Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 18 settembre 2015, n. 18136

Previdenza - Professionisti - Anzianità contributiva - Criteri

 

Svolgimento del processo

 

1. Con ricorso al giudice del lavoro di Fermo, M.G., titolare di pensione di anzianità a carico della Cassa Nazionale di Previdenza ed assistenza Ragionieri e Periti commerciali (di seguito Cassa o CNRP) dal 1°.06.08, contestava la liquidazione della prestazione, sostenendo che i criteri adottati, contenuti nella delibera del Comitato dei delegati della Cassa del 22.06.2, potevano essere applicati solo per le anzianità contributive maturate dopo questa data, quindi, con salvaguardia dei criteri adottati precedentemente, nel rispetto del principio del pro rata.

2. Respinta la domanda e proposto appello dall’assicurato, la Corte d’appello di Ancona con sentenza del 14.04.11 rigettava l’impugnazione.

Riteneva la Corte che la prestazione dovesse essere liquidata in conformità delle disposizioni di legge vigenti al momento della maturazione del diritto e, quindi, dell’art. 3, c. 12, della l. 8.08.95 n. 335, come modificato dall’art. 1, c. 763, della l. 27.12.06 n. 296. Pertanto, il principio del pro rata aveva carattere non assoluto, secondo quanto previsto nella nuova versione del c. 12 dell’art. 3, ma solo tendenziale, dovendo essere contemperato con gli altri criteri (equilibrio finanziario di lungo termine, adozione del pro rata in relazione all’anzianità maturata, attuazione dei criteri della gradualità e dell’equità tra generazioni) che la nuova formulazione dello stesso c. 12 prevedeva. Non risultando impugnata la prima sentenza in punto di corretto esercizio del potere regolamentare della Cassa in relazione ai concorrenti criteri desumibili dalla nuova formulazione normativa (ormai vigente al Io.06.08), la Corte rigettava l’appello.

3. Proponeva ricorso per cassazione il M., cui rispondeva con controricorso la Cassa. Fissata la discussione dinanzi alla Sezione Lavoro e depositate memorie dalle parti, il Collegio disponeva la rimessione degli atti al Primo Presidente per l’eventuale rimessione alle Sezioni unite.

4. Fissata l’odierna udienza di discussione, con memoria depositata il 16.06.15 M.M., N.R., M.B., M.R., P. A. e B. V. esponevano di aver presentato ricorso per la cassazione di altrettante sentenze di appello che li avevano visti soccombenti in controversie di contenuto analogo a quello oggetto del ricorso ora in discussione. Gli stessi, al fine di sottoporre all’odierno Collegio questioni di diritto non rilevate dall’ordinanza della Sezione ordinaria, spiegavano intervento ad adiuvandum in favore del ricorrente M..

5. Depositate dalle parti in causa ulteriori memorie, alla pubblica udienza, il Presidente, dopo la relazione del consigliere relatore, invitava le parti in questione, il Procuratore generale e gli intervenienti a prendere posizione circa l’ammissibilità dell’intervento. All’esito della discussione, dopo che il Collegio si era ritirato in camera di consiglio per la decisione sulla questione preliminare, il Presidente dava lettura di un’ordinanza che dichiarava inammissibile l’intervento.

6. All’esito della discussione generale, le parti in causa ed il Procuratore generale concludevano come in atti.

 

Motivi della decisione

 

7. L’assicurato contesta la sentenza di appello con due motivi.

7.1. Con il primo motivo deduce violazione dell’art. 3. c. 12, della l. 8.08.95 n. 335, come modificato dall’art. 1, c. 763, della l. 27.12.06 n. 296, nonché della norma da ultimo richiamata e dell’art. 1 della l. 30.12.91 n. 414, sostenendo che i criteri di cui alla delibera del Comitato dei delegati CNRP del 22.06.02 non possono essere applicati alle anzianità contributive maturate per i periodi anteriori, per i quali varrebbe il principio del pro rata.

7.2. Con il secondo motivo è dedotta violazione delle stesse disposizioni, in quanto la Corte d’appello ha erroneamente affermato che l’art. 1, c. 763, della l. n. 296 del 2006 fa salvi tutti gli atti e le deliberazioni adottate dall’Ente, e quindi anche la deliberazione 22.06.02, che pure viola il principio del pro rata. Tale disposizione va interpretata, invece, nel senso che la salvezza è ipotizzabile solo per quelle delibere, anteriori a quella data, che hanno fatto applicazione del criterio del pro rata.

8. Prima di affrontare le questioni nascenti dai detti motivi di ricorso e per meglio comprendere il contenuto dell’ordinanza della Sezione ordinaria che ha suggerito il rinvio alle Sezioni unite, appare opportuno ricostruire il quadro normativo, legislativo e regolamentare, che regola la materia.

8.1. La Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Ragionieri e Periti Commerciali fu istituita con la l. 9.02.63 n. 160, quale Ente di diritto pubblico, costituito per garantire trattamenti di previdenza ed assistenza agli iscritti ed ai loro superstiti. Il regime originariamente adottato fu quello della contribuzione fissa uguale per tutti (lire 81.500 annue), cui faceva riscontro una pensione uguale per tutti, rivalutata annualmente in base alle variazioni ISTAT del costo della vita.

8.2. Con la l. 30.12.91 n. 414 il sistema fu riformato con l’introduzione del metodo di calcolo delle pensioni retributivo o reddituale, con una contribuzione non più fissa, ma determinata in termini di percentuale del reddito professionale dichiarato annualmente dal professionista. La pensione era determinata in misura pari, per ogni anno di effettiva iscrizione, al 2%, della media dei dieci redditi professionali annuali più elevati dichiarati dall’iscritto ai fini IRPEF per gli ultimi quindici anni solari di contribuzione anteriori a quello di maturazione del diritto a pensione.

8.3. In attuazione del d.lgs. 30.06.94 n. 509, emanato in forza della delega conferita dall'art. 1, c. 32, della l. 24.12.93 n. 537, in materia di trasformazione in persone giuridiche private degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza, nel 1995 la Cassa venne trasformata in Associazione con personalità giuridica di diritto privato.

L’art. 2, c. 2, del d.lgs. n. 509 del 1994 statuì che "La gestione economico - finanziaria [delle associazioni] deve assicurare l'equilibrio di bilancio mediante l'adozione di provvedimenti coerenti alle indicazioni risultanti dal bilancio tecnico da redigersi con periodicità almeno triennale". Il sistema previdenziale della CNRP rimase, tuttavia, tecnicamente immutato, in quanto le norme della legge n. 414 del 1991 furono trasfuse nello Statuto e nel Regolamento di esecuzione dell’Associazione, approvati con il decreto interministeriale (d.i.) 11.07.95.

