Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 14 ottobre 2015, n. 41216

Tributi - Reati fiscali - Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte - Scioglimento della Sas

 

Ritenuto in fatto

 

1. Il Tribunale di Reggio Calabria, con ordinanza in data 19/02/2015 rigettava la richiesta di riesame, proposta nell'interesse di A.F., avverso il decreto di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, emesso dal G.i.p. di Tribunale di Reggio Calabria ed avente ad oggetto beni del predetto A., indagato per i reati di cui agli artt. 416 cod.pen., 81 cpv., 110 cod.pen., 11 D.L.VO 74/2000 (per aver costituito un'associazione per delinquere, finalizzata alla consumazione di plurimi reati in particolare di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, al fine di garantire la conservazione del patrimonio personale e della società di fatto (operante sotto varie e diverse denominazioni, in realtà tutte rispondenti ad un unico centro di interessi), dei coniugi F.C. e S.M., frodando i creditori, distraendo i beni strumentali, quelli immobiliari e l'avviamento delle imprese in decozione da loro gestite, a vantaggio di altre di nuova costituzione di cui i predetti coniugi mantenevano il controllo).

Dopo aver richiamato la giurisprudenza di legittimità in ordine ai poteri del riesame, nonché la sentenza del G.u.p. del Tribunale di Reggio Calabria, confermata in appello (e richiamata nella informativa della G.d.F. del 14/07/2014), riteneva il Tribunale sussistente il fumus dei delitti ipotizzati dal P.M.

Evidenziava il Tribunale che, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art.11 D.L.vo 74/2000, sia necessario, sotto il profilo psicologico, il dolo specifico (finalità di sottrarsi al pagamento del debito tributario) e, sotto il profilo materiale, una condotta fraudolenta idonea a vanificare l'esito della eventuale esecuzione tributaria coattiva. Non è necessario però che la procedura di riscossione coattiva abbia avuto inizio e neppure che l'accertamento tributario sia già intervenuto (la norma infatti mira a salvaguardare l'intangibilità della garanzia patrimoniale).

Trattasi quindi di un reato di pericolo, eventualmente permanente (quando ci si trovi in presenza di plurime condotte simulatorie e fraudolente), la cui consumazione si protrae per tutto il tempo in cui vengano posti in essere gli atti idonei a pregiudicare l'adempimento dell'obbligazione tributaria.

Tanto premesso, riteneva il Tribunale che al meccanismo fraudolento posto in essere dai coniugi F.S. avesse contribuito il ricorrente, prestandosi alla fittizia attribuzione della titolarità delle quote sociali della società F.T. s.a.s., senza alcun interesse economico da parte del medesimo (neppure peraltro prospettato) e quindi al solo scopo di sottrarre al fisco la garanzia patrimoniale generica.

Il dolo specifico richiesto dalla norma di cui all'art. 11 D.L.vo 74/2000 era facilmente desumibile dal fatto che il predetto aveva schermato la responsabilità solidale ed illimitata del F., assumendo in alternanza con A.G. qualifica di socio accomandatario, per poi disporre la cancellazione per scioglimento dal registro delle imprese della società in questione.

Secondo il Tribunale sussisteva, quindi, il fumus dei reati ipotizzati.

Destituita di fondamento doveva ritenersi la tesi difensiva, prospettata con la memoria depositata in data 26/01/2015,

Legittimo era poi il disposto sequestro per equivalente rapportato al profitto del reato (corrispondente al risparmio di spesa, derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi sanzioni) e pari ad euro 1,258.980,30 (sommatoria delle voci di debito riferibili a ciascuna persona fisica e giuridica indicate nell'imputazione).

E, come affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n.18374/2013, Rv.255034, il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente del profitto o del prezzo del reato, può incidere contemporaneamente ed indifferentemente sui beni di ciascuno dei concorrenti nel reato (con il solo limite di non poter eccedere l'ammontare del prezzo o del profitto conseguiti. E, nel caso di specie, le somme complessivamente sequestrate non eccedevano la somma confiscabile.

2. Ricorre per cassazione A.F., a mezzo del difensore, denunciando la violazione di legge in relazione agli artt.321 cod.proc. pen, 240, 416 cod.pen., 11 D.L.vo 74/2000, nonché in relazione agli artt.2245, 2269, 2275, 2290, 2324 cod.civ.

