Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 13 ottobre 2015, n. 41072

Reati fiscali - Omessa dichiarazione - Amministratore srl - Sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente - Richiesta del sequestro da parte del procuratore - Assenza di accertamento - Motivazione - Applicabilità della misura cautelare - Condizioni

 

 

Ritenuto in fatto

 

1. Il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli Nord ricorre per cassazione impugnando l'ordinanza indicata in epigrafe con la quale il tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha annullato il decreto di sequestro preventivo emesso dal gip presso il tribunale di Napoli Nord in relazione al delitto di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 10 marzo 2000 numero 74.

2. Per la cassazione dell'impugnata ordinanza il ricorrente ha articolato un unico motivo di gravame, con il quale deduce la violazione di legge per carenza assoluta di motivazione affermando che l'ordinanza impugnata è stata emessa con una motivazione apparente in relazione al secondo punto del ricorso presentato dalla difesa, atteso che il tribunale aveva disposto la restituzione dei beni sul presupposto che condizione essenziale per procedere al sequestro finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti dell'amministratore della persona giuridica fosse l'impossibilità anche "transitoria e reversibile", di poter apprendere il profitto diretto (o il frutto del reinvestimento dello stesso) tra i beni nella disponibilità della N. sarl, percettrice del vantaggio fiscale e quindi del diretto profitto del reato.

Di tale accertamento non vi sarebbe traccia né nel provvedimento di sequestro e neppure nella richiesta di sequestro del pubblico ministero e negli atti processuali.

Il tribunale cautelare avrebbe tuttavia omesso di considerare che nel caso di specie il profitto del reato contestato al G. e al F. ed ai loro complici consisteva nell'omesso versamento delle suindicate somme ai fini dell'Iva e quindi in un risparmio di spesa per la società in parola, non integrante una res economicamente valutabile, materialmente entrata, incrementandolo, nel patrimonio della società e/o dalla medesima conseguita a seguito, in occasione e/o a causa della perpetrazione delle condotte delittuose per cui si procede, di guisa che l'accusa non doveva accertare alcunché al riguardo mentre la parte, onde evitare l'apprensione dei beni propri in luogo di quelli societari, avrebbe dovuto fornire la prova (quasi del tutto impossibile, attesa la fungibilità del denaro) che quelle somme - proprio quelle somme relative all'imposta evasa - fossero ancora individuabili nelle casse sociali, onde consentire l'aggressione diretta con relativa applicazione della misura ablatoria reale.

Secondo il ricorrente, peraltro, una diversa interpretazione - allorquando si versi, come nella specie, in ipotesi di fatti reato dalla cui condotta illecita non derivi un positivo incremento economicamente valutabile del patrimonio da aggredire - renderebbe di fatto inapplicabile la normativa di cui all'articolo 1, comma 147, legge 27 dicembre 2007, numero 244.

3. Gli interessati hanno presentato memoria con la quale, allegando documentazione, chiedono il rigetto del ricorso.

 

Considerato in diritto

 

1. Il ricorso è infondato.

2. Il tribunale del riesame, nell'annullare il decreto di sequestro preventivo impugnato, si è attenuto alla giurisprudenza di questa Corte (S.U. n. 10561 del 30/01/2014, G., Rv. 258648), osservando che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente è legittimo solo quando il reperimento dei beni costituenti il profitto del reato sia impossibile, seppure transitoriamente, ovvero quando detti beni non siano aggredibili per qualsiasi ragione.

Il tribunale ha anche chiarito che, in materia cautelare, non è possibile pretendere la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto di reato giacché, durante il tempo necessario per l'espletamento di tale ricerca, potrebbero essere occultati gli altri beni suscettibili di confisca per equivalente, così vanificando ogni esigenza di cautela. Infatti, quando il sequestro interviene in una fase iniziale del procedimento, non è, di solito, ancora possibile stabilire se sia possibile o meno la confisca dei beni che costituiscono il prezzo o il profitto di reato, previa la loro certa individuazione.

E' perciò legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente anche quando l'impossibilità del reperimento del profitto diretto sia solo tanto transitoria e reversibile, purché sussistente al momento della richiesta e dell'adozione della misura.

Del resto, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca, ex articolo 322 ter codice penale, del profitto del reato può essere disposto anche solo parzialmente nella forma per equivalente, qualora non tutti i beni costituenti l'utilità economica tratta dalla attività illecita risultino individuabili. D'altra parte, il sequestro "diretto" può pacificamente essere effettuato anche nei confronti della società che ha percepito il profitto del reato anche su beni che possono configurarsi come reinvestimento del profitto stesso.

Da ciò consegue che nel caso di specie condizione essenziale per poter procedere al sequestro finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli amministratori della società sarebbe stata l'impossibilità, anche "transitoria e reversibile", di poter apprendere il profitto "diretto" tra i beni nella disponibilità della N., percettrice del vantaggio fiscale e quindi di detto profitto "diretto" del reato.

Il tribunale del riesame ha quindi conclusivamente osservato che di tale accertamento non vi era traccia non solo nel provvedimento di sequestro ma neppure nella richiesta di sequestro da parte del pubblico ministero e negli atti processuali.