8.4. Con la l. 8.08.95 n. 335, recante la riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare, fu previsto, tra l’altro, che per gli iscritti all’Assicurazione generale obbligatoria (AGO) ed alle forme sostitutive ed esclusive della stessa la pensione fosse determinata con il sistema contributivo (art. 1, c. 6). Per coloro che alla data del 31.12.95 vantavano un’anzianità contributiva inferiore a 18 anni era previsto un sistema misto, articolato in due quote: a) quota, corrispondente all’anzianità antecedentemente acquisita, determinata secondo il sistema retributivo previgente; b) quota determinata sulla base dell’anzianità contributiva maturata successivamente (art. 1, c. 12).

La giurisprudenza individua in tale disposizione l’affermazione implicita del principio del pro rata, nel momento in cui la legge consente che i lavoratori assicurati, i quali alla data del 31.12.95 vantino una anzianità contributiva inferiore a 18 anni, abbiano una base frazionata per il calcolo della prestazione, calcolata sulla base del sistema retributivo per l’anzianità contributiva maturata fino a quella data e sulla base del sistema contributivo per quella successiva (v., tra le tante, Cass. 16.11.09 n. 24202 e 24.09.10 n. 20235).

Con riferimento agli enti privati gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza generale (tra cui rientrava la CNRP) e nel rispetto dei principi di autonomia del d.lgs. n. 509 del 1994, la stessa legge stabilì che "allo scopo di assicurare l'equilibrio di bilancio in attuatone di quanto previsto dall'articolo 2, comma 2, del predetto decreto legislativo, la stabilità delle rispettive gestioni è da ricondursi ad un arco temporale non inferiore a 15 anni. In esito alle risultanza e in attuazione di quanto disposto dall'articolo 2, comma 2, del predetto decreto, sono adottati dagli enti medesimi provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti" (art. 3, c. 12).

8.5. Per quanto riguarda la Cassa Ragionieri e Periti commerciali, con delibera del Comitato dei delegati del 28.06.97, approvata con d.m. 31.07.97, furono, tra le altre, apportate modifiche regolamentari tendenti a ridurre la spesa pensionistica: furono così introdotti il massimale di pensione variabile nel tempo, la rimodulazione delle aliquote di rendimento e l’elevazione delle medie reddituali poste a base del calcolo, passando con gradualità dai migliori 10 redditi sugli ultimi 15 dichiarati, ai migliori 15 sugli ultimi 20 dichiarati, prevedendo inoltre la liquidazione del primo supplemento di pensione, per i pensionati di vecchiaia esercenti, non più ogni due anni dal pensionamento ma dopo 5 anni.

8.6. Tali parametri, in ragione delle esigenze di equilibrio del bilancio, furono nel tempo modificati con una serie di delibere del Comitato dei delegati che, per quanto qui interessa, possono riassumersi come segue.

A) con la delibera 10.11.00, approvata con d.m. 19.01.01, fu modificato il sistema di gestione previdenziale passando dal sistema di calcolo reddituale a quello contributivo, e fu adottata una serie di aggiustamenti per portare in equilibrio nel medio e lungo termine la gestione.

B) con le delibere 22.06.02 e 23.11.02, approvate con d.m. 3.03.03, venne sospesa la pensione di anzianità per un anno, venne ampliato e portato agli ultimi 24 anni l’arco temporale per il calcolo della media dei redditi utili ai fini del calcolo della pensione, con norma di salvaguardia che la nuova misura non poteva essere inferiore all’80% di quella derivante dall’applicazione delle modalità di calcolo previgenti.

C) con le delibere del Comitato dei delegati del 7.06.03 e del 20.12.03, approvate con d.m. 22.04.04, dal 1° gennaio 2004 fu definitivamente introdotto il sistema retributivo in sostituzione del contributivo. All’interno del fondo previdenza furono create due sezioni separate (sezione A e B). Era previsto che nella prima sezione (A) affluissero i contributi integrativi ed i redditi degli investimenti del patrimonio presente al 31.12.03 e che sulla stessa gravasse l’onere delle prestazioni e delle quote retributive della pensione. Nella seconda sezione (B) affluivano, invece, i contributi soggettivi versati dal 2004 in poi ed i redditi degli investimenti generati da tali contributi; sulla stessa sezione gravavano le quote contributive di pensione e le prestazioni da liquidarsi con il metodo contributivo.

8.7. Nel suo complesso, dunque, la disciplina regolamentare, nel suo assetto definitivo (v. il testo del regolamento di esecuzione sub allegato D al verbale dell’Assemblea del Comitato dei delegati del 20.12.03, artt. 49 e seguenti), prevede che tanto la pensione di vecchiaia, che quella di anzianità siano liquidate con il sistema retributivo e secondo i criteri previgenti, se maturate prima del 31.12.03. Per le pensioni maturate successivamente, il regolamento prevede per l’anzianità maturata fino al 31.12.03 una quota retributiva (quota A) determinata sulla media dei redditi degli ultimi 24 anni, e una quota contributiva (quota B) per l’anzianità successiva a tale data.

8.8. L’art. 1, c. 763, della l. 27.12.06 n. 296 sostituì il primo ed il secondo periodo dell’art. 3, c. 12, della legge n. 335 del 1995, con tale diversa formulazione: "12. Nel rispetto dei principi di autonomia affermati dal decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, e dal decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103, e con esclusione delle forme di previdenza sostitutive dell'assicurazione generale obbligatoria, allo scopo di assicurare l'equilibrio di bilancio in attuazione di quanto previsto dall'articolo 2, comma 2, del suddetto decreto legislativo n. 509 del 1994, la stabilità delle gestioni previdenziali di cui ai predetti decreti legislativi è da ricondursi ad un arco temporale non inferiore a trenta anni. ...In esito alle risultanze e in attuazione di quanto disposto dal citato articolo 2, comma 2, sono adottati dagli enti medesimi, i provvedimenti necessari per la salvaguardia dell'equilibrio finanziario di lungo termine, avendo presente il principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti e comunque tenuto conto dei criteri di gradualità e di equità fra generazioni. Qualora le esigenze di riequilibrio non vengano affrontate, dopo aver sentito l'ente interessato e la valutatone del Nucleo di valutazione della spesa previdenziale, possono essere adottate le misure di cui all'articolo 2, comma 4, del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509. ... [sono omessi i periodi, introdotti dalla riforma, non rilevanti ai fini della presente trattazione]".

L’ultimo periodo di detto c. 763, dopo le modifiche apportate all’art. 3, c. 12, prevede stabilì che "Sono fatti salvi gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al presente comma ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della presente legge".

