Giurisprudenza - TRIBUNALE DI REGGIO CALABRIA - Ordinanza 30 marzo 2015

Straniero e apolide - Diritto all'assegno di maternità - Condizioni - Titolarità della carta di soggiorno - Lesione del principio di solidarietà sociale - Violazione del principio di uguaglianza per irragionevole disparità di trattamento - Lesione della garanzia assistenziale - Violazione di obblighi internazionali derivanti dalla CEDU - Decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, art. 74 - Costituzione, artt. 2, 3, 10, 31, 38 e 117, primo comma, in relazione all'art. 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali

 

Premesso che con ricorso ex artt. 44 d.lgs. n. 286/98, 4 d.lgs. 215/03, 28 D.L. 150/2011 e 702-bis c.p.c. "Azione civile contro la discriminazione", la ricorrente evocava avanti il Tribunale di Reggio Calabria, sezione Lavoro il Comune di Botricello e l'Inps;

che la ricorrente deduceva:

di essere cittadina eritrea, titolare di permesso di soggiorno per motivi umanitari rilasciato in data 11 settembre 2013 e valido fino al 10 settembre 2014 e successivamente, come dichiarato nel corso del processo, prorogato;

il 28 gennaio 2014 aveva inoltrato al Comune di Botricello istanza al fine di conseguire l'assegno di maternità ex art. 66 legge 448/98 e art. 74 D.lgs. 151/2001 in relazione alla nascita della figlia G. R. avvenuta in Catanzaro in data 25 dicembre 2013;

il Comune convenuto aveva respinto la domanda sul presupposto che la normativa nazionale precluderebbe "la possibilità di accedere all'assegno di maternità ai titolari di soggiorno rilasciati per motivi umanitari", e non ai titolari di carta di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo;

tale determinazione era illegittima;

la Corte costituzionale con varie sentenze (tra le tante sentenza 29-30 luglio 2008 n. 306; sentenza 14-23 gennaio 2009 n. 11; sentenza 26-28 maggio 2010 n. 187), aveva sancito che subordinare la prestazione alla titolarità della carta di soggiorno e dunque al requisito della legale presenza nel territorio dello Stato da almeno cinque anni, costituiva discriminazione dello straniero nei confronti del cittadino in contrasto con i principi enunciati nell'art. 14 della Convenzione per la Salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e dall'art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, adottato a Parigi il 20 marzo 1952, secondo l'interpretazione che di essi è stata offerta dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo";

era priva di reddito;

che dunque l'art. 74 d.lgs. 151/01 era contrario alle disposizioni internazionali e di carattere discriminatorio;

chiedeva: preliminarmente, accertare e dichiarare il carattere discriminatorio dell'art. 74 D.lgs. n. 151/2001 nella parte in cui consente l'erogazione dell'assegno di maternità in favore dei soli stranieri titolari di permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo e non anche per gli stranieri regolarmente residenti e legalmente presenti sul territorio nazionale in virtù di un diverso ma egualmente regolare permesso di soggiorno non avente carattere episodico e di breve durata quale appunto il permesso di soggiorno "per motivi umanitari", perché in contrasto con il precetto dell'art. 14 della CEDU, come replicato nell'art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea - a sua volta richiamato dall'art. 6 del Trattato sull'Unione Europea, come modificato dal Trattato di Lisbona;

in preliminare, accertare e dichiarare il carattere discriminatorio del rigetto da parte del Comune di Botricello della domanda inoltrata dalla ricorrente in data 28 gennaio 2014 al fine di conseguire l'assegno di maternità in relazione alla nascita della figlia G. R., perché in contrasto con il precetto dell'art. 14 della CEDU, come replicato nell'art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea - a sua volta richiamato dall'art. 6 del Trattato sull'Unione Europea, come modificato dal Trattato di Lisbona;

conseguentemente e per l'effetto, previa disapplicazione della richiamata norma nazionale confliggente con il divieto di discriminazione sancito dall'art. 14 della CEDU, riconoscere la sussistenza dei requisiti in favore dell'odierna ricorrente per il riconoscimento dell'assegno di maternità e dichiarare il suo diritto a percepire le relative utilità ed i benefici economici, con condanna del Comune di Botricello e dell'Inps, secondo le rispettive competenze, al pagamento del relativo assegno, con decorrenza di legge.

