Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 09 ottobre 2015, n. 20296

Sentenza dichiarativa di fallimento - Reclamo - Requisiti dimensionali - Prova dell’insussistenza - Grava sul debitore - Debiti scadenti nell’esercizio successivo - Appostazione nello stato patrimoniale - Obbligatorietà - Sussiste - Calcolo dei debiti della fallita - Momento della valutazione - Data della decisione del reclamo - Rileva

 

Svolgimento del processo

 

Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Cagliari rigettò il reclamo proposte dalla R.P. s.r.l. avverso la sentenza che ne aveva dichiarato il fallimento su istanza dell'ing. M.M.

Ritennero i giudici del merito che la società reclamante non avesse provato l’insussistenza dei requisiti legittimanti il fallimento, avendone riconosciuto esistente almeno uno, quello dell'attivo patrimoniale superiore a trecentomila euro. Aggiunsero comunque che, considerati i debiti verso i soci, l'ammontare dei debiti era superiore a novecentomila euro. Quanto alla soglia minima di trentamila euro di debiti scaduti, rilevarono come dal bilancio 2007 risultassero debiti per €. 1.429.560 esigibili entro il 2008.

Infine, quanto allo stato di insolvenza, i ricavi modesti e talora inesistenti non rendevano prevedibile un risanamento dell'impresa.

Ricorre per cassazione la R.P. s.r.l. e propone cinque motivi di impugnazione, mentre non hanno spiegato difese gli intimati.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione dell'art. 1 comma 2 e dell'art. 15 comma 4 legge fall, e vizio di motivazione in ordine all'ammontare dei suoi debiti.

Lamenta innanzitutto che i giudici del merito abbiano omesso di considerare la documentazione prodotta in sede prefallimentare, dalla quale risultava che le intere passività, e non i debiti, ammontavano al dicembre 2008 a €. 982.613,96.

Censura poi che i giudici del merito abbiano annoverato tra i debiti anche quelli verso i soci, senza considerare che costoro vi avevano rinunciato. Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 5 legge fall, e vizi di motivazione in ordine allo stato di insolvenza, lamentando che i giudici del merito abbiano omesso qualsiasi accertamento relativo al presupposto oggettivo del fallimento.

Con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 15 ultimo comma legge fall, e vizio di motivazione della decisione impugnata, lamentando che i giudici del merito abbiano considerato scaduti anche i debiti esigibili nell'anno successivo a quello della redazione dello stato patrimoniale, mentre in realtà non lo erano alla data di presentazione della domanda di fallimento.

Con il quarto motivo la ricorrente deduce la ricorrente deduce violazione degli art. 2423 bis e 2424 c.c., in relazione agli art. 1 e 5 legge fall., e vizi di motivazione della decisione impugnata, lamentando che erroneamente le sia stata addebitata la mancata appostazione in bilancio e comunque in contabilità del debito contestato nei confronti di M.M.

Sostiene che il lodo arbitrale in favore della creditrice istante era stato pronunciato il 28 maggio 2008, sicché non poteva essere inserito nel bilancio 2008, ancora non esistente nel dicembre 2008; e poiché il lodo era stato impugnato, il debito non doveva essere inserito in contabilità.

Con il quinto motivo infine la ricorrente deduce vizi di motivazione della decisione impugnata, lamentando che i giudici del merito abbiano erroneamente escluso la possibilità di risanamento dell'azienda.

2. Come risulta dalla stessa narrativa del ricorso, la società ricorrente non contesta di essere assoggettabile a fallimento, perché riconosce di avere un patrimonio superiore a trecentomila euro e riconosce che la preclusione al fallimento deriva solo dal concorso di tutto lo tre condizioni ostative previste dall'art. 1 legge fall.

Ne consegue che sono inammissibili il primo e il quarto motivo del ricorso, perché attengono all'irrilevante questione dell'esistenza delle altre due condizioni ostative al fallimento.

3. A fondamento del terzo motivo la ricorrente sostiene che bisogna distinguere tra debiti scaduti e debiti di esigibilità futura.

In realtà «l'esigibilità del credito ricorre quando il creditore può chiederne il pagamento o perché è scaduto il termine stabilito a favore del debitore oppure perché il pagamento può essere richiesto in qualsiasi momento» (Cass., sez. I, 13 luglio 1971, n. 2259, n. 353096). Come chiarisce la dottrina, non è esigibile, ad esempio, «un credito nascente da una obbligazione naturale, né un credito nascente da un negozio sottoposto a condizione sospensiva o a termine dilatorio, prima che la condizione si sia avverata o il termine sia venuto a scadenza, non producendosi, altrimenti, effetti. È invece esigibile un credito nascente da un negozio sottoposto a condizione risolutiva (ovviamente prima dell'eventuale avveramento) perché immediatamente efficace».

D'altro canto l'art. 2424 c.c. esige che nello stato patrimoniale della società vengano indicati separatamente gli importi dei debiti «esigibili oltre l'esercizio successivo». Ed è evidentemente a un'applicazione di questa disposizione che la corte d'appello si riferisce, quando afferma che nel bilancio al 31 dicembre 2007 della s.r.l. risultavano debiti per €. 1.429.560 esigibili entro l'anno successivo, vale a dire entro l'anno 2008, alla cui fine il fallimento fu dichiarato. Sicché ragionevolmente i giudici del merito hanno argomentato che il termine per il pagamento di quei debiti scadesse appunto nel 2008. Né il ricorrente ha dimostrato il contrario.

Contrariamente a quanto si deduce nel ricorso, infatti, la scadenza dei debiti che rileva è quella maturata al momento della decisione, non al momento della presentazione della istanza di fallimento (Cass., sez. I, 27 maggio 2015, n. 10952, n. 635516).

Il terzo motivo è dunque infondato.

4. Infondato è anche il secondo motivo del ricorso, attinente allo stato di insolvenza.

La ricorrente lamenta una totale mancanza di motivazione sul punto. Ma la corte d'appello una motivazione, per quanto stringata, la esibisce, escludendo qualsiasi prospettiva di risanamento. E la congruità di questa motivazione deve essere valutata in rapporto alle deduzioni esposte nel reclamo, che avevano riguardato esclusivamente l'esistenza di un utile nell'esercizio 2008, dopo le perdite dei due anni precedenti, che i giudici del merito pongono in dubbio in ragione della mancanza di una appostazione prudenziale riferita al debito nei confronti della creditrice istante M.M., contestata dalla società debitrice.

Si deve pertanto concludere con il rigetto del ricorso.

In mancanza di difese degli intimati, non v'è pronuncia sulle spese.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.