8.9. Con l’art. 24, c. 24, del d.1.6.12.11 n. 201 (conv. dalla l. 22.12.11 n. 214) fu adottato un ulteriore intervento legislativo che impose agli enti privati indicati dal d.lgs 509 del 1994 (tra cui la CNRP) di allungare il termine di stabilità della gestione da 30 a 50 anni, fissando, altresì, il termine del 30.06.12 per l’adozione delle misure conseguenti.

8.10. Infine, l’art. 1, c. 488, della l. 27.12.13 n. 147 ha previsto che "Ultimo periodo dell'articolo 1, comma 763, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, si interpreta nel senso che gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al medesimo comma 763 ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della legge 27 dicembre 2006, n. 296, si intendono legittimi ed efficaci a condizione che siano finalizzati ad assicurare l’equilibrio finanziario di lungo termine".

9. La quantificazione delle pensioni dei ragionieri e dei periti commerciali, erogate dalla Cassa dopo la riforma previdenziale introdotta dalla l. 8.08.95 n. 335, ha dato luogo ad un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità, per il quale, in applicazione dell’art. 3, c.12, della legge in questione nella sua originaria formulazione - e quindi prima che fosse modificato dalla l. 27.12.06 n. 296 - il principio del pro rata ha carattere generale e trova applicazione anche in riferimento alle modifiche in peius delle modalità di calcolo della quota retributiva della pensione e non solamente alla salvaguardia ratione temporis del criterio retributivo rispetto al contributivo introdotto dalla normativa regolamentare della Cassa. Pertanto "con riferimento alla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali e alle modifiche regolamentari adottare con le delibere 22.06.02, 7.06.03 e 20.12.03, che, nel complesso, hanno introdotto il criterio contributivo distinguendo, per gli assicurati al momento della modifica regolamentare, la quota A di pensione, calcolata con il criterio retributivo, e la quota B, calcolata con il criterio contributivo, opera - per il calcolo della quota A - il principio del pro rata e, quindi, trova applicazione il previgente più favorevole criterio di calcolo (la media di 15 redditi professionali annuali più elevati nell'arco di 20 anni di contribuzione anteriori a quello di maturazione del diritto a pensione), e non già la media dei redditi degli ultimi 24 anni" (tra le tante, v. Cass. 18.04.11 n. 8847, 30.07.12 n. 13607, 30.07.12 n. 13613 e 13614, 14.02.14 n. 3514).

La stessa giurisprudenza ha, inoltre, precisato - confutando una ricorrente obiezione della difesa della CNRP circa la coerenza della richiamata giurisprudenza - gli esatti termini del concetto di pro rata enunziato dall’art. 3, c. 12, della legge n. 335 del 1995, precisando che esso non deve essere ampliato al punto di applicare ogni singolo criterio di calcolo via via modificato nel tempo a partire dalla l. n. 160 del 1963, poi seguita dalla l. n. 1140 del 1970, quindi dalla l. n. 414 del 1991. Il principio del pro rata è opera, infatti, solo dall'entrata in vigore di detto art. 3, c. 12, "ed in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche incidenti sulla determinazione della pensione e, quindi, con riferimento ai criteri di liquidazione che, al momento di introduzione di dette modifiche, sarebbero stati altrimenti applicabili a tali pregresse anzianità" (Cass. 26.10.12 n. 18478 e 29.10.12 n. 18559).

10. Circa le conseguenze della l. 27.12.06 n. 296, la giurisprudenza della Corte ha rilevato che l’art. 1, c. 763, nel sostituire il concetto del pro rata di cui all’originario art. 3, c. 12, con un concetto similare, ma meno rigido, introduce una disposizione innovativa. La nuova formulazione dell’art. 3, c. 12, prevede che le Casse privatizzate - e con esse la CNPR - nell'esercizio del loro potere regolamentare siano tenute non più al "rispetto del principio del pro ratei (vecchia formulazione), ma a tenere "presente il principio del pro ratio" nonché "i criteri di gradualità e di equità fra generazioni" (nuova formulazione), a partire dal 1° gennaio 2007, data di entrata in vigore della legge n. 296. Il legislatore del 2006, prosegue la giurisprudenza in esame, "ha quindi inteso rendere flessibile il criterio del pro rata ponendolo in bilanciamento con i criteri di gradualità e di equità fra generazioni. In questo modo lo spazio di intervento delle Casse è maggiore e le esigenze di riequilibrio della gestione previdenziale potrebbero richiedere un sacrificio maggiore a chi è già assicurato a beneficio dei nuovi assicurati. La disposizione quindi facoltizza la CNRP ad adottare delibere in cui il principio del pro rata venga temperato rispetto ai criteri originali di cui alla L. n. 335 del 1995. Tuttavia ciò non può che valere per il futuro, cioè per le delibere della Cassa adottate successivamente all’entrata in vigore della legge, ossia dal primo gennaio 2007" (tra le tante, v. Cass. 18.04.11 n. 8847, 7.03.12 n. 3613 e 30.07.12 n. 13607, 14.02.14 nn. 3514 e 3520).

11. L’ultimo periodo del c. 713, per il quale "Sono fatti salvi gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al presente comma [ovvero degli enti di cui al d.lgs. 30 giugno 1994, n. 509] ed approvati dai Ministeri vigilanti prima data di entrata in vigore della presente legge", non costituisce una validazione successiva delle disposizioni regolamentari delle Casse interessate nella parte in cui non ottemperavano alla prescrizione del "rispetto del principio del pro ratio" Esso va, invece, interpretato nel senso che la disposta salvezza, non vale a sanare la eventuale illegittimità dei precedenti provvedimenti regolamentari, ove essi siano stati adottati in violazione della legge vigente al momento della maturazione del trattamento pensionistico, "di talché gli atti ed i provvedimenti adottati dagli enti prima della disposizione del 2006 rimangono efficaci e la loro legittimità, per i pensionamenti attuati entro il 2006, ... deve essere vagliata alla luce del vecchio testo della disposizione in quanto normativa da applicare ratione temporis" (sentenza n. 8847 del 2011 cit.), ovvero, "le precedenti disposizioni regolamentari adottate dalle Casse privatizzate, a partire dall’entrata in vigore della legge n. 296 del 2006, sono valutate avendo come parametro di legittimità il nuovo art. 3, c. 12, cit., senza necessità di essere reiterate" (sentenza n. 13612 del 2012, cit.).

La disposizione del c. 763, in altre parole, riguarda le delibere future, successive al 1° gennaio 2007, ma non può operare retroattivamente, per rendere legittime delibere anteriori che dovevano invece conformarsi alla normativa vigente al momento in cui erano state emanate. Ai fini della liquidazione della pensione, la legittimità delle delibere va valutata a seconda del periodo in cui il diritto sia maturato (prima o dopo quella data) e del concetto di pro rata accolto dalla legislazione al momento vigente.