Rilevato che l'INPS, costituendosi in giudizio con memoria, eccepiva:

il difetto di legittimazione passiva, posto che la concessione della prestazione assistenziale era di esclusiva competenza del Comune, fungendo l'Istituto soltanto ai fini della materiale corresponsione della prestazione, quale mero ente pagatore;

l'inammissibilità del procedimento sommario ex art. 702-bis c.p.c., non rilevando i presupposti previsti dalla norma per il ricorso allo stesso, potendosi considerare ammissibile il ricorso ex art. 702 bis c.p.c. esclusivamente per esperire l'azione civile contro la discriminazione, e non altresì , come nella fattispecie, per censurare il provvedimento di reiezione della domanda di prestazione assistenziale, e dunque per conseguire la prestazione stessa;

nel merito, relativamente all'azione civile contro la discriminazione, che la lettera della norma (art. 43 - 44 del TU 286/98) nell'individuare la cd. discriminazione, precisava che la stessa si riferiva ad un comportamento posto in essere da un soggetto, pubblico o privato, che comporti, in condizione di parità rispetto ad altri soggetti, un pregiudizio ai diritti e alle libertà fondamentali e che sia determinato da ragioni razziali, etniche, religiose ....; che invece nella fattispecie de qua, non era dato ravvisare alcun comportamento, rilevando esclusivamente un provvedimento di diniego da parte dell'Ente Territoriale, che si era limitato ad applicare una legge dello Stato che richiede la sussistenza di determinati presupposti e condizioni ai fini della erogazione del cd. assegno di maternità; che dunque nel caso di specie non rilevava una discriminazione tra il cittadino italiano ed il cittadino extracomunitario, dal momento che allo stesso era riconosciuto il diritto alla prestazione reclamata in presenza di determinate condizioni e presupposti previsti dalla legge.

Presupposti e condizioni che nel caso di specie non sussistevano; che nella fattispecie de qua, ciò che comportava la differenza tra un cittadino extracomunitario ed un altro era per l'appunto la titolarità del permesso di soggiorno di lunga durata.

Rilevato altresì che Comune di Botricello rimaneva contumace.

Tutto ciò premesso, osserva questo giudicante:

per la soluzione della controversia è dirimente la questione di legittimità costituzionale della norma di cui all'art. 74 decreto legislativo n. 151 del 26 marzo 2001 nella parte in cui limita soggettivamente l'accesso al beneficio dell'assegno di maternità alle sole categorie di cittadini e stranieri soggiornanti di lungo periodo e non anche a soggetti stranieri in possesso di permesso di soggiorno per motivi umanitari di durata annuale ed oltre;

che preliminarmente allo stato non vi sono elementi plausibili di difetto di giurisdizione e di competenza del giudice adito;

neppure plausibili si presentano le eccezioni preliminari sollevate dall'Inps atteso che la responsabilità dell'istituto può limitarsi al solo pagamento ed è sufficiente a costituire una ragione di chiamata in giudizio al fine di conseguire parte ricorrente un titolo di condanna sia verso il Comune titolare passivo dell'obbligo sia dell'istituto quale soggetto erogatore in concreto della prestazione; in ogni caso sussistono precisi e significativi riscontri della titolarità passiva del Comune anche alla luce della risposta data in sede amministrativa il che esclude una ragione di inammissibilità del ricorso e di preliminare declaratoria di improcedibilità dell'azione;

allo stato non sono neppure plausibili le eccezioni di ordine processuale avanzate dall'Inps atteso che il giudizio è ammissibile come azione sia contro la denunciata discriminazione che può anche essere configurata nei confronti dello Stato Italiano e/o della Pubblica amministrazione in ragione dei principi dell'Unione Europea e della Costituzione nazionale applicabili e sia come azione finale per conseguire una pronuncia di rimozione dell'impedimento di fonte legislativa all'accesso alla prestazione invocata e, in definitiva, tramite lo strumento processuale più snello del processo sommario di cognizione art. 28 d.lgs. 150/2011 nel quale è previsto "con l'ordinanza che definisce il giudizio il giudice può condannare il convenuto al risarcimento del danno anche non patrimoniale e ordinare la cessazione del comportamento, della condotta o dell'atto discriminatorio pregiudizievole, adottando, anche nei confronti della pubblica amministrazione, ogni altro provvedimento idoneo a rimuoverne gli effetti.)" ottenere nell'ambito di tale sindacato giudiziale, a seguito della accertata discriminazione, la conseguente pronuncia di condanna alla prestazione quale modalità di rimozione della condotta discriminatoria;

che altresì è indubbio che il procedimento in questione è un procedimento giurisdizionale su diritti e la veste di autorità giurisdizionale dello scrivente e dunque nel quale è consentito sollevare incidente di costituzionalità ai sensi dell'art. 23 legge 87 del 1953;

