seguito alla disposta cassazione della sentenza di appello: la CTR dovrà, pertanto, provvedere anche alla eventuale commisurazione della sanzione pecuniaria in misura proporzionale all’imponibile accertato), la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa alla Commissione tributaria della regione Lazio, in diversa composizione, che provvederà ad emendare i vizi logici riscontrati, liquidando all’esito anche le spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, quanto al primo e quinto motivo, assorbiti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Commissione tributaria della regione Lazio, in diversa composizione, che provvederà ad emendare i vizi logici riscontrati, liquidando all’esito anche le spese del giudizio di legittimità.