12. In questo ordito normativo e giurisprudenziale si colloca la questione sollevata dalla Sezione ordinaria con l’ordinanza 4.12.14 n. 25688, che ha suggerito la rimessione alle Sezioni unite.

Come già rilevato, l’art. 1, c. 488, della l. 27.12.13 n. 147 ha previsto che "L'ultimo periodo dell'articolo 1, comma 763, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, si interpreta nel senso che gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al medesimo comma 763 ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della legge 27 dicembre 2006, n. 296, si intendono legittimi ed efficaci a condizione che siano finalizzati ad assicurare l’equilibrio finanziario di lungo termine". A questa disposizione le parti oggi in causa hanno dato una interpretazione non concordante.

La CNRP considera questa disposizione quale norma di interpretazione autentica dell’ultimo periodo del comma 763, contenente la c.d. clausola di salvezza. Tale periodo, in ragione dell’effetto retroattivo della norma di interpretazione autentica, sarebbe da intendere ora - non più nel senso (fissato dalla giurisprudenza richiamata al capo 11) che "far salvo" un provvedimento significa che esso non perde efficacia per effetto della nuova legge "ma non anche che esso sia conforme a legge", ma - nel senso che tutti gli atti e le deliberazioni in materia di previdenza adottate (non solo dalla CNPR ma anche) da tutte le (altre) Casse di previdenza ed approvati dall’autorità di vigilanza si intendono "legittimi ed efficaci", in quanto "finalizzati ad assicurare l’equilibrio finanziario di lungo termine".

L’assicurato sostiene, invece, che la disposizione non ha natura interpretativa, ma innovativa, in quanto essa introduce nella norma oggetto di interpretazione una condizione di legittimità, costituita dalla finalizzazione alla stabilità di lungo termine. Sarebbe indebitamente utilizzato lo strumento dell’interpretazione autentica al fine di sanare tutte le delibere adottate dagli enti di previdenza privatizzati dal 1995 in poi, con indebita ingerenza del legislatore nell’amministrazione della giustizia, in mancanza degli "impellenti motivi di interesse generale", che, secondo la giurisprudenza della Corte europea del diritti dell’uomo, soli legittimano interventi di questo genere.

13. Al riguardo la giurisprudenza della Sezione Lavoro non è pervenuta a posizioni univoche.

13.1. La sentenza 12.08.14 n. 17892, con riferimento a trattamento pensionistico avente decorrenza precedente al 1° gennaio 2007, ha rilevato che la norma dell’art. 1, c. 488, della legge n. 147 del 2013 non ha natura retroattiva, anche se formulata in termini di interpretazione autentica, per l’esigenza di "tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti motivi imperativi di interesse generale, ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU)" (sentenza Corte cost. 5.04.12 n. 78). Il divieto di retroattività (art. 11 preleggi), pur non ricevendo nell’ordinamento la tutela di cui all’art. 25 Cost., costituisce valore fondamentale, di modo che la norma retroattiva se non correttamente adottata, lede il canone generale della ragionevolezza della legge (art. 3 Cost.).

La Corte europea dei diritti dell'uomo, inoltre, ha più volte affermato che se, in linea di principio, nulla vieta in materia civile al potere legislativo di regolamentare con nuove disposizioni dalla portata retroattiva i diritti risultanti da leggi in vigore, il principio della preminenza del diritto e il concetto di processo equo sanciti dall’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ostano all’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia, ove tale ingerenza si traduca in un condizionamento dell’esito di una controversia, salvo che l’intervento non sia dettato da imperative ragioni di interesse generale. Tale interpretazione assume rilievo nell’ordinamento nazionale, dopo che la Corte costituzionale con le sentenze 24.10.07 n. 348 e 349 ha sancito la valenza di parametro interposto delle norme della Convenzione per il sindacato di costituzionalità della normativa interna.

La sentenza n. 17892 del 2014 fonda, in sostanza, la sua convinzione sui plurimi richiami della giurisprudenza costituzionale circa i limiti del concetto di "interpretazione autentica" (desumibili dalle sentenze della Corte cost. 21.10.11 n. 271, 30.09.11 n. 257 30.01.09 n. 24, 26.11.09 n. 311). I requisiti ivi enunziati non si riscontrerebbero nella disposizione dell’art. 1, c. 488 della l. 27.12.13 n. 147, "ove è riconosciuta legittimità ed efficacia, con effetto retroattivo ed a distanza di oltre dieci anni, con relativo vulnus alla certezza del diritto, a delibere peggiorative di una sola categoria di assicurati (già pensionati), in contrasto con quanto affermato dal giudice delle leggi circa il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento; con la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; con la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico; con il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario". Difetterebbe una situazione di oggettiva incertezza del dato normativo, "sussistendo in materia un ampio, e da tempo consolidato, univoco orientamento di legittimità, in senso peraltro opposto a quello della novella in esame".

La norma della legge finanziaria 2014 non esprimerebbe, dunque, una soluzione ermeneutica rientrante tra i significati ascrivibili all’art. 1, c. 763, della legge n. 296 del 2006, ma, senza giustificazione, innoverebbe rispetto al testo previgente, violando il divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento e ponendosi in contrasto con il principio della tutela dell'affidamento sorto nei soggetti assicurati, in assenza di motivi imperativi di interesse generale costituzionalmente rilevanti.

In forza di tali articolati riferimenti giurisprudenziali e normativi definitiva, la sentenza 17892 del 2014 esclude il carattere retroattivo della disposizione del più volte richiamato art. 1, c. 488 e ne afferma l’efficacia solo per il periodo successivo all’entrata in vigore della l. 27.12.13 n. 147.

13.2. Tuttavia, con la di poco successiva sentenza 13.11.14 n. 24221 la Sezione Lavoro, con riferimento a prestazione maturata successivamente al 1° gennaio 2007, ravvisa nella disposizione del c. 488 una effettiva norma di interpretazione autentica, indirizzata a regolare la validità degli atti e delle deliberazioni adottati dagli enti privatizzati gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza.

La Corte rileva che dopo l’entrata in vigore della riforma pensionistica del 1995 e fino al 1° gennaio 2007 il parametro di validità delle delibere della CNPR è stato costituito dall’art. 3, c. 12, della l. 8.08.95 n. 335, che assicurava l’equilibrio di bilancio e la stabilità delle rispettive gestioni nel lungo periodo, nel rispetto del principio del pro rata insorto adottati dagli enti medesimi provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti").