quanto alla questione di rilevanza della questione di costituzionalità occorre precisare che non sono in discussione gli altri requisiti per l'accesso al beneficio assistenziale, non essendo contestato la presentazione della domanda amministrativa né la situazione reddituale utile all'accesso né lo stato di gravidanza della ricorrente né l'avvenuto parto; resta in definitiva controversa la questione di estensione soggettiva del beneficio alla ricorrente, non cittadina italiana né comunitaria e priva di permesso di soggiorno di lunga durata e tale carenza richiede necessariamente la valutazione sulla legittimità costituzionale della norma dell'art. 74 d.lgs. n. 151/2001 nella parte in cui subordina il beneficio al possesso della cittadinanza italiano o comunitrai o della carta di soggiorno ora permesso di soggiorno di lunga durata.

Ciò premesso va infatti rilevato che il nucleo della controversia concerne la fondatezza del diritto della ricorrente ad ottenere l'assegno di maternità disciplinato dall'art. 74 del d.lgs. 151/2001 secondo il quale "Per ogni figlio nato dal 1° gennaio 2001, o per ogni minore in affidamento preadottivo o in adozione senza affidamento dalla stessa data, alle donne residenti, cittadine italiane o comunitarie o in possesso di carta di soggiorno ai sensi dell'art. 9 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, che non beneficiano dell'indennità di cui agli articoli 22, 66 e 70 del presente testo unico è concesso un assegno di maternità"; comma 4: "L'assegno di maternità di cui al comma 1, nonché l'integrazione di cui al comma 6, spetta qualora il nucleo familiare di appartenenza della madre risulti in possesso di risorse economiche non superiori ai valori dell'indicatore della situazione economica (ISE), di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, tabella 1, pari a lire 50 milioni annue con riferimento a nuclei familiari con tre componenti";

che la ricorrente è soggetto residente e legalmente presente sul tenitorio nazionale in virtù di permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui di cui all' art. 5, 6° comma del d.lgs. n. 286 del 1998 rilasciato in data 11 settembre 2013 valido fmo al 10 settembre 2014 e prorogato: un titolo di legittimazione al soggiorno In Italia non avente dunque carattere episodico né di breve durata;

che il permesso di soggiorno per motivi umanitari è per giurisprudenza della Suprema Corte una situazione giuridica soggettiva dello straniero che gode della garanzia costituzionale di cui all'art. 2 della Costituzione ed è da ricondurre alla categoria dei diritti umani fondamentali (cfr. ord. N. 19393/2009 Sez. Unite Civili);

che l'art. 14 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo (CEDU) firmata a Roma il 4 novembre 1950 sancisce che "Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l'origine nazionale o sociale, l'appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione";

che la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo ha reiteratamente affermato che tra i diritti patrimoniali tutelati dall'art. 1 del Protocollo addizionale I alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, si intendono anche le prestazioni sociali, comprese quelle cui non corrisponde il versamento di contributi, e che per tali diritti vige il divieto di discriminazione di cui all'art. 14 della Convenzione (in tal senso, con riferimento all'assegno di invalidità civile cfr. sentenza 26 febbraio 1993 in causa Salesi/Italia; sentenza 30 settembre 2003 in causa Koua Poirrez/ Francia nella quale si stabilisce il principio per cui "l'assegno per minorati adulti previsto dalla legislazione francese è un diritto patrimoniale ai sensi dell'art. 1 del Protocollo I e di conseguenza soggiace al divieto di discriminazione sancito dall'art. 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo");

che, conseguentemente, l'art. 14 della CEDU e l'art. 1 del relativo Protocollo addizionale, secondo l'interpretazione della Corte europea per la tutela dei diritti dell'uomo, obbligano lo Stato italiano a legiferare in materia di prestazioni sociali, anche non contributive, senza porre alcuna discriminazione in ragione della nazionalità delle persone. Discriminazione che si realizza ogniqualvolta un dato trattamento non trovi una giustificazione oggettiva e ragionevole, non realizzi, cioè, un rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e l'obiettivo perseguito (cfr. Niedzwiecki contro Germania, sentenza del 25 ottobre 2005);