Secondo la prospettazione accusatoria il ricorrente avrebbe partecipato ad una condotta di intestazione fittizia, attraverso l'intestazione formale di una società nella effettiva disponibilità dei coniugi F.S. al fine di sottrarre i beni ad una possibile esecuzione da parte

dell'Amministrazione finanziaria per debiti tributari.

Dopo un lunghissimo e peraltro superfluo excursus ricostruttivo, l'ordinanza impugnata soltanto nella parte finale individua il fumus dei reati ipotizzati a) nelle dichiarazioni dei titolari, secondo cui la società F.T. s.a.s. sarebbe stata alienata per sottrarla alla garanzia dei creditori (tra cui Equitalia) b) nella circostanza che la società in questione, una volta passata nella titolarità formale del ricorrente, sarebbe stata cancellata per scioglimento dal Registro delle imprese, senza avviare le procedure di liquidazione.

Le dichiarazioni rese da S.M. in data 12/03/2011 avrebbero al più potuto dimostrare che la cessione della società fosse finalizzata a sottrarla all'aggressione degli enti creditori, ma non certo che detta cessione fosse fittizia.

In ogni caso, risultava indimostrata l'idoneità della condotta di cessione ad eludere il pagamento dei creditori attraverso atti simulati o fraudolenti idonei.

Unitamente al socio accomandante, nella seduta assembleare del 21/11/2011, veniva deliberato lo scioglimento della società per impossibilità di conseguire l'oggetto sociale; e in data 17/05/2012 i soci provvedevano alla registrazione dello scioglimento.

L'assunto accusatorio non tiene conto che, per le società di persone, il procedimento di liquidazione possa essere definito direttamente dai soci (la ratio giustificatrice è rappresentata dalla responsabilità solidale ed illimitata dei soci). I creditori infatti possono ottenere il pagamento dei propri crediti anche dopo la cancellazione della società; la garanzia è rappresentata invero dal patrimonio personale del singolo socio, su cui gravano quindi le obbligazioni societarie. Le sezioni unite con la sentenza 6070/2013 hanno affermato il principio che i soci succedono in tutti i rapporti ancora pendenti della società estinta.

Il socio di società di persone è, quindi, responsabile per tutte le obbligazioni sociali e perciò anche tributarie, esistenti al momento dello scioglimento della società.

Difetta pertanto il fumus commissi delicti sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo.

Sotto il primo profilo il Tribunale non ha individuato alcun elemento da cui desumere che il ricorrente si sia deliberatamente sottratto o abbia consentito ad altri di sottrarsi ai pagamento del debito tributario (dolo specifico), avendo piuttosto il ricorrente posto in essere tutte le procedure previste dalla normativa societaria.

Sotto il secondo profilo, non sono state individuate condotte fraudolente idonee a vanificare l'esito della esecuzione tributaria, sussistendo, comunque, la responsabilità solidale del socio accomandatario cedente.

Il Tribunale ha inoltre errato nell'applicazione dell'art. 11 D.L.vo 74/2000. Tale delitto è un reato di pericolo concreto che si consuma attraverso atti simulati o fraudolenti, idonei ad impedire, in tutto o in parte, la procedura di riscossione coattiva.

La condotta posta in essere dal ricorrente palesemente non può rientrare nel paradigma normativo, essendo egli titolare di beni (sottoposti infatti a sequestro) che possono soddisfare la pretesa tributaria.

2.1. Con memoria, depositata in cancelleria in data 09/09/2015, si deduce che la condotta, anche a voler seguire la prospettazione accusatoria, sarebbe stata posta in essere dal 10 agosto 2007 fino al 17 maggio 2012 (quando la società venne posta in liquidazione).

Solo con la L. 6/11/2012 (risalente quindi ad epoca successiva) è stata estesa la confisca por equivalente anche al profitto del reato (la norma di cui all'art. 322 ter cod.pen. nella configurazione originaria faceva riferimento solo al prezzo del reato). Ed è pacifico che, nel caso di specie, il provvedimento ablativo riguardi esclusivamente il profitto.

Sicché, essendo stato applicata retroattivamente una norma afflittiva, la misura cautelare è illegittima.

 

Considerato in diritto

 

1. Il ricorso è fondato nei termini e nei limiti di seguito indicati.

2. Va premesso che, a norma dell'art.325 cod.proc.pen., il ricorso per cassazione può essere proposto soltanto per violazione di legge...

