Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 05 ottobre 2015, n. 19873

Professione liberale - Avvocato - Pagamento del compenso - Ordinanza resa all’esito di un procedimento iniziato ex art. 28 della Legge n. 794 del 1942 - Giudizio esteso alla debenza del diritto al compenso - Inammissibilità del ricorso in cassazione - Impugnabilità con l’appello

Svolgimento del processo

1. Il 7 maggio 2007 l’avvocato F., su mandato della signora S., iniziava un giudizio nei confronti  di (...) per ottenere la restituzione di una somma di denaro (€ 57.682) a lui versate dalla signora (...) a titolo di mutuo tra agosto 2004 e maggio 2005.

La domanda fu respinta nel maggio 2008.

2. Il 16 dicembre 2008 la signora (...) iniziava un giudizio nei confronti del professionista per il risarcimento dei danni subiti per l’esito della causa su indicata in conseguenza della sua responsabilità professionale. La causa si chiudeva con una transazione, in forza della quale il professionista corrispondeva la somma di € 40.000 ivi comprese € 9.118 per spese giudiziali a fronte della rinunzia della ex cliente a far valere ulteriori pretese nei suoi confronti.

3. Il 16 luglio 2012 l'avv. (...) proponeva ricorso, ex art. 702 bis cod. proc. civ. al Tribunale di Milano, per la condanna di (...) al pagamento del compenso per l'opera svolta in tale giudizio. La convenuta resisteva, chiedendo la risoluzione del contratto d’opera professionale, rilevando che, a causa della non consona difesa del professionista, era stata soccombente in quel giudizio.

4 - L'adito Tribunale, pronunziando ordinanza n. 763/2013, condannava la S. a pagare la somma di euro 4.783,56 oltre spese di lite, non ritenendo fondata l'eccezione riconvenzionale diretta a far valere un’imperizia inescusabile quale causa del mancato accoglimento della domanda agita nel pregresso giudizio.

5. Per la cassazione di tale decisione la signora (...) ha proposto ricorso, articolandolo sulla base di due motivi; il (...) ha risposto con controricorso.

6. La causa, avviata alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis e 375 cod. proc. civ. per la declaratoria di inammissibilità del ricorso, con ordinanza interlocutoria dell’11 dicembre 2014 è stata rimessa alla pubblica udienza.

7. Parte ricorrente ha depositato memoria.

 

Motivi della decisione

 

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Come si è detto, la trattazione del ricorso è stata rimessa alla pubblica udienza, avendo il Collegio ritenuto di dover approfondire la questione relativa alla impugnazione esperibile avverso l’ordinanza impugnata (appello o ricorso per cassazione).

Infatti, come osservato dal consigliere relatore in fase di procedimento in camera di consiglio, «la materia controversa riguardava l’an debeatur e non già la semplice misura dei compensi professionali, così che esulava dall'oggetto del procedimento speciale di cui all’art. 28 legge 794/1942 - come novellato dall'art. 14 d.lgs 150/2011 che ha reso applicabile il procedimento sommario di cognizione disciplinato dagli artt. 702 bis e segg. cod. proc. civ. -, rendendo il provvedimento di definizione del procedimento suscettibile di appello e non di ricorso per cassazione. [...] Sul punto va osservato che la sottoposizione della materia controversa al rito sommario di cognizione - artt. 702 bis e segg. cod. proc. civ. - non comporta immutazione alcuna dei presupposti per il ricorso al ricordato procedimento di cui all'art. 28 e segg. legge 794/1942, così che quest’ultimo, pur modificato ad opera dell'art. 14 del d.lgs 150/2011, in tanto può condurre all’emanazione di un'ordinanza inappellabile, in quanto ci si mantenga nell'ambito di una verifica del quantum debeatur; allorché, invece, dovendosi decidere su un’eccezione riconvenzionale di inadempimento o su una domanda riconvenzionale di risoluzione - o, anche, come nella fattispecie, quando si deduca l'estinzione del diritto al compenso per intervenuta transazione -, si contesti l'insorgenza o la persistenza del diritto stesso a percepire gli onorari, viene meno la ragione per la sottrazione ad un controllo di merito in sede di appello della pronunzia terminativa del procedimento».

3. Il Collegio ritiene di condividere le argomentazioni esposte nella relazione predisposta per la camera di consiglio su riportate, nonché quelle del Procuratore generale di udienza, di medesimo contenuto. Non convincono, invece, le osservazioni della ricorrente formulate con la memoria depositata all’esito della relazione e con quella depositata in prossimità della pubblica udienza. Infatti, la modifica introdotta dalla legge citata non abbia inteso incidere sui presupposti che consentono il ricorso alla speciale procedura di cui agli art. 28 e 29 della legge del 1942, ma abbia inteso soltanto individuare il rito applicabile, allo scopo di operare una semplificazione dei riti, oggetto appunto dell’intervento operato con il D.Lgs n. 150 del 2011. Sicché, anche nella vigenza della nuova normativa, occorre confermare i principi, più volte affermati da questa Corte in ordine alla impugnazione esperibile nei confronti del provvedimento che definisce quel giudizio, dovendosi appunto distinguere l’ambito di operatività che ha assunto il giudizio, se limitato al quantum o se esteso anche alla debenza del compenso professionale sotto i vari profili esposti nella citata relazione. Ciò perché, anche in linea con la ratio di tale normativa e con i principi del giusto processo, soltanto il contenimento di tale giudizio alla verifica del quantum dovuto, rende ragionevole la sottrazione di un grado di giudizio alla tutela giurisdizionale, allo stato prevista in via generale con lo strumento dell’appello. Alla luce di tale inquadramento sistematico va interpretata la norma contenuta nel quarto comma dell’art. 14 del DLgs n. 150 del 2011 che ha previsto che «L’ordinanza che definisce il giudizio non è appellabile», avendo inteso il legislatore far riferimento ai presupposti operativi disciplinati dall'articolo 28 della legge 13 giugno 1942, n. 794, avendo anche e specificamente fatto riferimento a tale normativa nell’incipit del primo comma dell’art. 14. In definitiva, quindi, l’ordinanza impugnata, resa all’esito di un procedimento iniziato ex art. 28 citato e nel quale si trattò anche della debenza del diritto al compenso, doveva essere impugnata con l’appello e non col ricorso per cassazione.

4. La ritenuta inammissibilità assorbe le altre questioni sollevate con i due motivi di ricorso, peraltro entrambi infondati, posto che il primo contesta la ritenuta non "gravità" dell’inadempimento, oggetto invece di adeguata motivazione, e il secondo verte sull’interpretazione dell’accordo transattivo sul presupposto della risoluzione del contratto del contratto per inadempimento del professionista.

5. Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo dì contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio, liquidate in 1.300 (milletrecento) euro per compensi e 200,00 (duecento) euro per spese, oltre accessori di legge. Ai sensi dell'articolo 13 comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13.