Come già accennato, la giurisprudenza ha ritenuto che il principio del pro rata ha carattere generale e trova applicazione anche in riferimento alle modifiche in peius delle modalità di calcolo della quota retributiva della pensione e non solamente alla salvaguardia ratione temporis del criterio retributivo rispetto al contributivo introdotto dalla normativa regolamentare della Cassa. "Pertanto, anche per le modifiche regolamentari adottare dalla CNRP con le delibere 22.06.02, 7.06.03 e 20.12.03, si applica il principio del pro rata e trova applicazione il previgente più favorevole criterio di calcolo (la media di 15 redditi professionali annuali più elevati nell'arco di 20 anni di contribuzione anteriori a quello di maturazione del diritto a pensione), e non già la media dei redditi degli ultimi 24 anni" (tra le tante, v. Cass. 18.04.11 n. 8847, 30.07.12 n. 13607, 30.07.12 n. 13613 e 13614, 14.02.14 n. 3514).

Dal 1° gennaio 2007, entrato in vigore l’art. 1, c. 763, della l. 27.12.06 n. 296, il parametro è mutato, passandosi dal rigoroso rispetto del pro rata ad una operatività attenuata dello stesso principio ("avendo presente il principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti e comunque tenuto conto dei criteri di gradualità e di equità fra generazioni).

La sentenza n. 24221 del 2014 rileva che compito dell’interprete è quello di inquadrare l’intervento interpretativo nella cornice dei principi desumibili dalla giurisprudenza della Corte EDU in tema di applicazione del giusto processo (articolo 6 CEDU), che in base alla nota e già menzionata giurisprudenza della Corte costituzionale sono direttamente rilevanti nell’ordinamento nazionale. Essa ritiene, tuttavia, che l’interprete non può spingersi al punto di negare ogni applicazione retroattiva allo ius superveniens, in quanto così facendo il giudice cadrebbe in una petizione di principio: affermando incondizionatamente il canone del giusto processo finirebbe per assegnare contorni sempre più limitati alla norma interpretativa. Il vigente sistema costituzionale, invece, impone che, scartata la configurazione della norma ritenuta in contrasto con il principio dell’equo processo, lo stesso giudice non possa limitarsi ad una interpretazione della norma nel senso di escluderne in modo puro e semplice il carattere interpretativo, ma debba enunziarne un’altra che non violi il principio in questione, salvo, in caso di esito negativo della ricerca, sollevare questione di legittimità dinanzi alla Corte costituzionale per violazione dell’art. 117 Cost. e della disposizione della Convenzione (norma interposta).

Mentre Cass. n. 17892, avente ad oggetto fattispecie di pensione maturata in data anteriore al 1°.01.07, aveva ritenuto che il c. 488 dell’art. 1 della legge n. 147 del 2013 intervenisse tanto sul primo parametro di validità della regolamentazione della CNPR (rispetto assoluto del pro rata, in forza della originaria formulazione dell’art. 3, c. 12, della l. 335), quanto sul secondo (applicazione attenuata dello stesso principio, ai sensi della formulazione del c. 12 introdotta dall’art. 1, c. 768, della legge n. 296), Cass. n. 24221 ritiene che lo stesso c. 488 intervenga solo sul secondo ed abbia quindi una più ridotta portata applicativa. Il legislatore del 2013, secondo questa opzione interpretativa, interviene per puntellare la stabilità finanziaria della riforma previdenziale, e lo fa senza influire sulla portata del pro rata contenuta nell’originaria formulazione dell’art. 3, c. 12, della legge 335, bensì esplicitando la portata che ha la formulazione successiva, introdotta dall’art. 1, c. 763, della legge 296, ed incidente solo sulle fattispecie pensionistiche decorrenti da data successive al 1° gennaio 2007.

In sostanza la norma interpretativa del 2013 interviene su un punto rimasto in ombra dopo la riforma del 2006, e cioè quale fosse la sorte delle deliberazioni adottate dagli enti privatizzati prima del 1° gennaio 2007 e ritenute illegittime dalla giurisprudenza perché adottate in violazione del principio del pro rata con riferimento alle pensioni maturate prima di quella data. Il c. 488 interviene su questo punto e precisa che la legittimità di quelle stesse delibere, con riferimento alle fattispecie pensionistiche maturate dopo il 1° gennaio 2007 (data di entrata in vigore del "nuovo" art. 3, c. 12), va valutata alla luce del nuovo parametro costituito dall’art. 1, c. 763 della l. 296, ovvero alla luce della già rilevata garanzia "attenuata" del pro rata.

Con riferimento alle deliberazioni della CNRP, pertanto, il legislatore a partire dal 1° gennaio 2007 fa proprio il criterio adottato dalla Cassa per regolare il trattamento pensionistico di chi, essendo andato in pensione non prima di quella data, aveva una posizione previdenziale maturata in buona parte nel vigore del precedente sistema.

14. Il Collegio delle Sezioni unite ritiene di dover condividere l’opzione interpretativa adottata dalla sentenza 13.11.14 n. 24221, per le ragioni che di seguito vengono esposte.

14.1. L’art. 117, c. 1, Cost., per il quale "la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali" può ritenersi operativo solo se viene determinato il contenuto degli obblighi che vincolano detta potestà, i quali assumono la funzione di fonte interposta, ponendosi in posizione intermedia tra la Costituzione e la legge ordinaria. Tra gli obblighi internazionali assunti dall'Italia con la sottoscrizione e la ratifica della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) rientra quello di adeguare la propria legislazione alle norme di quel trattato (v. le sentenze Corte cost. 24.10.07 n. 348 e 349).

Pur essendo l'applicazione e l'interpretazione delle norme della Convenzione attribuite ai giudici degli Stati membri, la uniformità di applicazione è garantita dall’interpretazione alle norme stesse data dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, cui spetta la parola ultima e definitiva circa l'interpretazione e l'applicazione della Convenzione e dei suoi protocolli. Compito del giudice comune è quello di "interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle norme. Qualora ciò non sia possibile, ovvero [il giudice] dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale «interposta», deve proporre la relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117, c. 1, Cost. In tal caso, la Corte costituzionale, deve accertare la sussistenza del denunciato contrasto e, in caso affermativo, verificare se le stesse norme CEDU, nell'interpretazione data dalla Corte di Strasburgo, garantiscono una tutela dei diritti fondamentali almeno equivalente al livello garantito dalla Costituzione italiana, senza che ciò comporti un sindacato sull'interpretazione della norma CEDU operata dalla Corte di Strasburgo, ma solo verificando la compatibilità della norma, nell'interpretazione del giudice cui tale compito è stato espressamente attribuito dagli Stati membri, con le pertinenti norme della Costituzione, così risultando realizzato un corretto bilanciamento tra l'esigenza di garantire il rispetto degli obblighi internazionali voluto dalla Costituzione e quella di evitare che ciò possa comportare per altro verso un vulnus alla Costituzione stessa" (Corte cost. 24.10.07 n. 349).