Secondo le sezioni unite di questa Corte (sentenza n. 5876 del 28/1/2004, P.C. F. in proc. B., Rv.226710), nella nozione di "violazione di legge" rientrano, però, la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all'inosservanza di precise norme processuali, quali ad esempio l'art.125 cod.proc.pen., che impone la motivazione anche per le ordinanze, ma non la manifesta illogicità della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di ricorso dall'art.606 lett.e) c.p.p.

Tali principi sono stati ulteriormente ribaditi dalle stesse Sezioni Unite con la sentenza n.25932 del 29/5/2008-I., Rv. 25932, secondo cui nella violazione di legge debbono intendersi compresi sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidonee a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice.

3. Quanto ai poteri del Tribunale del riesame, secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr.in particolare Sez.unite 29.1.1997, ric. P.M. in proc. B.), nei procedimenti incidentali aventi ad oggetto il riesame dì provvedimenti di sequestro, non è ipotizzabile una "piena cognitio" del Tribunale, al quale è conferita esclusivamente la competenza a conoscere della legittimità dell'esercizio della funzione processuale attribuita alla misura ed a verificare, quindi, la correttezza del perseguimento degli obiettivi endoprocessuali che sono propri della stessa, con l'assenza di ogni potere conoscitivo circa il fondamento dell'accusa, potere questo riservato al giudice del procedimento principale. Tale interpretazione limitativa della cognizione incidentale risponde all'esigenza di far fronte al pericolo di utilizzare surrettiziamente la relativa procedura per un preventivo accertamento sul "meritum causae", così da determinare una non consentita preventiva verifica della fondatezza dell'accusa il cui oggetto finirebbe per compromettere la rigida attribuzione di competenze nell'ambito di un medesimo procedimento.

L'accertamento, quindi, della sussistenza del fumus commissi delicti va compiuto "sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati sul piano fattuale, per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, ai fine di verificare se essi consentono- in una prospettiva di ragionevole probabilità- di sussumere l'ipotesi formulata in quella tipica. Il Tribunale del riesame non deve, pertanto, instaurare un processo nel processo, ma svolgere l'indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sussistenza della fattispecie dedotta ed esaminando sotto ogni aspetto l'integralità dei presupposti che legittimano il sequestro" (ex multis Cass.pen.sez.,3 n.40189 del 2006- ric.D.L.).

Il controllo non può, pertanto, limitarsi ad una verifica meramente burocratica della riconducibilità in astratto del fatto indicato dall'accusa alla fattispecie criminosa, ma deve essere svolto attraverso la valutazione dell'antigiuridicità penale del fatto come contestato, tenendo conto, nell'accertamento del "fumus commissi delicti", degli elementi dedotti dall'accusa risultanti dagli atti processuali e delle relative contestazioni difensive.

Secondo anche la già citata sentenza (sez. un. n.23/1997), non sempre correttamente richiamata, al giudice del riesame spetta quindi il dovere di accertare la sussistenza del cd. fumus commissi delicti che, pur se ricondotto nel campo dell'astrattezza, va sempre riferito ad una ipotesi ascrivibile alla realtà fattuale e non a quella virtuale (principi affermati più volte da questa sezione 3, 29.11.1996, C.; 1.7.1996, C.; 30.11.199, R.; 2.4.2000, P.M.c.C.; n.5145/2006).

In conclusione la verifica da parte del giudice del riesame del "fumus commissi delicti", ancorché limitata all'astratta configurabilità del reato ipotizzato dal P.M., importa che lo stesso giudice, lungi dall'essere tenuto ad accettare comunque la prospettazione dell'accusa, abbia il potere-dovere di escluderla, quando essa appaia giuridicamente infondata (cfr. Cass.pen.sez. 1 n.15914 del 16.2.2007-B.).

L'unica differenza che corre tra giudice cautelare e giudice di merito è che il primo non ha poteri di istruzione e di valutazione probatoria, che sono incompatibili con la natura cautelare del giudizio, ma tuttavia conserva in pieno il potere di valutare in punto di diritto se sulla base delle prospettazioni hic et inde dedotte ricorra il reato contestato (cfr. Cass.pen.sez.3 n.33873 del 7.4.2006-M.; conf. Sez. 1 n.21736 del 11.5.2007; sez.5 n.24589 del 18.4.2011).