3. Precisato che, con il petitum cautelare, è stato testualmente chiesto al giudice di "disporre il sequestro preventivo di denaro ovvero dei beni (immobili, mobili e immobili registrati) nella disponibilità" dei ricorrenti.

Né il pubblico ministero e neppure il giudice della cautela hanno tuttavia dato atto dell'impossibilità, fosse anche transitoria, di procedere al cosiddetto sequestro diretto o in forma specifica.

L'impossibilità di procedere al sequestro diretto non è stata neppure allegata dal pubblico ministero ricorrente come fatto processuale desumibile dagli atti ed anzi il ricorrente stesso, sull'erroneo presupposto che il denaro eventualmente depositato presso le casse sociali non potesse essere oggetto di un sequestro in forma specifica, ha dedotto che l'unica forma di sequestro adottabile fosse quella "per equivalente" nei confronti degli autori del reato non essendo ammissibile il sequestro di valore nei confronti della società.

Invece l'impossibilità del reperimento e del sequestro in forma specifica dei profitti illeciti condiziona l'adozione di un provvedimento di sequestro preventivo in funzione della futura confisca per equivalente, derivando tale condizionamento dalla lettera della legge perché l'art. 322 ter cod. pen. stabilisce che è ordinata la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a quello del profitto del reato, ma solo quando non sia possibile la confisca dei beni che costituiscono il profitto diretto del reato stesso.

Tale impossibilità, come hanno confermato le Sezioni Unite G., non deve necessariamente essere assoluta e definitiva, ma può riguardare anche un’impossibilità transitoria o reversibile, purché esistente nel momento in cui la misura cautelare reale viene richiesta e disposta, con la conseguenza che la possibile precarietà di tale circostanza di fatto condiziona anche l'onere di motivazione del provvedimento cautelare, che va limitato al richiamo della sia pur momentanea indisponibilità del bene, senza che sia necessario dare dettagliatamente conto delle attività volte alla ricerca dell'originario prodotto o profitto del reato (Sez. 2, n. 19662 del 17/04/2007, D ed altro, Rv. 236592).

D'altra parte, come è stato confermato dalle Sezioni Unite G. e prima ancora affermato dalla sentenza D., se l’adozione della cautela fosse condizionata alla completa esecuzione di tali ricerche, la funzione cautelare del sequestro potrebbe essere facilmente elusa durante il tempo occorrente per il loro compimento, di talché deve ammettersi che, ai limitati fini della cognizione sommaria, l'indicazione d'irreperibilità del profitto o prodotto del reato deve possedere un limitato grado di specificità, coerente con lo stadio più o meno embrionale nel quale si trova il procedimento.

Da ciò deriva che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente è legittimo solo quando il reperimento dei beni costituenti il profitto del reato sia impossibile, ovvero quando gli stessi non siano aggredibili, e la motivazione che lo dispone dia conto di tale impossibilità.

Quindi, da un lato, non è necessario un vero e proprio accertamento quale presupposto della richiesta cautelare di un sequestro preventivo per equivalente e, dall'altro, il pubblico ministero non ha una libera scelta tra il sequestro diretto e quello per equivalente ma, sulla base del compendio indiziario emergente dagli atti processuali, può chiedere al giudice il sequestro preventivo nella forma per "equivalente", invece che in quella "diretta", all'esito di una valutazione allo stato degli atti in ordine alle risultanze relative al patrimonio dell'ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato, non essendo invece necessario il compimento di specifici ed ulteriori accertamenti preliminari per rinvenire il prezzo o il profitto nelle casse della società o per ricercare in forma generalizzata i beni che ne costituiscono la trasformazione, incombendo, invece, al soggetto destinatario del provvedimento cautelare l'onere di dimostrare la sussistenza dei presupposti per disporre il sequestro in forma diretta (Sez. 3, n. 1738 del 11/11/2014, dep. 15/01/2015, B., Rv. 261929).

Nel caso di specie, il pubblico ministero ha erroneamente ritenuto insuscettibili di sequestro le somme di denaro giacenti presso la società omettendo di considerare che, nel caso in cui il profitto di un reato sia rappresentato da denaro o altre cose fungibili, la confisca delle somme o del "tantundem" rinvenute nella disponibilità del soggetto (persona fisica o giuridica) che lo ha percepito, anche sotto forma di un risparmio di spesa attraverso l'evasione dei tributi, avviene, alla luce della fungibilità di esso, sempre in forma specifica sul profitto diretto e mai per equivalente (Sez. 3, n. 39177 del 08/05/2014, P.M. in proc. CV s.r.l., non mass, sul punto), epilogo convalidato recentemente dalle Sezioni Unite L. secondo cui, qualora il prezzo o il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme di cui il soggetto abbia comunque la disponibilità deve essere qualificata come confisca diretta; in tal caso, tenuto conto della particolare natura del bene, non occorre la prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della confisca e il reato (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, L., non ancora mass.).

Ne consegue che, sulla base di tale erroneo presupposto, è stato richiesto ed emesso il decreto di sequestro preventivo per equivalente senza che fosse sommariamente verificata o risultasse dagli atti l'impossibilità di procedere al sequestro diretto e senza alcuna motivazione circa l'esistenza ex actis di tale impossibilità.

Il ricorso del pubblico ministero va pertanto rigettato.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso del pubblico ministero.