che l'art. 74 d.lgs. 151/2001 ponendo come requisito per la fruizione dell'assegno di maternità il possesso della cittadinanza italiana o l'essere titolare di carta di soggiorno ora permesso CE per lungo soggiorno, ha portata restrittiva e non manifestamente ragionevole, in quanto attribuisce un trattamento differenziato basato, seppure indirettamente, sulla nazionalità rispetto ai cittadini comunitari e sulla base del solo dato temporale di durata della residenza rispetto ad alcune categorie di stranieri extracomunitari i senza prendere in considerazione condizioni di grave bisogno della persona soggiornante, legalmente autorizzata, e che versi in oggettiva e conclamata debolezza economica e fisica da non poter adeguatamente provvedete al proprio sostentamento e di quello del figlio;

esigenza di tutela di assicurare adeguate prestazioni sociali più volte sottolineata dalla Corte costituzionale (cfr. sent. 29-30 luglio 2008, n. 306, relativa all'indennità di accompagnamento; sent. 14-23 gennaio 2009 n. 11 relativa alla pensione di inabilità; sent. n. 187/2010 riguardante l'assegno mensile di invalidità; sent. n. 329 del 2011 concernente la indennità di frequenza e ancor più recentemente per le pensioni ai ciechi civili sent. n. 22 del 2015), seppure con riferimento all'art. 80 comma 19 della legge n. 388/2000, che statuendo che "le provvidenze economiche che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di servizi sociali sono concesse, alle condizioni previste dalla legislazione medesima, agli stranieri che siano titolari di carta di soggiorno", ed oggi, per effetto del D.lgs. n. 3/2007, di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, contiene la medesima limitazione riprodotta nell'art. 74 d.lgs. 151/2001;

che è pacifico che l'assegno di maternità rientri tra le "provvidenze economiche" che costituiscono diritti soggettivi di assistenza sociale, ed essendo la ricorrente soggetto privo di reddito o di altre forme di tutela economica della maternità, l'assegno in questione costituisce prestazione essenziale diretta a soddisfare bisogni primari della persona che è compito della Repubblica promuovere e salvaguardare; un rimedio costituente, dunque, un diritto fondamentale perché garanzia per la stessa sopravvivenza del soggetto e del minore, riferito ad un periodo in cui il soggetto richiedente è in situazione generalmente di particolare precaria condizione fisica e psichica ostativa, per legge, allo svolgimento di attività di lavoro in periodo di interdizione obbligatoria, quali sono i periodi della gravidanza e del post partum e quindi costituire situazioni di bisogno inerente a condizioni minime di vita e di salute in relazione alle quali appaiono sussistere fondati dubbi di irragionevole discriminazione legata solo a condizioni di appartenenza nazionale o comunitaria o di durata temporale del soggiorno e non ricorrendo neppure una situazione di presenza sul territorio nazionale del tutto episodica o di breve durata;

che il divieto di discriminazione in base alla nazionalità è altresì sancito nell'art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea del 7 dicembre 2000, ai sensi del quale "1. E' vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una- minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale.

2. Nell'ambito d'applicazione dei trattati e fatte salve disposizioni specifiche in essi contenute, è vietata qualsiasi discriminazione in base alla nazionalità", richiamato dall'art. 6 del Trattato sull'Unione Europea ai sensi del quale "L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati";

che stante la speciale e tassativa disciplina di cui al detto art. 74 cit la questione in esame non è risolvibile con un'interpretazione di prevalenza tratta dalla generale previsione dettata in materia di prestazioni sociali e assistenziali in favore dei cittadini extracomunitari dall'art. 41 del d.lgs. n. 286 del 1998 che invece prevede che "Gli stranieri titolari della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno, nonché i minori iscritti nella loro carta di soggiorno o nel loro permesso di soggiorno, sono equiparati ai cittadini italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale, incluse quelle previste per coloro che sono affetti da morbo di Hansen o da tubercolosi, per i sordomuti, per i ciechi civili, per gli invalidi civili e per gli indigenti";

che l'art. 74 d.lgsl. 151/2001, inibendo in modo netto e preciso al soggetto extracomunitario stabilmente e regolarmente presente nel territorio nazionale, se privo di carta di soggiorno (ora permesso di soggiorno CE di lungo periodo a norma del d.lgs. 3 del 2007), la fruizione dell'assegno di maternità, diversifica, in violazione dell'art. 3 della Costituzione, il trattamento di situazioni identiche senza alcuna giustificazione razionale;

che la norma dell'art. 74 cit, in ragione del suo dettato, appare vulnerare i valori di solidarietà di cui all'art. 2 della Costituzione e le finalità proprie dell'assistenza, quali emergono dall'art. 38 Cost (estensibili anche alla persona straniera extracomunitaria) volto ad assicurare mezzi di sostentamento per la garanzia delle esigenze minime di protezione della persona;

