Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 07 ottobre 2015, n. 20111

Procedure concorsuali - Fallimento - Curatore fallimentare - Compenso - Attività svolta - Liquidazione - Criteri

 

Ragioni in fatto e in diritto della decisione

 

1. - Provvedendo sulla richiesta di liquidazione del compenso per l'attività svolta, quale curatore dei fallimento della s.r.l. E., presentata da A.C., il Tribunale di Roma, con il decreto impugnato (depositato il 6.3.2009), ha determinato nel minimo previsto dall'art. 4 D.M. n. 570/1992, pari a euro 516,46, oltre spese generali e spese documentate, la somma spettante al professionista. Ciò tenuto conto che l'attivo realizzato era pari a euro 46,64 e il passivo accertato era pari a euro 70.000.000,00. Compenso posto a carico dello Stato per l'insufficienza di fondi, come previsto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 174 del 2006.

Contro il predetto decreto A.C. ha proposto ricorso per cassazione affidato a un motivo.

Non ha svolto difese l'intimato, nella persona del curatore speciale nominato ai sensi dell'art. 80 c.p.c.

2. - Con l'unico motivo di ricorso parte ricorrente denuncia violazione di norme di diritto nonché omessa motivazione su punto decisivo e formula, ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis, i seguenti quesiti:

1) «se, in base al combinato disposto degli articoli 39 L.F. e 1, 2 D.M. 570/92, il compenso liquidabile al curatore fallimentare vada in ogni casa - quindi anche nell'ipotesi di mancanza di fondi - determinato, tenuto conto dell'opera dal medesimo prestata, in base ai parametri indicati nei suddetti articoli del Decreto Ministeriale, applicando le percentuali ivi indicate sull'attivo realizzato ed il passivo accertato nel corso della procedura concorsuale»;

2) «se, ai fini della determinazione del compenso spettante al curatore fallimentare per l'attività dal medesimo espletata, il disposto dell'art. 4, comma 1, D.M. 570/92, rivesta una funzione meramente residuale, dovendo lo stesso trovare applicazione solo nell'ipotesi in cui, applicando i criteri generali posti dagli articoli 1, 2 e 3 dello stesso Decreto Ministeriale, l'importo liquidato, a titolo di compenso, non raggiunga la somma di attuali euro 516,46».

3. Osserva la Corte che il ricorso è fondato.

Giova premettere che la liquidazione del compenso del curatore fallimentare deve essere specificamente motivata mediante la indicazione dei criteri seguiti, ai sensi dell’art. 39 della legge fall., in relazione alla disciplina regolamentare richiamata (d.m. 28 luglio 1992 n. 570), risultando altrimenti nullo il decreto di liquidazione (Sez. 1, Sentenza n. 6202 del 15/03/2010). L'art. 1 del decreto 28 luglio 1992, n. 570 dispone che il compenso al curatore di fallimento è liquidato dal tribunale a norma dell’art. 39 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, tenendo conto dell'opera prestata, dei risultati ottenuti, dell’importanza del fallimento, nonché della sollecitudine con cui sono state condotte le relative operazioni, e deve consistere in una percentuale sull’ammontare dell'attivo realizzato non superiore a determinate misure. Inoltre, al curatore è corrisposto, sull’ammontare del passivo del fallimento, un compenso supplementare dallo 0,15% allo 0,75% sui primi 100 milioni e dallo 0,05% allo 0,37% sulle somme eccedenti tale cifrali primo comma dell'art. 4 del cit. decreto, poi, prescrive che «il compenso liquidato a termini degli articoli 1, 2 e 3 non può essere inferiore, nel suo complesso, a un milione di lire (ora euro 516,46), salvo il caso previsto dall’art. 2, comma 1»; ossia, nell'ipotesi di cessazione dalla carica prima della chiusura delle operazioni di fallimento. L'ipotesi di liquidazione del compenso in assenza o insufficienza di attivo, invece, non è contemplata dal predetto decreto ministeriale come giustificante una liquidazione che prescinda dai criteri dettati dall'art. 1. Anche in tal caso, dunque, il compenso deve essere determinato applicando le percentuali sull’’attivo (se esistente) e quelle sul passivo mentre la somma minima liquidabile è determinata a garanzia dell'organo del fallimento, nelle ipotesi in cui i criteri dettati dall'art. 1 conducano alla liquidazione di una somma inferiore a quella minima.

Per contro, nella concreta fattispecie, il provvedimento del tribunale, pur contenendo il riferimento alla consistenza dell'attivo e del passivo, ha, senza alcuna giustificazione, liquidato la somma minima prevista nel cit. art. 4, pur essendo applicabile il criterio basato sull'entità del passivo {posto che solo l'applicazione del criterio basato sull'attivo avrebbe comportato la liquidazione di somma inferiore al minimo previsto dal d.m.) .

Il decreto impugnato, dunque, deve essere cassato con rinvio al Tribunale di Roma, in diversa composizione, per nuovo esame alla luce dei principi innanzi enunciati e per il regolamento delle spese.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa il provvedimento impugnato e rinvia per nuovo esame e per le spese al Tribunale di Roma in diversa composizione.