Anche più di recente è stato ribadito che, nella valutazione del fumus commissi delicti, quale presupposto del sequestro preventivo, il giudice del riesame non può avere riguardo alla sola astratta configurabilità del reato, ma deve tener conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell'effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, indicando, sia pur sommariamente, le ragioni che rendono sostenibile l'impostazione accusatoria e plausible un giudizio prognostico negativo per l'indagato (Cass. sez.5 n.49596 del 16.9.2014; conf. sez. 5 n.28515 del 21.5.2014; sez. 4 n. 15448 del 14.3.2012; sez. 5 n.49596 del 16.9.2014; sez. 3 n.26197 del 5.5.2010).

3.1. Il Tribunale non ha fatto corretta applicazione di tali principi.

Ha, invero, motivato diffusamente sulla struttura del reato di cui all'art. 11 D.L.vo 74/2000, ed in ordine al meccanismo fraudolento, posto in essere dai coniugi F.S. per sottrarre i propri beni alla garanzia patrimoniale nei confronti dei creditori ed in particolare dell'Erario (in ordine al pagamento delle imposte).

Ha liquidato, invece, in poche righe la posizione del singolo indagato, e, con motivazione sostanzialmente apodittica, ha ritenuto sussistente il contributo causale fornito dal ricorrente nella realizzazione della fattispecie e, soprattutto, il dolo specifico richiesto dalla norma (finalità di sottrarsi al pagamento del debito tributario).

Non ha spiegato, invero, da quali elementi abbia tratto il convincimento che l'indagato abbia, consapevolmente, consentito ai coniugi F.S. di sottrarsi al pagamento del debito verso il fisco.

Né ha tenuto conto dei rilievi difensivi in ordine alla legittimità della procedura di deliberazione di scioglimento della società F.T. s.a.s.

Si è limitato, in proposito, a richiamare la memoria depositata in data 26/01/2015 presso la cancelleria del G.i.p. (peraltro all'udienza camerale del 18/02/ 2015 era stata depositata altra memoria), senza argomentare specificamente in ordine all'assunto difensivo.

3.2. L'ordinanza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Reggio Calabria, rimanendo assorbito ogni altro rilievo.

Va, però, rilevata la infondatezza della eccezione sollevata con la memoria depositata in cancelleria in data 09/09/2015.

Secondo costante giurisprudenza di questa Corte, invero, il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, poteva essere disposto (anche prima dell'entrata in vigore della L. n.190 del 6/11/2012) non soltanto per il prezzo, ma anche per il profitto del reato, dal momento che l'integrale rinvio alle "disposizioni di cui all'art. 322 ter del codice penale", contenuto nell'art. 1, comma 143, L. n.244 del 2007, rendeva applicabile, in relazione ai reati tributari, non solo il primo ma anche il secondo comma del predetto articolo (cfr. ex multis Cass. sez. 3 n.35807 del 07/07/2010, B. ed altri; Sez. 3 n.25890 del 26/05/2010, M.).

Né a diverse conclusioni può pervenirsi alla luce delle modifiche, introdotte all'art. 322 ter cod.pen. con l'art. 1 comma 75 lett.o) della L. 6/11/2012 n.190 (secondo cui, per i delitti previsti dagli artt. da 314 a 320 cod.pen., la confisca è consentita per un valore corrispondente non più solo al prezzo del reato, ma anche al profitto).

"Tale modifica è, infatti, con ogni evidenza, stata introdotta proprio per consentire l'operatività del sequestro per equivalente del profitto in relazione a quelle ipotesi per le quali l'esclusivo riferimento al prezzo non consentiva di estendere al di là di esso l'oggetto della misura reale." (cfr. Cass. pen. sez. 3 n.23108 del 23/04/2013, N.).

Alle medesime conclusioni, del resto, si è pervenuti anche in relazione all'art.640 quater cod.pen., in quanto il richiamo, contenuto nella norma, all'art. 322 ter cod.pen., nella sua interezza, consentiva di applicare la misura ablatoria non soltanto con riferimento al prezzo, ma anche al profitto del reato; conseguentemente le modifiche introdotte dalla legge n.190 del 2012 non hanno alcun carattere innovativo (cfr. Cass. sez. 2 n.30050 del 11/06/2014, L.; Cass. sez. 2 n.31229 del 26/06/2014).

 

P.Q.M.

 

Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Reggio Calabria.