che in tema di trattamento dello straniero deve altresì evocarsi l'art. 10 della Costituzione che rimette alla legge nazionale la disciplina applicabile allo straniero, e la giurisprudenza costituzionale in materia ha riconosciuto laddove non siano in questione diritti inviolabili della persona, un margine di discrezionalità concesso al legislatore nazionale nella differenziazione di disciplina tra i cittadini e gli stranieri nei limiti però del parametro di ragionevolezza e dei principi internazionali recepiti dall'ordinamento nazionale;

che anche la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea del 7 dicembre 2000 si occupa di "sicurezza sociale e assistenza sociale" all'art. 34 sancendo "il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali che assicurano protezione in casi quali la maternità, .... secondo le modalità stabilite dal diritto dell'Unione e le legislazioni e prassi nazionali";

che la norma dell'art. 74 cit nel subordinare la fruizione dell'assegno di maternità alla titolarità della permesso di soggiorno CE di lungo periodo, appare altresì contrastante con il disposto dell'art. 31 della Costituzione secondo cui la Repubblica protegge la maternità e con l'art. 117, primo comma Cost. che condiziona l'esercizio della potestà legislativa dello Stato e delle regioni al rispetto degli obblighi internazionali, fra i quali rientrano quelli derivanti dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e la normativa dell'Unione europea;

che sulla necessità di esperire l'incidente di costituzionalità deve anche osservarsi dall'esame complessivo del diritto dell"Unione Europea non è dato rinvenire una disposizione normativa che in quanto munita di completezza, precisione, chiarezza e assenza di condizioni da non richiedere misure complementari di carattere nazionale o europeo, abbia effetto diretto volto al riconoscimento di un diritto all'assegno in questione anche a chi goda dello status di straniero soggiornante per motivi umanitari ma senza averne i requisito del permesso di soggiorno di lunga durata, il che osta ad una diretta disapplicazione della norma nazionale da parte del giudice nazionale per contrasto con la norma comunitaria, rendendosi necessario investire la Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionalità della norma interna (sui detti criteri anche di recente sent. Corte costituzionale n. 226/2014) al fine di valutare se la discrezionalità del legislatore nazionale nella individuazione delle prestazioni di assistenza sociale in favore degli stranieri - discrezionalità in materia pur sempre predicabile come più volte riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale fatti salvi soli i diritti inviolabili della persona umana - abbia oltrepassato i limiti di ragionevolezza e non discriminazione;

ciò osta anche ad ogni altra interpretazione adeguatrice del testo sia per la tassatività e portata restrittiva delle espressioni utilizzate sia perché non è da escludere un bilanciamento in materia da parte del legislatore tra interessi contrapposti che tuttavia questo giudicante non è abilitato a dirimere

che alla stregua di quanto sopra considerato non appare manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 74 d.lgs. 151/01 nella parte in cui, nel subordinare il diritto a prestazioni previdenziali che costituiscono diritti soggettivi e siano dirette a soddisfare bisogni primari della persona, fra i quali appunto l'assegno di maternità, al possesso di carta di soggiorno ai sensi dell'art. 9 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, ora permesso di soggiorno di lungo periodo, e dunque al requisito dello straniero extracomunitario della presenza nel territorio dello Stato da almeno cinque anni, introduca un requisito idoneo a generare una irragionevole discriminazione dello straniero nei confronti del cittadino, in violazione degli artt. 14 della Convenzione ed 1 del Protocollo aggiuntivo, così come interpretati dalla Corte stessa e replicati nell'art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, a sua volta richiamato dall'art. 6 del Trattato sull'Unione Europea, dagli art. 2, 3, 10, 31, 38, 117 primo comma Cost. escludendo i titolari di permesso di soggiorno per motivi umanitari dal diritto alla provvidenza assistenziale dell'assegno di maternità.

 

P.Q.M.

 

Visto l'art. 23 della legge 87 del 1953, Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 74, D.lgsl. 151/2001, nei termini sopra esposti, per conflitto con gli artt. 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) firmata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, e del Protocollo addizionale alla Convenzione, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, nonché con gli artt. 2, 3, 10, 38, 31, 117 primo comma della Costituzione;

Solleva d'ufficio questione di legittimità costituzionale ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso.

Ordina altresì che a cura della Cancelleria la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata, sempre a cura della Cancelleria, ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.

Si comunichi alle parti costituite.

 

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Provvedimento pubblicato nella G.U. del 14 ottobre 2015, n. 41