Coerentemente a tale principio Cass. 24221 del 2014 rileva che il canone dell’interpretazione adeguatrice impone che, scartata l’interpretazione della disposizione nazionale contrastante con le norme della Convenzione, il giudice deve verificare se esiste una interpretazione che non si ponga in contrasto con quelle norme, salvo, nel caso di inesistenza di interpretazione compatibile, sollevare questione di costituzionalità.

Questo ulteriore passaggio interpretativo, mancante in Cass. 17892, è stato sviluppato dalla successiva Cass. 24221, la quale, in forza di tale necessario approfondimento, è pervenuta alla conclusione sopra sintetizzata (v. par. 13, in conclusione), secondo la quale la norma dell’art. 1, c. 488, della legge n. 147 del 2013, lungi dal porsi in contrasto con i principi enunziati dalla Corte EDU, assume una ben determinata fisionomia interpretativa nella vicenda della riforma della previdenza gestita dagli enti privatizzati.

14.2. Nel caso di specie (ovvero per le pensioni CNRP maturate successivamente al 1° gennaio 2007), esisteva, prima dell’intervento della disposizione di interpretazione autentica del c. 488, l’oggettiva incertezza circa l’effettivo tenore della disposizione contenuta nell’ultimo periodo dell’art. 1, c. 763, della legge n. 296 del 2006, per la quale "Sono fatti salvi gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al presente comma [ovvero degli enti di cui al d.lgs. 30 giugno 1994, n. 509] ed approvati dai Ministeri vigilanti prima data di entrata in vigore della presente legge".

La Corte costituzionale fu investita della questione di conformità agli artt. 3, 4, 24 e 48 Cost. di quest’ultima disposizione nella parte in cui fa salvi atti e deliberazioni adottati dagli enti previdenziali ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della sua entrata in vigore, determinando così, secondo i giudici che sollevavano la questione, la sanatoria della delibera del 22 giugno 2002 la cui legittimità era oggetto di controversia nel giudizio a quo. La Corte, ribadendo che le leggi non violano la Costituzione se esiste la possibilità di dare loro un significato che le renda compatibili con i precetti costituzionali, ritenne inammissibile la questione, rilevando che essa era diretta non a dirimere un dubbio di legittimità costituzionale, ma ad accreditare una specifica interpretazione, "in presenza, invece, di un diverso orientamento della prevalente giurisprudenza di merito" (Corte cost. ord. 30.04.08 n. 124 e 12.01.11 n. 15).

Analoga inammissibilità la Corte costituzionale rilevò in un caso in cui il giudice rimettente si era limitato ad interpretare la disposizione nel senso di una sanatoria delle precedenti deliberazioni adottate in violazione in violazione del principio del pro rata, senza esplorare altre, pur possibili, interpretazioni della disposizione censurata, o, quantomeno, senza evidenziare le ragioni per le quali non aveva ritenuto inaccoglibili tali interpretazioni alternative, suscettibili di eliminare il dubbio in radice, quale quella secondo cui "gli atti e provvedimenti adottati dagli enti prima dell'entrata in vigore della modifica dell’art. 3, c. 12, della legge n. 335 del 1995 rimangono efficaci e la loro legittimità dovrà essere vagliata alla luce del vecchio testo per i pensionamenti attuati entro il 2006 (poiché quella è la norma vigente in tale periodo) ed alla luce del nuovo testo per i pensionamenti successivi, con esiti che potranno essere diversi" (Corte cost. 23.10.09 n. 263).

La giurisprudenza di legittimità, una volta consolidatasi con riferimento al regime originario dell’art. 3, c. 12, della legge n. 335, prima delle modifiche apportate dall’art. 1, c. 763, delle legge n. 296 del 2006 (v. par. n. 10), cogliendo tali segnali, affrontò il problema del significato del secondo periodo del comma 763, cogliendone l’intrinseca dimensione funzionale (v. par. n. 11), senza peraltro procedere ad una esauriente e definitiva disamina. La sentenza n. 24221 del 2014 affronta questa problematica ex professo e, per la necessità di collocare nella giusta dimensione la norma interpretativa del 2013, sviluppa gli spunti in precedenza solo sommariamente accennati, giungendo alla conclusione che l’ambiguità intrinseca della disposizione del c. 763, che impone alle Casse di "tenere conto" del principio del pro rata rispetto a quella originaria "ha giustificato un intervento chiarificatore del legislatore che assegnando ex lege alle delibere già adottate dall’ente prima della legge finanziaria per il 2007 il crisma della legittimità ed efficacia ne ha in sostanza elevato il rango della fonte da regolamentare (e quindi subprimaria) a primaria". "Il legislatore", prosegue la pronunzia, "ha fatto proprio, a partire dalla data di entrata in vigore della legge finanziaria per il 2007, il criterio disegnato dalla Cassa nelle sue precedenti delibere per regolare il trattamento pensionistico di chi, essendo andato in quiescenza dopo (o meglio, non prima di) tale data, aveva una posizione previdenziale maturata nel precedente più favorevole criterio retributivo rispetto al nuovo meno favorevole criterio contributivo".

14.3. In definitiva, dunque, esisteva una oggettiva ambiguità della disposizione del secondo periodo dell’art. 1, c. 763, della legge n. 296 del 2006, che giustifica l’intervento di interpretazione autentica. La norma contenuta nel comma 488 ha, dunque, una sua intrinseca funzione di chiarificazione del dettato normativo e non viola i canoni desumibili dal dettato costituzionale e dalla Convenzione dei diritti dell’uomo che legittimano l’intervento interpretativo del legislatore.

Tale chiarificazione non ha, però, il contenuto preteso dalla difesa della CNPR di rendere efficaci e legittime indistintamente tutte le delibere adottate dal Comitato dei delegati (ed in special modo quelle del 22.06.02, del 7.06.03 e del 20.12.03, applicabili al caso di specie), né (ha) la sostanziale inutilità sostenuta dal ricorrente derivante dalla pretesa (e rivelatasi inesistente) violazione della norma CEDU, ma attiene alla specifica determinazione del contenuto del principio del pro rata rilevante, in relazione al momento della maturazione del diritto a pensione, prima e dopo l’entrata in vigore della legge 27.12.06 n. 296.

15. La difesa dell’assicurato, con la memoria depositata in vista dell’odierna discussione, contesta tale impostazione sotto due punti di vista, sostenendo che: a) dai lavori parlamentari che portarono all’approvazione della l. 27.12.13 n. 147 emergerebbe che obiettivo dichiarato del legislatore con l’adozione del menzionato comma 488 era esclusivamente quello di contenere la spesa pensionistica, il che escluderebbe in nuce il carattere interpretativo della disposizione; b) la interpretazione qui accolta si porrebbe comunque in contrasto con due disposizioni della Convenzione EDU, diverse da quelle dell’art. 6 sopra esaminato, e cioè con l’art. 1 del protocollo addizionale n. 1 (Protezione della proprietà) e con l’art. 14 della Convenzione stessa (Divieto di discriminazione).

15.1. Quanto alla prima questione deve rilevarsi che la disposizione in questione trova origine nell’art. 12, c. 5, del disegno di legge n. 1120/XVII (intitolato a "disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato — Legge di stabilità 2014") presentato dal Governo al Senato il 21.10.13. Il testo di detto art. 12, c. 5, era formulato in termini identici a quello poi divenuto legge, ed era descritto dalla relazione di accompagnamento, con prosa alquanto tautologica, nel senso che "il comma 5 contiene una disposizione di interpretazione autentica dell’ultimo periodo dell’art. 1, c. 763, della l. 27.12.06 n. 296, chiarendo che gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al medesimo comma 763 ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della legge n. 296 del 2006, si intendono legittimi ed efficaci a condizione che siano finalizzati ad assicurare l’equilibrio finanziario di lungo termine". Nonostante il travagliato iter parlamentare del disegno di legge contenitore (approvato al Senato, il d.d.l. passò alla Camera con il n. 1865/XVII e, approvato con modificazioni, tornò di nuovo al Senato per l’approvazione definitiva), la disposizione in questione rimase immutata e fu trasfusa, così come originariamente formulata, nel c. 488 dell’art. 1 della l. 27.12.13 n. 147.

Non è qui il caso di affrontare il problema del valore che gli atti parlamentari possono assumere ai fini dell’attività interpretativa del giudice. Tuttavia, deve rilevarsi che la "relazione", da cui parte ricorrente intende trarre elementi per dar corpo alla sua tesi di esclusione della natura interpretativa del c. 488, non è altro che il dossier n. 95, predisposto in data 2.12.13 dal Servizio Studi della Camera dei Deputati per illustrare il contenuto del disegno di legge e per dare ai parlamentari impegnati nella discussione tutti i necessari elementi di conoscenza. A prescindere dal suo contenuto, deve rilevarsi che trattasi di un atto formato da un organo ausiliare dell’Assemblea legislativa, come tale estraneo al procedimento di formazione della legge, le cui conclusioni sono frutto di libere valutazioni che non rappresentano in nulla la volontà del legislatore (v. Cass. 25.06.08 n. 21692, in motivazione).

15.2. Il richiamo ai lavori parlamentari e la circostanza che nell’originaria struttura del disegno di legge l’odierno c. 488 fosse collocato al c. 5 dell’art. 12, rubricato alla "razionalizzazione" della spesa previdenziale, assieme ad altre disposizioni concernenti il mantenimento dell’equilibrio del sistema pensionistico è, invece, utile a rappresentare la motivazione dell’intervento interpretativo, che lungi dal perseguire un puro e semplice risparmio monetario, rientra in un più ampio disegno di riassetto del settore, conformemente agli obiettivi della riforma della previdenza.

15.3. L’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20.03.52, statuisce che "1. Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale. 2. Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l'uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende".

La giurisprudenza della Corte di Strasburgo ritiene che il privato può dedurre la violazione di tale norma solo quando le decisioni che contesta sono relative ai suoi "beni", per tali intendendosi i "beni esistenti o valori patrimoniali, ivi compresi, in determinati casi ben definiti, i crediti" (v. sentenza Silverfunghi c. Italia del 24.06.14, par. 98, ric. n. 48357/07 ed altri). La stessa Corte ritiene che il credito può essere considerato un "valore patrimoniale", rientrante nel campo di applicazione di detto art. 1, "quando l’avente diritto dimostri che la sua pretesa ha un sufficiente fondamento nel diritto interno, per esempio, che esso sia confermato da una consolidata giurisprudenza dei tribunali interni. Una volta che ciò sia dimostrato, può entrare in gioco il concetto di aspettativa legittimo" (v. sentenza Maurice c. Francia del 21.6.06, par. 63, ric. n. 11810/03). Solo in questi casi l’intervento del legislatore, pur legittimo, può dar luogo a violazione della disposizione in esame.

Nel caso di specie manca proprio il requisito da ultimo indicato, e cioè la "consolidata giurisprudenza favorevole" al richiedente, e, comunque, una sua ragionevole aspettativa di diritto. Il M., che è risultato soccombente sia in primo che in secondo grado, infatti, ha maturato il diritto alla pensione il 1°.06.08, successivamente all’intervento della l. 27.12.06 n. 296, in un periodo in relazione al quale, per le ragioni superiormente illustrate, i limiti del pro rata non erano stati esplorati, essendo la giurisprudenza di legittimità attestata su una casistica relativa a prestazioni il cui diritto era maturato in data antecedente al 1° gennaio 2007. La casistica concernente le posizioni simili a quelle del M. sono state, invece, affrontate ex professo della Corte di cassazione solamente dopo l’entrata in vigore della disposizione di interpretazione autentica contenuta nel c. 488 dell’art. 1 della l. 27.12.13 n. 147.

L’intervento del legislatore non ha, pertanto, frustrato alcuna aspettativa, di modo che è superfluo verificare l’esistenza degli ulteriori requisiti cui è subordinata l’applicazione del protocollo addizionale.

15.4. Il ricorrente ritiene che l’interpretazione del c. 763 della l. 27.12.06 n. 296 accolta dalla sentenza n. 24221 del 2014, cui la presente sentenza dà seguito, darebbe luogo ad una discriminazione tra gli assicurati CNPR, a seconda che abbiano raggiunto i requisiti per la pensione prima o dopo il 1° gennaio 2007, in quanto nel caso di raggiungimento successivo i pensionati perderebbero il diritto a conservare il maturato economico e giuridico già conseguito, a tutto vantaggio di coloro che hanno conseguito il diritto a pensione entro il 21.12.06, i quali, a parità di anzianità di iscrizione e di contributi versati ed in base alle stesse delibere attuative della Cassa, otterrebbero un trattamento più favorevole. Le due disposizioni delle leggi n. 296 del 2006 e 147 del 2013 violerebbero, pertanto, le disposizioni della Costituzione nazionale che assicurano l’eguaglianza tra i cittadini ed il diritto di ognuno all’assistenza sociale, nonché quelle dell’art. 14 della CEDU (che sancisce il divieto di discriminazione), dal che si fa derivare la richiesta di sollevare questione di legittimità dinanzi alla Corte costituzionale.

La mancanza di approfondimento e di discussione delle questioni di costituzionalità impedisce al Collegio di conoscere quali siano i presupposti giuridici che, secondo il ricorrente, imporrebbero il rinvio alla Corte costituzionale. Valga qui rilevare che la censurata interpretazione dà luogo ad una disciplina normativa che, pur affermando un criterio di liquidazione della prestazione assicurativa meno favorevole per coloro che hanno acquisito i requisiti per la pensione dopo il 1° gennaio 2007, non è fonte di disparità di trattamento o discriminazione essendo caratterizzata da intrinseca ragionevolezza (a proposito della irrazionalità quale fonte di illegittimità costituzionale della disposizione legislative v., tra le altre, Corte cost. 14.07.09 n. 214). Le disposizioni delle leggi n. 296 del 2006 e 147 del 2013, nell’interpretazione contestata dall’odierno ricorrente trovano, infatti, una loro precisa giustificazione nell’attuazione della riforma previdenziale introdotta dalla l. 8.08.95 n. 335 e nella successiva disciplina correttiva e danno, pertanto, luogo ad una coerente modifica delle modalità di godimento della prestazione.

La mancanza di irragionevolezza è parimenti il carattere che, secondo la giurisprudenza della Corte EDU, esclude di carattere della discriminazione ai sensi dell’art. 14 della Convenzione, per il quale "il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sodale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nasata od ogni altra condizione". La Corte della Convenzione, proprio pronunziando a proposito delle conseguenze delle riforme normative in materia di previdenza ed assistenza, di cui le parti ricorrenti allegavano il contenuto discriminatorio ritenendosi escluse o comunque destinatarie di un minor livello di protezione, ha infatti ritenuto che, ai fini di detto art. 14, "la differenza di trattamento ha carattere discriminatorio se non ha uno scopo ed una ragionevole giustificazione; ovvero se non persegue uno scopo legittimo o se non esiste un ragionevole rapporto proporzionale tra gli strumenti adottati e l’obiettivo da raggiungere". In questo ambito, detta giurisprudenza riconosce agli Stati che hanno aderito alla Convenzione un margine specifico di apprezzamento nella adozione delle misure da adottare (v., tra le altre, la sentenza 21.02.97 Van Raalte c. Olanda, par. 39, e la sentenza 12.04.06 Stec ed altri c. Regno unito, par. 51).

Il fatto che tutte le considerazioni sopra effettuate depongano nel senso di una razionalità intrinseca delle disposizioni della legge n. 296 del 2007 (ndr legge n. 296 del 2006) e 147 del 2013 oggi in esame, evidenziano la sostanziale convergenza della Corte costituzionale e della Corte EDU nel senso dell’esclusione del paventato carattere discriminatorio, il che rende del tutto superflua ogni ulteriore indagine.

16. In conclusione, all’esito della presente disamina, possono affermarsi i principi di diritto che seguono:

"A) Nel regime dettato dalla l. 8.08.95 n. 335, art. 1, c. 12 (di riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), prima delle modifiche apportare dalla l. 27.12.06 n. 296 (legge finanziaria 2007), art. 1, c. 763, alla disposizione dell’art. 3, c. 12 della legge di riforma, e quindi con riferimento alle prestazioni pensionistiche maturate prima del 1° gennaio 2007, la garanzia costituita dal principio c.d. del pro rata - il cui rispetto è prescritto per gli enti previdenziali privatizzati ex d.lgs. 30.06.94 n. 509, quale è la Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali, nei provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico, in termini peggiorativi per gli assicurati, in modo che siano salvaguardate le anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti - ha carattere generale e trova applicazione anche in riferimento alle modifiche in peius dei criteri di calcolo della quota retributiva della pensione e non già unicamente con riguardo alla salvaguardia, ratione temporis, del criterio retributivo rispetto al criterio contributivo introdotto dalla normativa regolamentare degli enti suddetti. Pertanto con riferimento alle modifiche regolamentari adottate dalla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali (delibere 22.06.02, 7.06.03 e 20.12.03), che, nel complesso, hanno introdotto il criterio contributivo distinguendo, per gli assicurati al momento della modifica regolamentare, la quota A di pensione, calcolata con il criterio retributivo, e la quota B, calcolata con il criterio contributivo, opera - per il calcolo della quota A dei trattamenti pensionistici liquidati fino al 31 dicembre 2006 - il principio del pro rata e quindi trova applicazione il previgente più favorevole criterio di calcolo della pensione.

B) Invece per i trattamenti pensionistici maturati a partire dal 1° gennaio 2007 trova applicazione il medesimo art. 3, comma 12, della l. n. 335 del 1995, ma nella formulazione introdotta dal citato L. n. 296 del 2006, art. 1, c. 763, che prevede che gli enti previdenziali suddetti emettano i provvedimenti necessari per la salvaguardia dell’equilibrio finanziario di lungo termine, "avendo presente" - e non più rispettando in modo assoluto - il principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti e comunque tenendo conto dei criteri di gradualità e di equità fra generazioni, con espressa salvezza degli atti e delle deliberazioni in materia previdenziale già adottati dagli enti medesimi ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della legge n. 296 del 2006. Tali atti e deliberazioni, in ragione della disposizione qualificata di interpretazione autentica recata dalla l. 27.12.13 n. 147, art. 1, c. 488 (disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge di stabilità 2014), si intendono legittimi ed efficaci a condizione che siano finalizzati ad assicurare l’equilibrio finanziario di lungo termine. Consegue che è legittima la liquidazione dei trattamenti pensionistici fatta dalla Cassa con decorrenza del 1° gennaio 2007 nel rispetto della citata normativa regolamentare interna (delibere 22.06.02, 7.06.03 e 20.11.03)".

17. In attuazione di questi principi, essendo il diritto maturato in data 1° giugno 2008, la pensione dell’assicurato M., odierno ricorrente, deve essere liquidata sulla base delle delibere CNRP da ultimo richiamate. Essendo il giudice di merito pervenuto alla stessa conclusione, il ricorso deve essere rigettato e la sentenza impugnata, con le integrazioni desumibili dalla motivazione che precede, deve essere confermata.

18. In ragione dell’incertezza della giurisprudenza e dei dubbi interpretativi sottoposti a queste Sezioni unite, sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Pronunziando a Sezioni unite, rigetta il ricorso, compensando tra le parti le spese del giudizio di legittimità.